Tedeschi al fronte
di La Fionda (Wolfgang Streeck)
Rivisto e tradotto da Marco Baldassari
Secondo la Legge di Hofstadter, ovviamente derivante da quella di Murphy, “tutto richiede più tempo di quanto pensi”. L’anno scorso il primo a conoscerla in grande stile è stato il signore della guerra russo, Putin, che ovviamente avrebbe potuto risparmiarsi lo shock seguendo le indicazioni di Trotsky e Mao Zedong e dedicando un po’ di tempo alla lettura di Clausewitz. Non essendo riuscito a conquistare Kiev con la sua Operazione Militare Speciale – programmata per concludersi nel giro di una o due settimane per porre fine una volta per tutte al fascismo endogeno e all’occidentalismo esogeno dell’Ucraina – Putin ha dovuto affrontare la spiacevole prospettiva di un’operazione su vasta scala, una guerra di durata indefinita, non solo con l’Ucraina ma anche, in un modo o nell’altro, con gli Stati Uniti.
Meno di un anno dopo, una simile rivelazione l’ebbe il suo omologo americano, Biden. Nessuna vittoria ucraina all’orizzonte e la raffica di sanzioni economiche contro la Russia e contro gli oligarchi amici di Putin, sorprendentemente, non avevano compromesso la capacità russa di mantenere il Donbass e la penisola di Crimea. Le elezioni di medio termine del novembre 2022, in cui i Democratici hanno perso la maggioranza alla Camera, hanno inequivocabilmente messo in evidenza che la disponibilità dell’elettorato americano a finanziare l’avventura Biden-Blinken-Sullivan-Nuland è tutt’altro che illimitata. In effetti, la guerra di logoramento senza fine che sta prendendo forma ora è sempre più vista come un potenziale problema per le elezioni presidenziali del 2024.
Essendo fuori discussione un altro ritiro in stile Afghanistan come nel 2021, rimasto nella memoria di un pubblico americano ancorché notoriamente distratto, e non avendo Putin altra scelta che resistere o essere eliminato, spetta ora all’amministrazione Biden decidere come la guerra si svilupperà. All’inizio di marzo 2023, sembrava che gli Stati Uniti dovessero scegliere in fretta tra due ampie alternative. La prima è l“uscita cinese”. A partire dalla visita di Scholz di un solo giorno a Pechino, il 4 novembre, la Cina e Xi in persona hanno ripetutamente sottolineato che l’uso di armi nucleari, comprese quelle tattiche sul campo di battaglia, debba essere escluso in ogni circostanza. Per ovvi motivi, ciò preoccupava la Russia più degli Stati Uniti o dell’Ucraina, date le carenze ora ampiamente visibili delle forze convenzionali della Russia. Con un budget militare di poco superiore a quello tedesco – quest’ultimo giudicato deplorevolmente inadeguato dalla prospettiva della Zeitenwende – la Russia, a differenza della Germania, deve mantenere una capacità nucleare e strategica intercontinentale, pari a quella degli Stati Uniti. Questo lascia poco spazio per le sue forze convenzionali. Le conseguenze sono diventate evidenti quando l’esercito russo si è rivelato incapace di prendere Kiev, a soli 300 chilometri circa dal confine russo-ucraino.
Facendo capire alla Russia, dipendente dalla Cina come suo alleato più vicino e più potente, che una risposta nucleare a un’avanzata ucraina armata dagli americani non sarebbe stata gradita, la Cina ha fatto un favore importante agli Stati Uniti e alla NATO. Abbastanza importante da rendere difficile credere che sarebbe stato offerto senza qualche contropartita. Le indicazioni sono che, in cambio, gli Stati Uniti hanno dovuto impegnarsi a mantenere la forza militare dell’Ucraina a un livello tale da non poter creare una situazione che costringerebbe la Russia a ricorrere alle armi nucleari. Il risultato di un’intesa come questa, ammesso che esista, cosa probabile, sarebbe essenzialmente quello di “congelare” la guerra: creare uno stallo attorno alle attuali posizioni territoriali dei due eserciti, che potrebbe durare anni.
