La mistificazione della ‘cattolica prudenza’
di Alessandro Bolzonello
Mi infastidisce il significato associato al concetto di 'prudenza': demonizzazione dell’istinto, abiura dell'emozione, allontanamento da ogni posizione o appartenenza diversa dalla propria.
Eppure il concetto in sé – di forte connotazione cattolica – appare inattaccabile: "è la virtù (afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1806) che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo".
Considero presuntuoso parlare di ‘vero bene’. E per esplicitare ciò mi avvalgo delle parole di Pier Cesare Bori, deceduto in questi giorni: l'amicizia con le persone e la ricerca del loro bene è più importante della verità teorica. Non esiste il ‘vero bene’, bensì va ricercato il bene delle persone, che può essere diverso da persona a persona, da situazione a situazione.
Contesto, soprattutto, l’uso mistificato del concetto di ‘prudenza’. Esemplificativo è un commento su Facebook: "è un rischio parlare di fede a certe persone e in certi contesti. Farlo non può che essere una reazione istintuale, una scivolata. L'avversione di certi 'salotti' alla fede fa da filtro ad ogni pur sincera riflessione che risulta quindi intellettualmente falsa. … Prudenza". Ecco la distorsione: tenersi distanti tanto dall’‘emergente’ che dal ‘diverso’ perché mettono in discussione l'ordine costituito, fino a minacciare l’identità. Trattasi di paura allo stato puro, di se stessi e degli altri.
Paura, purtroppo, né assunta né riconosciuta: ciò che è diverso, essendo percepito una minaccia, viene rigettato nella categoria dell'errore, fino, in taluni casi, alla sua negazione (del concetto e delle persone che ne sono portatrici).
Ecco che la ‘prudenza’, così malamente coniugata, arriva ad assume i beceri connotati dell’omertà, della connivenza, dell’opportunismo; chiaro alibi per tenersi lontani da ogni riflessione e pensiero al fine di non toccare l’equilibrio in essere, mantenere immutato l'esistente.
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“ Contesto, soprattutto, l’uso mistificato del concetto di ‘prudenza’. Esemplificativo è un commento su Facebook: "è un rischio parlare di fede a certe persone e in certi contesti. Farlo non può che essere una reazione istintuale, una scivolata. L'avversione di certi 'salotti' alla fede fa da filtro ad ogni pur sincera riflessione che risulta quindi intellettualmente falsa. … Prudenza". Ecco la distorsione: tenersi distanti tanto dall’‘emergente’ che dal ‘diverso’ perché mettono in discussione l'ordine costituito, fino a minacciare l’identità. Trattasi di paura allo stato puro, di se stessi e degli altri.”
Facebook???
Forse sarebbe meglio una fonte ufficiale – http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s1c1a7_it.htm – e citare per intero ciò che è scritto.
1806 La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. L'uomo « accorto controlla i suoi passi » (Prv 14,15). « Siate moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera » (1 Pt 4,7). La prudenza è la « retta norma dell'azione », scrive san Tommaso sulla scia di Aristotele. Essa non si confonde con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. È detta « auriga virtutum – cocchiere delle virtù »: essa dirige le altre virtù indicando loro regola e misura. È la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza. L'uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare.
Per quanto riguarda il bene del prossimo, vedi un’altra virtù cardinale, cioè la giustizia :
1807 La giustizia è la virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. La giustizia verso Dio è chiamata « virtù di religione ». La giustizia verso gli uomini dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l'armonia che promuove l'equità nei confronti delle persone e del bene comune. L'uomo giusto, di cui spesso si fa parola nei Libri Sacri, si distingue per l'abituale dirittura dei propri pensieri e per la rettitudine della propria condotta verso il prossimo. « Non tratterai con parzialità il povero, né userai preferenze verso il potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia » (Lv 19,15). « Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo » (Col 4,1).
E, se non bastasse, c’è la più importante delle virtù teogali, la carità …leggere per credere.
Saluti, Emilio.
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@ Emilio
Rispetto al metodo, ritengo corretto – come ho tentato di fare – utilizzare la fonte ufficiale per dare evidenza della realtà teorica/formale e utilizzare una fonte come Facebook – che non demonizzo, se utilizzata coerentemente – per dare evidenza, esemplificativa e sintomatica, del sentire e del reale utilizzo delle parole e dei concetti, talvolta in modo strumentale come nel caso della 'prudenza'.
Io contesto 'l'uso abusato' di tale termine: alibi per giustificare opzioni di comodo ovvero per la deresponsabilizzazione.
a me pare che la prudenza cattolica attinga invece ad una certa coscienza storica, visto la vetustità dell' istituzione- che naturalmente di per sè non garantisce una comprensione profonda della stessa-, ma mi fido molto di più di questa razionalità non velleitaria, di chi è abituato a pensare al cospetto di dio, che di qualsiasi opzione istintuale o emotiva che sia.
detto questo, mi pare che sia ancora più difficile pensare in maniera non velleitaria al cospetto dell'uomo
@ Alessandro
Accetto e condivido la precisazione.
Resto tuttavia dell’idea che la completa citazione della dottrina, nel passaggio “Essa non si confonde con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione”, sarebbe stata determinante per comprendere la contraddizione fra l’originale significato della virtù della prudenza e quello che gli si dà comunemente.
Uso comune la cui responsabilità ritengo sia da imputare ad almeno sessant’anni di pensiero debole, non solo attorno ma anche interno alla chiesa.
Pensiero debole che ha generato un’errata concezione della tolleranza e dei rapporti con il prossimo basata più sull’opportunismo e sulla doppiezza che sulla chiarezza e sulla persecuzione del bene comune.
Di questa falsa cultura il miglior interprete è stato il pensiero democristiano, ed i suoi epigoni sono oggi i Casini, i Giovanardi & co.
Saluti, Emilio.