Perché il FSI non ha sottoscritto e non può sottoscrivere il Manifesto per la sovranità costituzionale
1. Sono stato a lungo dubbioso se scrivere questo articolo.
Gli associati del FSI, infatti, sanno perfettamente per quale ragione il FSI non ha sottoscritto, e non poteva sottoscrivere, per Statuto e prima ancora per coerenza e profonda convinzione, il Manifesto. E’ vero che gli associati più recenti possono non conoscere perfettamente l’idea cardine, il progetto o i principi organizzativi del FSI. Tuttavia, il 9 giugno si svolgerà a Roma la nostra Assemblea nazionale, sicché sarebbe bastato attendere tre mesi e vi sarebbe stata la possibilità di illustrare con chiarezza ai nuovi arrivati taluni concetti per noi fondamentali.
Poi ho partecipato a un paio di discussioni su facebook con persone che potrebbero essere definite dell’area, interessate sia al FSI che alle forze che hanno sottoscritto il Manifesto, e ho constatato che esse non conoscevano né ipotizzavano le nostre motivazioni.
Ieri, infine, mi è stato riferito che anche iscritti a Patria e Costituzione si chiedevano per quale ragione non avessimo firmato.
Pertanto, è opportuno spiegare sia ai nostri più recenti associati, sia alle persone di area, che sono pervenute a svolgere le nostre stesse analisi, sia ai militanti o simpatizzanti delle associazioni che invece hanno sottoscritto il Manifesto, le ragioni per le quali il FSI non lo ha sottoscritto.
2. Il Manifesto contiene un’analisi che coincide perfettamente con quella che presentammo al convegno di Chianciano nell’ottobre 2011, e che nel novembre di quello stesso anno scrivemmo nel Documento di analisi e proposte, approvato telematicamente nel marzo 2012 e infine confermato nella nostra prima assemblea nel giugno 2012: presa d’atto del contrasto insanabile fra Costituzione e Trattati europei; ri-valorizzazione del termine patria e del patriottismo – noi precisammo che siccome nella attuale fase storica si trattava di riconquistare la sovranità, la forma contemporanea del patriottismo fosse il sovranismo, parola che utilizzammo per primi già nel dicembre 2011 e alla quale demmo un preciso significato, di recesso dai Trattati e ricollocazione anche di fatto della Costituzione economica al vertice dell’ordinamento italiano (poi la parola si è andata diffondendo e ha assunto i significati più vari e talvolta assurdi); ritorno allo statalismo, ossia al dirigismo economico che ha caratterizzato l’Italia per decenni; riconquista dei poteri dei quali ci siamo privati aderendo all’Unione Europea e uso dei poteri riconquistati, sia per disciplinare la circolazione dei fattori produttivi (capitali, merci, servizi, ma anche persone), sia per eliminare la concorrenza in molti settori dell’ordinamento, primo fra tutti quello bancario, sia per ricostituire l’impresa pubblica, sia per perseguire la piena e buona occupazione.
Il tema dei diritti civili bioetici, accennato nel Manifesto, non appariva nel Documento di analisi e proposte ma era presente in articoli del 2013, che divennero un documento approvato nell’Assemblea del 2014. E l’idea che la funzione dei partiti sia di formare e selezionare la classe dirigente, presente nel Manifesto, è stata da noi ripetuta innumerevoli volte in scritti e interventi ripresi in video.
Questa analisi, anzi, noi l’abbiamo approfondita, svolta e articolata in una produzione di documenti ufficiali imponente, dedicata a molte materie.
Si può dire dunque che ogni militante del FSI, iscrivendosi, ha già sottoscritto le analisi contenute nel Manifesto.
3. Il nostro Atto Costitutivo, tuttavia, non contempla soltanto un’analisi, i cui principi coincidono perfettamente con quelli del Manifesto, ma contiene anche una proposta: il recesso dai Trattati europei.
La maggior parte degli istituti giuridici che proponiamo nei documenti ufficiali non è realizzabile, per ragioni di diritto, perché contrasta con principi e norme del diritto europeo – sicché leggi che introducessero i principi da noi proposti sarebbero colpite dalla mannaia della Corte Costituzionale o della Corte di Giustizia -, o per ragioni di fatto, perché alcuni vincoli europei rendono taluni istituti, che vorremmo introdurre, inefficaci (sebbene legittimi per l’ordine giuridico europeo): per esempio, l’impresa pubblica può astrattamente essere reintrodotta ma la disciplina del divieto degli aiuti di Stato, più ancora di quella relativa ai vincoli di bilancio, rende di fatto impossibile ricostituire una nuova IRI.