Inoltre, se gli Stati Uniti lo volessero, una diplomazia di questo tipo, sotto l’egida della Cina, potrebbe avanzare ulteriormente. Non ci vuole molto per passare da una situazione di stallo a un cessate il fuoco, e forse da lì a qualcosa come un accordo di pace, anche se si rivelasse sporco come in Bosnia e in Kosovo. Gli Stati Uniti dovrebbero convincere il governo ucraino, il che non dovrebbe essere troppo difficile dato che gli Stati Uniti hanno contribuito in primo luogo ad insediarlo: “Il Signore dà e il Signore toglie; sia lodato il nome del Signore”. Da una prospettiva americana, tuttavia, un problema importante in questo tipo di risoluzione sarebbe che i cinesi, in cambio dei loro buoni servizi e, in effetti, del loro aiuto con la rielezione di Biden, potrebbero aspettarsi una concessione in Asia che renderebbe più difficile per Biden fare ciò che evidentemente vorrebbe fare dopo l’Ucraina: attaccare la Cina in un modo o nell’altro, per sfuggire a quella che è stata chiamata, nell’attuale dibattito strategico negli Stati Uniti, la “trappola di Tucidide”: la posizione in cui un egemone in carica deve attaccare abbastanza presto un rivale in ascesa per essere sicuro di prevalere.
Per quanto allettante possa essere la prospettiva di una via d’uscita dal pantano ucraino, ci sono segnali che gli Stati Uniti si stiano indirizzando verso un secondo approccio alternativo, che potremmo chiamare l’europeizzazione, cioè la germanizzazione, della guerra. Vi ricordate della vietnamizzazione? Anche se allora non aveva funzionato – alla fine gli Stati Uniti furono sconfitti, non il loro sostituto regionale, che non era mai stato altro che un’invenzione dell’immaginazione americana – l’operazione aveva tuttavia dato un po’ di respiro agli Stati Uniti. Aveva anche consentito alla macchina della propaganda di vendere al pubblico americano la prospettiva di un onorevole ritiro dal campo di battaglia, una battaglia affidata a un alleato in buona fede politicamente affidabile e militarmente capace. Non esisteva un simile alleato nel sud-est asiatico negli anni ’60, ma nell’Europa degli anni ’20 le cose potrebbero forse essere diverse. A differenza dell’Afghanistan, gli Stati Uniti potrebbero riuscire a dissociarsi lentamente dall’attività operativa della guerra – per presidiarla anziché condurla – lasciando a un subcomandante locale il supporto materiale, le decisioni tattiche e la consegna di cattive notizie al governo ucraino. E se le cose dovessero andare male, può sempre servire da capro espiatorio.
Chi potrebbe fare il lavoro? Chiaramente non l’Unione Europea. La sua leader, Ursula von der Leyen, quando era ancora ministro della difesa si era trasferita a Bruxelles, ampiamente considerata un’incompetente, è sfuggita solo per un pelo a un’indagine parlamentare sulla sua pietosa prestazione. Ancora più importante, l’UE non ha soldi veri, e chi decide a Bruxelles su cosa e con chi è ancora un mistero anche per gli addetti ai lavori, il che tipicamente porta a decisioni lente, ambigue e irresponsabili – non utili in una guerra. Né l’incarico può essere affidato al Regno Unito, che uscendo si è tagliato fuori dalla macchina legislativa dell’UE. Inoltre, il Regno Unito funge già da collaboratore globale per gli Stati Uniti, aiutandoli a costruire un fronte mondiale contro la Cina, potenzialmente il prossimo obiettivo della sua guerra eterna. Altrettanto fuori discussione è il famoso “tandem” franco-tedesco, un aggeggio di cui nessuno sa con certezza se sia qualcosa di più di una chimera giornalistica o diplomatica.
