Che cos’è l’Unione Europea oggi
di STEFANO D’ANDREA
L’economia sociale di mercato è una economia che vuole assicurare la piena occupazione e lo stato sociale mediante il mercato, ossia mediante la vittoria nel mercato. È dunque una economia “fortemente competitiva”, come prevedono i Trattati. È una economia che assicura a uno Stato la “possibilità” di mantenere ed eventualmente promuovere la piena occupazione e lo Stato sociale, se e nella misura in cui vincerà la competizione con altri Stati.
Lo Stato sociale, in questa economia, si regge con i surplus commerciali e con le imposte che derivano dalle imprese che realizzano i surplus, nonché dai lavoratori che vi lavorano. È dunque un’economia che è sociale per alcuni e non per altri. È l’economia dello Stato sociale condizionato e dell’alta disoccupazione strutturale permanente. Per questa ragione l’Europa non è uno Stato e un soggetto geopolitico, bensì un campo di battaglia tra imprese e tra Stati. È il campo da gioco in cui si gioca la partita permanente tra Stati e imprese.
Questa costruzione, oltre ad essere opinabile nella sua essenza, ha due limiti interni. In primo luogo, gli Stati europei, sprovvisti di poteri sovrani ma abilitati a scrivere le regole della loro competizione, sono più deboli degli Stati sovrani, quando si verifica uno shock esterno. Gli Stati europei, infatti, non possono utilizzare i poteri sovrani come gli altri Stati, visto che per ora quei poteri sono sospesi; possono soltanto riscrivere le regole della competizione.
Possono scrivere nuove e diverse regole della competizione e basta. È ciò che è accaduto dal 2008. Gli Stati Europei hanno tardato a reagire e, quando lo hanno fatto, hanno reagito nell’unico modo che avevano: hanno riscritto regole della competizione (tra Stati e imprese europee) che avrebbero dovuto avere carattere “eccezionale”. Queste regole tuttavia, fondamentalmente illegali, perché in contrasto con i Trattati, perdurano da dodici anni (dodici anni di eccezionalità e di illegittimità) e si moltiplicano anziché essere cancellate.
In secondo luogo, il ritorno della Storia, nella forma della necessità degli Stati Uniti di riattivare la produzione interna non può che andare a danno dei soggetti geopolitici produttivi politicamente più deboli, che non sono il Giappone, la Russia, l’India, la Cina, il Brasile, il Sudafrica o la Corea del sud, ossia gli Stati sovrani, ma, ovviamente proprio gli Stati europei, che per ora hanno deciso di sospendere la sovranità. La riattivazione produttiva interna nell’ottica della classe dirigente statunitense deve avvenire distruggendo l’economia europea, attraverso la separazione della produzione europea dall’energia russa (la guerra promossa in Ucraina è un’azione sia antirussa sia anti-tedesca e a ricasco anti-italiana).
Stati europei sovrani avrebbero badato ai loro interessi e si sarebbero schiarati, in tutto o in parte, a fianco della Russia. Non perché la Russia abbia ragione, bensì perché mantenere rapporti con la Russia è nel loro oggettivo interesse. Nelle dispute internazionali gli Stati sovrani e che non siano simili a colonie, si schierano sempre nel loro interesse, molto più di quanto lo facciano i singoli uomini. Un uomo coraggioso, infatti, può sacrificare se stesso e la sua famiglia per ragioni morali. Capita raramente, ma un uomo su mille statisticamente si comporta così, in modo altruistico.
Invece, chi agisce per conto di uno Stato non dovrebbe mai sacrificare il popolo per interessi morali. È morale sacrificare se stessi e la propria famiglia per un interesse altrui e morale. È invece immorale sacrificare il proprio popolo, per interessi altrui e (reputati) morali. Invece, essendo l’Unione Europea composta da Stati deboli, non sovrani (più correttamente: a sovranità sospesa), gli Stati non hanno la forza (oltre a non avere il potere) di perseguire il proprio interesse.
Si può essere europeisti. Si può essere contenti che esista l’Unione Europea. Ma bisogna farlo sapendo che l’Unione Europea è questo campo da gara, disciplinato da undici anni da norme eccezionali e illegali, nel quale si svolge la competizione tra Stati impotenti, e asserviti, che mascherano la loro impotenza, dichiarando ai cittadini che essi agiscono (nella guerra civile ucraina) per ragioni morali, tacendo che stanno sacrificando gli interessi dei cittadini e delle imprese degli Stati dell’Unione (non di tutti ma di molti).
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