Prepararsi alla prossima pandemia – da Foreign Affairs, luglio/agosto 2005
di Michael Osterholm
(direttore del Centro per la ricerca e la gestione delle malattie infettive – Ufficio affari esteri, USA)
Ringrazio Marina de Carneri del FSI di Rovereto per la segnalazione.
Si tratta di un paragrafo di un lungo articolo, nel quale si ipotizzavano tre scenari: pandemia improvvisa; pandemia tra un anno e pandemia tra dieci anni. Il paragrafo che segue è quello relativo alla pandemia improvvisa (SD’A).
Iniziare stanotte
Cosa potrebbe succedere stanotte se in alcune città del Vietnam scoppiasse improvvisamente un’epidemia di H5N1? Prima di tutto ci sarebbe una corsa ai dati ufficiali degli enti governativi per conoscere a che punto è la sorveglianza della malattia, per sapere quali paesi hanno una buona possibilità di avere casi legati all’epidemia. Successivamente, si deciderebbe di chiudere i confini almeno in alcuni Stati, senza nessuna indicazione di quando potrebbero essere riaperti. La chiusura dei confini sarebbe necessaria anche per tutelare le nazioni che avessero già pensato all’eventualità di vaccinare i propri cittadini. I comandanti militari poi studierebbero delle strategie per difendere il paese anche da eventuali insurrezioni intestine nelle nazioni colpite. Ma non solo, anche nelle nazioni indenni si svilupperebbero caos e panico soprattutto di fronte alle notizie mediatiche della progressiva diffusione del virus nel mondo.
L’economia a quel punto sarebbe in ginocchio. Ogni nazione dovrebbe prevedere un piano di sopravvivenza solo con le proprie risorse per almeno 12-36 mesi. Sia i settori privati che pubblici dovrebbero identificare dei referenti interni a cui rivolgersi per soddisfare il bisogno di beni di prima necessità. Nello stesso tempo se il paese venisse infettato la forza lavoro calerebbe perché si ammalerebbe il 50% della popolazione con una mortalità del 5%. E il virus potrebbe colpire i responsabili del piano di contenimento della crisi come chiunque altro.
Potrebbero esserci carenze di cibo, sapone, carta, lampadine, carburante, pezzi di ricambio per strumenti militari, distribuzione dell’acqua, medicine. Le industrie di beni non indispensabili come quelle di indumenti, elettronica, automobili potrebbero subire un tracollo per l’assenza di domanda e chiuderebbero. Le attività che implicano uno stretto rapporto umano come le scuole, i teatri e i ristoranti sarebbero chiusi.
Il vaccino non avrebbe nessun effetto prima di un mese e avrebbe anche un limitato effetto durante i successivi 12-18 mesi dall’inizio della pandemia. Nonostante gli altri vaccini facciano ricorso a conoscenze innovative, quello dell’influenza utilizza strumenti fragili e limitati basati su una tecnologia che risale agli anni ’50. Oggi la produzione di vaccino antinfluenzale si aggira attorno ai 300 milioni di dosi annuali per quello trivalente o a 1 miliardo di dosi per il monovalente. Considerando la comparsa di un nuovo ceppo virale, la protezione delle persone sarà garantita solo dopo 2 inoculazioni vaccinali. Con i numeri di oggi questo significa che meno di 500 milioni di persone, circa il 14% della popolazione mondiale, riuscirà ad essere vaccinato entro un anno dallo scoppio della pandemia. In più visto che la struttura del virus cambia in fretta, la produzione di vaccino può iniziare solo una volta che la pandemia è scoppiata, per garantire di produrre un vaccino per un virus quanto più nuovo possibile. Dallo scoppio della pandemia si stima possano passare 6 mesi per arrivare al vaccino finito.
Anche ammettendo che tutte queste tappe funzionino, il vaccino influenzale è prodotto solo in 9 nazioni: Australia, Canada, Germania, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Gran Bretagna e Stati Uniti. Questi paesi contano solo il 12% della popolazione mondiale. In caso di pandemia influenzale probabilmente queste nazioni terranno i vaccini per i propri cittadini, come è già
successo nel 1976 quando gli Stati Uniti, anticipando una pandemia di influenza suina (H1N1), si sono rifiutati di condividere il vaccino con le altre nazioni.