Ci rimane solo la Germania – e in effetti guardando indietro si ha la sensazione che da tempo gli Stati Uniti la stiano preparando a diventare il suo luogotenente per la sezione ucraina della guerra globale dei “valori occidentali”. La germanizzazione del conflitto eviterebbe all’amministrazione Biden di doversi indebitare con i cinesi per averla aiutata a ritirarsi da una guerra che minaccia di diventare impopolare a livello nazionale. Gli sforzi per arruolare i tedeschi come ausiliari europei possono attingere all’eredità della seconda guerra mondiale, che include una forte presenza militare statunitense in Germania, ancora basata in parte su diritti che risalgono alla resa incondizionata del paese nel 1945. Sono circa 35.000 i soldati americani di stanza in Germania, con 25.000 familiari e 17.000 dipendenti civili, più che in qualsiasi altra parte del mondo tranne, a quanto pare, a Okinawa. Sparsi in tutta la nazione, gli Stati Uniti mantengono 181 basi militari, la più grande delle quali sono Ramstein in Renania-Palatinato e Grafenwöhr in Baviera. Ramstein è stata utilizzata come quartier generale operativo nella Guerra al Terrore – tra l’altro coordinando i voli navetta per i prigionieri di tutto il mondo a Guantanamo – e continua ad essere il posto di comando per gli interventi americani in Medio Oriente. Le basi americane in Germania ospitano un numero imprecisato di testate nucleari, alcune delle quali destinate all’aeronautica tedesca, da sganciare su obiettivi specificati dagli Stati Uniti, utilizzando cacciabombardieri certificati dagli Stati Uniti (sotto gli auspici di quella che viene chiamata “partecipazione nucleare”).
Ci sono stati momenti nel dopoguerra in cui i governi tedeschi hanno cercato di sviluppare una propria politica di sicurezza nazionale – come la distensione di Willy Brandt, vista con sospetto da Nixon e Kissinger; il rifiuto di Schröder, insieme a Chirac, di unirsi alla “Coalition of the Willing” nella sua fallita ricerca di armi di distruzione di massa in Iraq; il veto della Merkel nel 2008, insieme a Sarkozy, all’ingresso dell’Ucraina nella Nato; Il tentativo della Merkel con Hollande, culminato negli accordi di Minsk I e II, di mediare una sorta di accordo tra Russia e Ucraina; e l’ostinato rifiuto della Merkel di prendere sul serio l’obiettivo della NATO di un bilancio della difesa del 2% del PIL. Entro il 2022, tuttavia, il declino del Partito socialdemocratico e l’ascesa dei Verdi avevano indebolito la capacità tedesca e anzi il desiderio di un minimo di autonomia strategica. Ciò è stato evidenziato due giorni dopo l’inizio della guerra nel discorso denominato Zeitenwende (“punto di svolta”) di Scholz al Bundestag, che semmai era una promessa agli Stati Uniti che l’insubordinazione tipo quella di Brandt, Schröder e Merkel non si sarebbe più verificata.
Scholz potrebbe aver sperato che il fondo speciale di 100 miliardi di euro (Sondervermögen) accantonato per potenziare la Bundeswehr, tutto finanziato dal debito e quindi invisibile nei conti fiscali standard, avrebbe placato ogni residuo sospetto di disobbedienza tedesca. Invece, il primo anno di guerra vide una serie di prove della reale sincerità della conversione tedesca, dal pacifismo del dopoguerra all’occidentalismo anglo-americano. Quando non più di poche settimane dopo il discorso della Zeitenwende, osservatori scettici notarono che i 100 miliardi di euro non avevano nemmeno iniziato a essere spesi, non fu sufficiente per il governo tedesco sottolineare che il nuovo “hardware” doveva essere ordinato prima che potesse essere pagato, e che prima di poter essere ordinato doveva essere scelto. Così, per mostrare la sua buona volontà, la Germania si è affrettata a firmare un contratto per 35 F-35 con il governo degli Stati Uniti e non, come si potrebbe pensare, con i suoi produttori, Lockheed Martin e Northrop Grumman. L’aereo, voluto fortemente dal ministro degli Esteri dei Verdi, sostituirà la presunta obsoleta flotta Tornado che la Germania mantiene per la sua “partecipazione nucleare”. Per un prezzo stimato di 8 miliardi di dollari comprese le riparazioni e la manutenzione, gli aerei dovrebbero essere consegnati verso la fine del decennio, con l’unica condizione che il governo americano possa aggiustare unilateralmente il prezzo al rialzo, se lo riterrà opportuno.
