SULLA DEDOLLARIZZAZIONE E IL FUTURO CHE CI ATTENDE
di STEFANO D’ANDREA
Senza una moneta che sia universalmente accettata, e senza una moneta mondiale, che non si farà mai, se non dopo una gravissima crisi globale e un’altra guerra mondiale, gli scambi saranno soggetti a oscillazioni delle monete e avremo più paesi in squilibrio con la bilancia dei pagamenti.
E avremo più speculazione, che genera, incrementa e approfitta delle crisi delle bilance dei pagamenti.
I paesi in squilibrio saranno costretti a ricorrere a una politica commerciale protezionista, con aumento dell’inflazione. E il ricorso di tanti paesi al protezionismo renderà vani dazi e tariffe e allora molti paesi, anche perché i capitali tenderanno a fuggire da tutti i paesi in crisi, torneranno a vincolare la circolazione dei capitali, non concedendo (più precisamente concedendo limitatamente) monete estere ai propri imprenditori che le chiedano alle banche del paese per importare beni, ed escludendo esportazioni di monete nazionali non legate alle esigenze del commercio.
In definitiva la de-dollarizzazione comporta più squilibri non meno squilibri; più speculazione non meno speculazione; lotta degli Stati contro il capitale finanziario, non finanziarizzazione, più paesi con alta inflazione e ovviamente lo squilibrio di maggiore importanza sarà quello statunitense; più disoccupazione non meno; solo le emigrazioni forse a un certo punto diminuiranno, visto che non ci saranno paesi che saranno solidi e capaci di offrire lavoro, salvo in Asia.
E l’esito di questo lungo processo di crisi è imprevedibile, essendo la guerra mondiale una delle possibilità.
I pavidi per carattere, coloro che non amano rischiare, coloro che accettano serenamente una povertà dignitosa, coloro che preferiscano all’incertezza un’ingiustizia strutturale e una decadenza civile e sociale, possono temere la de-dollarizzazione, non volerla e tifare contro di essa.
E tuttavia ciò non servirà, se mai il tifo serva a qualcosa, perché il processo di crisi ha una sua oggettività.
La storia è tornata alla grande. Coloro che amano la storia, le novità, l’incertezza, i conflitti, l’indipendenza dei popoli e quindi degli Stati, e sanno che questa visione implica l’accettazione di rischi e crisi, possono gioire, perché vedranno lo spettacolo nella vita reale, anziché nei film o nei sogni.
Questo processo di crisi è ciò che caratterizzerà i prossimi dieci anni.
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