Specialisti
Viviamo in una società che si è sviluppata in modo centrifugo, spalmando con la sua forza gli individui da un centro morale ad una periferia specialistica. A seguito del moltiplicarsi per via logaritmica delle competenze, le regolamentazioni sono tanti e tali per cui occorre uno specialista per sistemare una qualsiasi cosa. Se non interviene l'elettricista, giusto per fare un esempio a caso, non viene rilasciata quella certificazione che permette di rivendere l'appartamento cui sono state apportate modifiche all'impianto elettrico. A sostenere d'autorità le infinite specializzazioni esiste l'abuso di professione, nato nel nome della cosiddetta “cultura del rispetto delle competenze”: solo se hai adeguato percorso formativo puoi permetterti di formulare le tue proposte progettuali.
Risulta abbastanza ovvio come chi progetta un impianto frenante per camion debba necessariamente avere capito l'entità del problema. Il fatto storico è che i camion sono un'invenzione recentissima, e poco tempo fa non esisteva quindi necessità alcuna di professionisti di questo tipo. Quindi la specializzazione è una necessità dettata da questo modello di sviluppo. Prima, molto semplicemente, le specializzazioni riguardavano poche attività artigiane e non si sentiva alcun bisogno di quell'esercito di specialisti che oggi invadono le nostre vite.
Ma c'è di più: se ammettiamo che le nostre società a struttura piramidale siano controllate da settori dell'economia che hanno poteri così ampi da formare un sodalizio con le classi politiche, quali garanzie abbiamo che la cosiddetta “cultura del rispetto delle competenze” non sia tutta una messinscena per intimorire e quindi soggiogare i non addetti (catalogati per la bisogna come classi di minus habens che hanno un costante bisogno di essere monitorizzati dai vari professionisti) attraverso una pletora di tecnicismi legislativi e normativi?
Fino a pochi decenni or sono la maggior parte degli uomini sapeva coltivarsi un orto e costruirsi la casa. Impianti inclusi. E le case non crollavano né scoppiavano tubazioni o prendevano fuoco gli impianti elettrici. Oggi l'orto non esiste più, obbligati come siamo a vivere all'interno di un appartamento “dotato di ogni comfort” che ci toglie così qualsiasi obbligo (viene tutto gestito dagli specialisti: l'amministratore, l'imbianchino, perfino le pulizie). Fine dell'iniziativa. Vite appaltate, per lasciarci tutto il tempo di frequentare i lager commerciali. Il moto centrifugo ci allontana da noi stessi, dalla nostra storia, dai nostri sentimenti, dalla nostra intelligenza, dalle nostre responsabilità per proiettarci in un rutilante quanto strampalato mondo in cui possiamo solo essere consumatori di ciò che gli specialisti hanno organizzato per noi, ed i legislatori hanno consolidato. Vietato perfino portare una torta fatta in casa a scuola. Servono specialisti anche per festeggiare il compleanno dei bambini. Il processo centrifugo porta a questa deresponsabilizzazione sociale: nessuno è autorizzato fare o pensare nulla, pensano a tutto gli specialisti. Noi ci possiamo solo adeguare. O infrangere la legge.
Enormi possono essere i sentimenti di diffusa diffidenza e anche repulsione verso le varie classi professionali (mediche, politiche, imprenditoriali etc..) contro i quali viene opposta una feroce campagna di propaganda mediatica svolta, anche in questo caso, da specialisti della comunicazione ed intesa ad offrire il massimo grado di sconforto a chiunque avesse in mente di contestare questo modello sociale che accorda illimitata fiducia al centralismo burocratico degli esperti.
Questi sentimenti nascono perchè gli specialisti non necessariamente curano l'interesse della collettività intera; anzi molto spesso (sempre?) fanno l'interesse delle lobbies che garantiscono loro onori, prebende ed elogi. Da qui la domanda: ma perchè ci dobbiamo fidare sempre degli specialisti? Nel nome di quale divinità saremmo costretti a rinunciare ad un'elaborazione del nostro pensiero (difficile, costosa ma formativa perchè non necessariamente allineata) o ad una nostra azione diretta per accogliere (spesso è puro obbligo) nozioni o interventi che ci vengono imposti dall'alto?