Orbene, le analisi che ci accomunano alle associazioni che hanno sottoscritto il Manifesto per la sovranità costituzionale possono essere astrattamente, e di fatto sono, il fondamento di proposte molto diverse:
- Recedere dai Trattati europei. E’ da sempre la nostra proposta.
- Cambiare l’Unione Europea da dentro. E’ la strategia declamata da LeU nella scorsa legislatura e tentata, o almeno declamata, sotto i profili che ad esso interessano, dal Governo attuale, nonché da alcuni parlamentari della Lega e del M5S, che condividono totalmente o parzialmente le analisi del FSI, ora sintetizzate nel Manifesto per la sovranità costituzionale.
- Introdurre moneta fiscale o altre forme di moneta alternativa statale, cercando di sopperire – in modo non contrario al diritto europeo, secondo i sostenitori di questa linea – alla scarsità di moneta che l’Unione Europea ci impone. E’ la tesi sostenuta da Zibordi da Cattaneo da Stefano Sylos Labini da Galloni e da altri, che condividono, talvolta integralmente, talvolta in parte, le analisi che accomunano FSI e sottoscrittori del Manifesto per la sovranità costituzionale.
- Disapplicare o violare i Trattati europei. Era la tesi, palesemente strampalata, sostenuta a suo tempo da Ferrero.
- Abbandonare semplicemente l’euro, tesi che qualche anno fa ebbe una certa diffusione anche perché due giuristi sostennero, del tutto infondatamente e insensatamente, che fosse un’azione legittima secondo il diritto europeo, ma ancora sostenuta da non pochi sovranisti sulla rete e declamata dalla Lega durante la campagna elettorale.
- Dissolvere consensualmente, assieme agli altri Stati, l’Unione monetaria (è una ipotesi specifica di modifica dell’Unione Europea), oppure lasciare che esca un solo Stato (la Germania) o infine creare due monete. Si tratta di ipotesi sostenute in passato da alcuni studiosi e infatti il miasma ammorbante dell’astrattezza teorica si avverte lontano un miglio.
- Attuare un recesso dai Trattati concordato con gli altri Stati, ipotesi adombrata di recente da qualcuno.
Non è questa la sede nella quale si può argomentare in modo analitico per quali ragioni: l’ipotesi sub 4) è aria fritta; quella sub 3) è insufficiente e comunque non si vede perché serva un altro partito per tentare di realizzarla; quella sub 5) darebbe luogo ad un’inutile violazione dei Trattati, con conseguente gravissimo conflitto con la Germania e la Francia e altri Stati europei, per tentare, tra l’altro, di raggiungere risultati parziali; quelle sub 2) e 6) sono impossibili, e per di più la prima nemmeno è desiderabile, mentre la seconda è una proposta impossibile che condurrebbe soltanto a risultati parziali, semmai siano desiderabili; infine l’ipotesi sub 7) in primo luogo, richiede un consenso di altri Stati (sostanzialmente della Francia) che non è necessario e che potrebbe arrivare dopo moltissimo tempo (ipotizzando che ci sia il consenso in Italia), in secondo luogo, sembra implicare avversità alla possibilità che receda da solo un altro Stato, in particolare la sola Francia (perché si dovrebbe essere felici che la Francia receda autonomamente, se non si propone che l’Italia receda autonomamente?), in terzo luogo, non è bene che un partito sorga proponendo una idea che si può realizzare soltanto con il consenso di altri Stati, infine, ha il sapore inconfondibile del tatticismo.
Un conto è sostenere che un partito (già costituito) deve saper ricorrere alla tattica e alla strategia, un conto è far nascere un partito su una posizione tattica. I partiti nuovi nascono tutti su posizioni nuove e dirompenti – altrimenti non c’è bisogno di partiti nuovi: la rivoluzione per l’eliminazione della proprietà dei mezzi di produzione per il pcd’i nel 1921; lo statalismo produttivistico e sociale del patto di Camaldoli per la Democrazia Cristiana nel 1943; la promozione dei diritti civili e del liberalismo libertario per il partito radicale nel 1958; l’indipendenza della Padania per la Lega lombarda nel 1985 e poi per la Lega Nord nel 1989-1990; la democrazia diretta e telematica e l’estinzione di tutti i partiti per il M5S nel 2005 (quando vennero fondati i primi meet up). Poi, un partito nuovo, fondato su un’idea radicale, se non è una setta di fanatici, ricorre alla strategia e alla tattica. Ma nascere su un’idea tattica, far cominciare la mediazione nel cervello che dovrebbe partorire l’idea, significa nascere morti.