Se accadesse una pandemia avremmo comunque un’altra arma: i farmaci antivirali. Se presi ogni giorno durante il periodo di esposizione al virus sono in grado di prevenire l’insorgenza della malattia. Sono anche in grado, se presi entro 48 ore dall’esposizione al virus, di ridurre i sintomi e le complicanze. Purtroppo non ci sono dati che garantiscano che gli antivirali abbiano la stessa efficacia anche per il ceppo H5N1, e non si è certi che possano avere efficacia in caso di pazienti che abbiano già sviluppato la forma polmonare grave con rilascio di citochine.
Per combattere la pandemia gli antivirali potrebbero essere essenziali, ma anche per questi farmaci si pone il problema della quantità di scorte, inoltre per la maggior parte dei paesi non sarebbero utilizzabili per l’alto costo. […] Anche gli antibiotici per curare le infezioni batteriche di eruzione secondaria avranno gli stessi problemi. Anche oggi, negli Stati Uniti, le scorte di otto diversi agenti antinfettivi sono ridotte, per problemi industriali di produzione.
Al di là del problema farmacologico, molti paesi non saranno in grado di affrontare l’ondata di richiesta di servizi sanitari, che oggi sono dati per scontati. Negli Stati Uniti, per esempio, ci sono 105.000 respiratori automatici, 75.000-80.000 dei quali sono già in uso durante tutte le ore di tutti i giorni. Durante una stagione influenzale il numero di respiratori in uso arriva a
100.000. In una pandemia influenzale, gli Stati Uniti potrebbero aver bisogno di centinaia di migliaia di respiratori in più.
La stessa situazione si ripete anche negli altri paesi industrializzati. In proiezione tutto l’equipaggiamento medico degli ospedali potrebbe essere insufficiente entro qualche giorno dallo scoppio di una pandemia. Attualmente due industrie statunitensi forniscono in tutto il mondo la maggior parte delle mascherine di protezione per chi lavora nella sanità.
Ma queste non sarebbero in grado di sopperire all’aumento di domanda in caso di pandemia, perché le materie prime arrivano da diversi paesi, quindi se si interrompessero i trasporti non si avrebbe la possibilità di produrre più mascherine.
Anche le organizzazioni sanitarie e i medici sono impreparati all’eventualità di una pandemia.
Ci sarà bisogno di un enorme quantità di assistenza medica. Nuovi ospedali sarebbero improvvisati all’interno di scuole e centri almeno per 1-3 anni. I medici si ammaleranno e moriranno come chiunque altro, anzi probabilmente in percentuale maggiore se non avranno la possibilità di usufruire di equipaggiamento di protezione. È probabile che si arruolino allora come aiuto-medico dei volontari che abbiano sviluppato una risposta immunitaria nei confronti dell’influenza, avendola contratta e avendola superata. E questo andrebbe contro la riconosciuta resistenza della comunità medica ad accettare volontari nel loro lavoro, andrebbero quindi riviste le norme giudiziarie e professionali.
Ma ci si dovrebbe porre questioni più delicate. Chi deve stabilire le priorità nell’accesso a scorte limitate di farmaci antivirali? I cittadini potrebbero ritenere qualsiasi criterio di scelta un’ingiustizia, creando dissenso e rivolte. In più non siamo dotati di regolamentazione di smaltimento di un numero enorme di cadaveri come quello che potrebbe esserci. È evidente come, in caso di pandemia, sia necessario pianificare tutto, sia dal punto di vista medico che non, e interessando tutti i piani sociali di tutte le nazioni.
Traduzione e adattamento a cura della redazione di EpiCentro.
L’intero articolo può leggersi alla fonte:
https://www.epicentro.iss.it/focus/flu_aviaria/pdf/Prossima_Pandemia.pdf
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