Quando, nel nome del proprio sentire o pensiero, si vuol contestare qualcosa, qualche professionista di settore se ne viene fuori snocciolando scientifici elenchi di improbabili dati. Che, guarda caso, coincidono con l'idea che uno specialista deve avere sulla specialità che sta snocciolando a noi poveri ed imbelli mortali.
Dati contro memorie e senso comune, questa è la battaglia che gli specialisti stanno combattendo.
A scanso di equivoci: ci dovrebbe essere abbastanza buon senso da decidere che è indispensabile l'intervento di un professionista quando è in gioco il benessere delle persone. Ma qui le cose si complicano, perchè non esistono “professionisti del buon senso”. E così ci troviamo con i professionisti di Standard & Poor's che vengono condannati per avere fornito un rating "fuorviante e ingannevole" ad alcuni prodotti finanziari. La tesi del giudice è che un'agenzia "ragionevolmente competente" non avrebbe potuto dare una valutazione tale a un titolo così nocivo. Occasione rara in cui lo Stato si prende delle rivincite sull'economia nel nome del buon senso. [1]
Siamo diventati così ostaggi nelle mani di professionisti della conoscenza specializzata. Ora che un ingegnere nucleare sia bravissimo a costruire centrali non significa che sia anche in grado di capire dove stia la vera questione del nucleare, ovvero la sua pericolosità ed il problema delle scorie. Si affiderà ad altri esperti che valuteranno i due problemi separatamente e così via in un sistema di scatole cinesi dove nessuno sa esattamente quello che fa l'altro. Sono tutti freddi e razionali. Prendono soldi per far funzionare questo sistema, e lo fanno funzionare al meglio.
In base alle innumerevoli fonti specialistiche dotate dei cospicui budget messi a disposizione dalle varie lobbies, diventa quindi pretestuoso criticare chi ha messo in piedi e ha fatto funzionare Fukushima o le politiche neoliberiste. La fantasia comunicativa di chi è pagato profumatamente per convincerci sa sfruttare al meglio la propria posizione di potere. Salta così fuori che la centrale nucleare ha avuto problemi a causa di eventi inimmaginabili, errori umani, disfunzioni strutturali mai registrate prima, l'appartenenza ad una categoria costruttiva ormai abbandonata e così via, il tutto condito da suadenti frasi da carta patinata.
E se Monti insiste nell'informarci quotidianamente che siamo usciti dalla crisi grazie alle politiche attuate, non sta facendo molto diversamente dagli specialisti del nucleare che rassicurano i giapponesi che la fuga radioattiva è sotto controllo. Cambia il problema ma la tecnica di mettere sotto scacco il cittadino è identica. Ovviamente nessuno di questi specialisti cita i dati relativi a povertà diffusa, disoccupazione e disagio oppure radiazioni, malattie e contaminazioni. I disastri non li riguardano, l'importate è non togliersi i paraocchi e recitare, nel nome della logica specialistica, il mantra che scongiura la critica. Vietato contestualizzare, proibito deragliare dai prevedibili binari che la formazione specialistica impone: l'obbligo è di guardare sempre avanti, anche quando il binario si interrompe bruscamente ed il locomotore è destinato a trascinare il treno in fondo al burrone. Nelle carrozze, ovviamente, ci siamo noi. Che non abbiamo saputo contrastare con il nostro buon senso la criminale efficienza degli specialisti.
“Gli accademici tendono a iper-specializzarsi in un unico settore. Ciò porta spesso ad una forma di istupidimento o rigor mortis mentale che impedisce loro di vedere certe situazioni nel loro giusto contesto e nell’esatta prospettiva”
Domenico Pacitti
“Marino (Badiale) non è un economista, il che gli permette di mantenere quella freschezza e indipendenza di giudizio che spesso manca al “professionista” dell'economia, il cui pensiero spesso si coagula, involontariamente ma inesorabilmente, intorno a categorie stereotipate. I più feroci “luogocomunisti”, duole ammetterlo, si annidano proprio nella professione economica.”
A. Bagnai
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