4. Noi del FSI abbiamo scelto sette anni fa, quando fu fondata l’ARS-Associazione Riconquistare la Sovranità, che poi ha dato vita al FSI; abbiamo scelto la proposta del recesso. Ci sembra l’unica proposta logica, giusta, coerente, sensata e potente.
E’ anche potente, come dimostra l’UKIP, il partito per l’indipendenza del Regno Unito, fondato nel 1993 da dissidenti conservatori contrari a Maastricht, e che alle europee del 2014 è divenuto il primo partito britannico. L’UKIP, con questa proposta, ha avuto un enorme successo, ha costretto i due partiti più grandi e dalla lunga storia a cimentarsi con il tema, e condotto la Gran Bretagna alla Brexit (il merito della Brexit, va riconosciuto, è tutto dell’UKIP e di Farage). Anche il successo ottenuto al primo turno dalla Le Pen nelle elezioni presidenziali, grazie o nonostante questa proposta, ne dimostra la potenza. E in fondo la crescita enorme della Lega, che ha svolto per anni una campagna permanente fondata sull’uscita dall’euro, è la dimostrazione che l’idea è potente.
Ma la proposta è soprattutto giusta e coerente – l’unica coerente – con gli obiettivi di politica economica che ci proponiamo, sia noi che le associazioni che hanno sottoscritto il Manifesto. Proporre di rivitalizzare e attuare la Costituzione economica senza prima recedere, significa ingannare o essere in errore: la Costituzione economica sarà di nuovo attuata solo dopo che avremo receduto, altrimenti resterà lettera morta. I diritti sociali e l’industria pubblica torneranno soltanto quando l’Unione Europea sarà stata disintegrata oppure, comunque, quando noi ce ne saremo liberati. Un minimo di riflessione e onestà intellettuale impongono questa conclusione.
Invece, il Manifesto per la sovranità costituzionale prende atto della irriformabilità dell’Unione Europea, ma non avanza alcuna proposta. E’ un documento di analisi, che dinanzi alla constatata irriformabilità dell’Unione Europea, per varie ragioni, che non mi sono chiare, non propone il recesso dai Trattati e, a rigore, non propone nulla (non effettua una scelta tra le proposte teoricamente possibili, sopra elencate).
Inoltre, nella recente presentazione del Manifesto a Milano, Stefano Fassina, stimolato da Rossano Ferrazzano, membro del Comitato Direttivo del FSI, ha escluso che il partito, al quale le tre associazioni intendono dar vita, nasca per sostenere l’idea del recesso dai Trattati. E nemmeno nella presentazione a Napoli, ove era presente la nostra militante Rosa Spadafora, è stato affermato che il Manifesto vorrebbe essere l’inizio di un percorso che deve portare alla nascita del partito del recesso.
Le ragioni della scelta non le conosciamo. In ogni caso, qualsiasi siano le motivazioni e qualsiasi sia la strategia – che ci auguriamo non sia quella tipica della sinistra degli ultimi quindici anni di assemblare tutti coloro che condividano l’analisi a prescindere dalla condivisione di una proposta precisa: un partito non nasce da un’analisi ma da una proposta fondata su un’analisi – sta di fatto che la ragione per la quale siamo nati sette anni fa e alla quale intendiamo dedicare la nostra vita politica, è estranea al Manifesto ed è stata verbalmente esclusa da Fassina, anche come prospettiva, nella recente presentazione milanese.
Già questa motivazione credo sia sufficiente a convincere tutti i militanti intelligenti e intellettualmente onesti di Senso Comune, di Rinascita Socialista e di PeC, nonché tutti i simpatizzanti dell’area che si va formando, che per ragioni di coerenza, per convinzioni profonde, vincoli statutari e per rispetto per i militanti che hanno lavorato con pazienza tenacia e capacità per sette anni, il FSI non poteva e non doveva, non può e non deve, sottoscrivere il Manifesto. In fondo, se si tiene conto di ciò che siamo, pensiamo e diciamo da sette anni, è ingiusto persino chiedercelo: è un po’ come se avessero chiesto nel 1928 al pcd’i di rinunciare a voler instaurare il comunismo.
5. Come possono evolvere allora i nostri rapporti con i soggetti firmatari del Manifesto?
Intanto noi continueremo ad attrarre militanti e simpatizzanti che credono che l’idea del recesso sia fondamentale, logica e irrinunciabile, mentre loro attrarranno militanti e simpatizzanti che non la reputano fondamentale e che condivideranno la proposta che prima o poi il gruppo del Manifesto avanzerà. Non ci vedo niente di male.
Il gruppo delle associazioni firmatarie del Manifesto difenderà la sensatezza della proposta che avanzerà e diffonderà argomenti a sostegno della proposta. Noi faremo lo stesso a sostegno della nostra proposta. In tanti potranno maturare idee diverse da quelle iniziali. Il dialogo, la pluralità delle posizioni, sono sempre benefici.
