Apologia delle “fake news”
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Leonardo Lugaresi)
Mi sono imbattuto per caso in questo articolo che esprime un’opinione interessante (e al tempo stesso un po’ preoccupante) su una cosa che invece è assolutamente preoccupante e sta per succedere in Brasile ma riguarda anche noi: https://www1.folha.uol.com.br/internacional/en/opinion/2023/02/lulas-law-against-fake-news-could-help-bolsonaro-persecute-enemies.shtml.
Purtroppo l’articolo è in inglese ma, per chi non fosse in grado di leggerlo, in due parole il succo mi pare sia questo: l’autore – che non so chi sia, ma da come parla si palesa come un sostenitore dell’attuale governo brasiliano, ostile all’ex presidente Bolsonaro – esprime forti preoccupazioni riguardo ad una legge che il presidente Lula sta facendo approvare, grazie alla quale il governo potrà perseguire legalmente chi diffonde “informazioni false”. Il suo argomento è che una tale legge sia pericolosa perché in futuro, se al potere tornasse un Bolsonaro, un “cattivo governo” potrebbe servirsene per censurare la “buona informazione”.
Posta così la questione, credo che sarebbe facile per Lula o chi per lui rispondergli che la legge serve appunto a far sì che non venga mai più eletto un “cattivo presidente” e “i buoni” restino per sempre al governo. Ho trovato l’articolo molto interessante non solo perché mi ha fatto indirettamente conoscere l’esistenza di quel progetto di legge, ma anche e soprattutto perché mostra in modo lampante come la posizione dell’autore – che è purtroppo quella condivisa dai più, anche dalle nostre parti – sia parte del problema, cioè del pericolo o del male che intende denunciare. Anche da noi, infatti, mi sembra che siano ormai in maggioranza le “anime belle” che si sentono profondamente democratiche e amanti della libertà, ma al tempo stesso ritengono, con ottuso candore, che debbano essere sì assolutamente libere le “idee buone” o perlomeno “accettabili”, ma non quelle “cattive”; e vada garantita la libera circolazione sì delle “informazioni giuste”, ma non di quelle “sbagliate”.
Eppure lo stesso autore dell’articolo deve ammettere che a questo mondo è spesso molto difficile stabilire se un’informazione sia vera o falsa e un’opinione sia buona o sia cattiva, e dunque rinunciare alla libertà di espressione per delegare tutto all’arbitrio di un’autorità centralizzata è una pessima idea. Cita in proposito due esempi: il primo, tanto grottesco quanto nocivo per le sue ricadute, dovremmo ricordarecelo bene anche noi perché ebbe portata mondiale: a febbraio e marzo del 2020, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità, nientemeno!) proclamava che le mascherine non servivano a niente contro il Covid e non si dovevano portare; ad aprile dello stesso anno asseriva esattamente il contrario. La “falsa informazione” di febbraio divenne la “verità” in aprile. Il secondo esempio è brasiliano: nel 2018 la verità, certificata dai tribunali, era che Lula era un ladro; nel 2022, il contrario.
Infine, nell’articolo si osserva che “leggi contro la disinformazione” esistono già in molti paesi a regime dittatoriale o autoritario. L’autore dimentica però di aggiungere che norme che sanzionano penalmente delle opinioni sono in vigore anche in stati che si considerano democratici e liberali e che purtroppo la tendenza in corso non è ad eliminare o ridurre la loro presenza, ma al contrario ad estendere sempre più il campo di azione di questo tipo di legislazione, che andrebbe definita senz’altro “fascista” nell’ispirazione – se siamo d’accordo nel ritenere che un elemento fondamentale del “fascismo”, come categoria morale e politica di largo uso, sia appunto l’odio verso la libertà. Faccio un solo esempio, e scelgo apposta il più sgradevole, urticante e scandaloso: in diversi paesi europei, e segnatamente in Germania, è un reato esprimere in pubblico tesi negazioniste riguardo allo sterminio degli ebrei durante la II guerra mondiale. Cioè: si può andare in galera semplicemente per un’affermazione falsa (in questo caso evidentemente e odiosamente falsa, ma ciò non cambia in nulla la sostanza).
Dovrebbe invece essere evidente (ma non lo è) che la libertà di manifestazione del pensiero (quella dell’articolo 21 della nostra Costituzione, per intenderci) è rispettata e tutelata solo se vengono rispettate e tutelate dalla politica e dal diritto anche le cattive idee e anche le false informazioni.
La lotta contro le cattive informazioni si fa sul piano della conoscenza, fornendo informazioni migliori (e dimostrando che sono tali) e la lotta contro le cattive idee si fa sul piano della cultura, educandosi al giudizio, cioè ad un uso della ragione che fa i conti con la realtà e non la sottomette al proprio preconcetto ideologico.
Altrimenti si resta parte del problema, come il ben intenzionato autore di questo articolo. Anche perché, più ancora che delle “false informazioni”, dovremmo preoccuparci dell’assenza di informazioni. Venire a conoscenza per caso della notizia sottostante all’articolo, cioè del progetto di legge brasiliano, mi ha ricordato una cosa che è così evidente che quasi sempre finiamo per dimenticarcela: noi non sappiamo quasi niente del mondo in cui viviamo. Presi dall’illusione di essere la società più informata della storia, non vediamo la nostra cecità.
Nel caso specifico, che ho scelto come microesempio: vi risulta che qualcuno, nell’intero apparato mediatico italiano, abbia dato notizia e abbia approfondito il tema di questo inquietante progetto del governo brasiliano? Se qualcuno l’ha fatto, ha parlato molto sottovoce, perché non si è sentito. Ma perché parlarne? È deciso che ora in Brasile ci sono al governo “i buoni”. Non ci basta?
#TGP #FakeNews
[Fonte: https://leonardolugaresi.wordpress.com/2023/03/05/apologia-delle-fake-news/]
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