Abbiamo circa tre anni fino al momento in cui bisognerà iniziare a preparare le elezioni politiche, che costituiscono l’appuntamento al quale tutti puntiamo – un anno di tempo per la preparazione è necessario. Può darsi che le posizioni si saranno avvicinate. Io sono fiducioso. Il dibattito chiarirà le idee e farà emergere la verità.
Collaborazioni nell’organizzazione di eventi, convegni o in qualche campagna elettorale regionale o comunale sono sempre possibili e auspicabili. E sono certo che si verificheranno.
6. C’è un ultimo punto da sottolineare, molto importante, anzi importantissimo. Un punto che si articola in due profili.
Intanto un partito non si caratterizza soltanto per analisi e proposte, bensì anche per il tipo di organizzazione. E’ la forma organizzativa che attira un tipo di militante e ne allontana un altro; è l’organizzazione che forma e seleziona, in un modo o in un altro, una o altra classe dirigente; è l’organizzazione che fa progredire, fa stagnare o fa morire un gruppo collettivo.
Ci può essere l’accordo più totale su analisi e proposte ma disaccordo totale sull’organizzazione. E le persone d’azione (la politica è azione) sanno che è più ragionevole iscriversi a un partito del quale si condividano soltanto in parte analisi e proposte ma che abbia una organizzazione che si ammira, anziché iscriversi ad un partito che sostiene esattamente le loro analisi e proposte ma ha una organizzazione mediocre o pessima.
Inoltre, quando il partito non c’è e va costruito, viene in considerazione non soltanto l’organizzazione – l’idea dell’organizzazione finale e l’organizzazione reale di fase – bensì anche il progetto di azione in forza del quale far crescere il numero di militanti di valore.
Nel Manifesto non ci sono cenni né all’organizzazione né al progetto. E’ in definitiva un manifesto di analisi, che prelude ad una proposta, che ancora non c’è, e che deve essere accompagnato sia da un progetto di un’azione costruttiva che deve durare diversi anni, sia da un modello organizzativo e da un’idea di organizzazione di fase.
Noi fin da principio ci siamo dati alcune regole, per cercare di attrarre e far aderire militanti di valore e per organizzarci. Non siamo soltanto analisi e proposte svolte in più di 150 pagine di documenti ufficiali, non siamo soltanto 800 militanti, e credo almeno mille-duemila simpatizzanti o curiosi: siamo anche un progetto e una organizzazione dei quali andiamo orgogliosi e nei quali crediamo non meno che nelle analisi e nelle proposte, se è vero che duriamo e cresciamo, sia pure lentamente, da sette anni, senza subire scissioni, ed eleviamo la nostra visibilità, la nostra capacità di attrarre simpatie, il livello dell’azione politica e il nostro entusiasmo.
Se per allearci con le tre associazioni che hanno sottoscritto il Manifesto per la sovranità costituzionale è sufficiente che esse giungano un giorno a sostenere la proposta del recesso dai Trattati, per fonderci è necessario che il progetto di costruzione e l’organizzazione tengano conto di criteri che reputiamo vitali, perché è nostra convinzione che senza di essi nulla di buono si possa costruire. Non ha senso infilarsi in una organizzazione e in un progetto di azione nei quali non si crede. Meglio allearsi.
Però quest’ultimo tema può essere per il momento lasciato da parte, perché va fatto un passo alla volta. Agli amici di Rinascita, Senso Comune e Patria e Costituzione diciamo: dialoghiamo e vedrete che giungerete un giorno, non troppo lontano, a credere che sia necessario dare un contributo per costruire, assieme a noi, il partito del recesso, che è il partito della liberazione del popolo italiano. A quel punto l’alleanza sarà certa. Noi ci saremo. Anzi già ci siamo. Noi siamo parte del partito del recesso da costruire. Perché quella che abbiamo faticosamente cominciato a combattere, con poche armi, come sempre accade quando inizia una guerra di resistenza, è una vera e propria lotta di liberazione nazionale.
Ci libereremo.
La tattica non può sostituire la strategia e quindi non si può fondare un partito su scelte tattiche.Questo è quanto ho compreso del testo.Su soluzioni tattiche possono esserci delle convergenze con le altre formazioni ,ribadendo sempre la strategia di cui si è portatori.Questa considerazione può essere valida per la moneta fiscale e irredimibilità del debito pubblico detenuto dalla Banca d’ Italia ,obbiettivi tattici per iniziare a spostare i rapporti di forza,con il fine di restaurare il dirigismo e lo statalismo ?