Come si è scoperto, l’accordo sugli F-35 ha dato ai tedeschi solo una breve tregua. Mentre negli uffici dei servizi e tra i lobbisti della Germania si litiga su cosa sarebbe stato meglio spendere il resto del fondo, Scholz, per placare l’impazienza americana, licenziò il ministro della difesa, una vecchia scribacchina della SPD, che era stata nominata contro la sua volontà, per soddisfare immaginarie richieste pubbliche riguardo la parità di genere. Poco prima del suo licenziamento, uno dei suoi aspiranti successori, in qualità di difensore civico della Bundeswehr, ha chiesto che i 100 miliardi di euro fossero aumentati a 300 miliardi. Pochi giorni dopo l’incarico passò a un’altra persona, Boris Pistorius, fino ad all’allora ministro degli interni dello stato della Bassa Sassonia, uomo anch’egli privo di esperienza militare ma che irradiava qualcosa di simile a una competenza manageriale a tutto tondo. Tra le prime cose, fece in modo di risolvere un’ambiguità fino ad allora mantenuta nel discorso della Zeitenwende, ovvero se i 100 miliardi di euro avessero portato il bilancio regolare della difesa fino al 2% sancito dalla NATO, o se dovevano essere aggiunti al 2%, come una multa per negligenza passata. Secondo Pistorius si trattava di questo, quindi la spesa per la difesa regolare dovrebbe crescere di 10 miliardi di euro ogni anno, per diversi anni, al di sopra e al di là di quanto speso dal Sondervermögen. Del resto, quando il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, in procinto di diventare capo della banca centrale norvegese – una sinecura se mai ce n’è stata una – fece sapere che il 2% era ormai solo il minimo, Pistorius fu tra i primi essere d’accordo.
Nel frattempo, nel settembre 2022, la prova successiva, ancora più dura, è stata la distruzione dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 da parte, secondo Seymour Hersh, di una squadra di sicari americano-norvegesi. Qui il compito del governo tedesco era di fingere di non avere idea di chi fosse stato, di tacere sulla questione e di convincere la stampa a fare lo stesso o a dire al pubblico che “Putin” era il colpevole. Questa prova è stata brillantemente superata. Poche settimane dopo l’evento, quando un membro del Bundestag – solo uno su 709 parlamentari – ha chiesto al governo cosa ne sapesse, gli è stato risposto che per motivi di Staatswohl – di ragion di Stato – a tali domande non sarebbe stata data risposta: non ora, non in futuro. (Il giorno dopo che Hersh aveva reso pubbliche le sue scoperte, il Frankfurter Allgemeine ha pubblicato un articolo dal titolo “Kreml: USA haben Pipelines beschädigt” (Cremlino: Gli USA hanno danneggiato le Pipelines).
Un altro test di lealtà, anche questo più lungo e cumulativo, condotto parallelamente alla battaglia del bilancio, ha riguardato la consegna di armi e munizioni all’esercito ucraino. Dal 2014 l’Ucraina è stato l’unico paese industrializzato con l’aumento annuo di gran lunga più alto nella spesa per la difesa, pagata non dai suoi oligarchi ma dagli Stati Uniti, nel perseguimento della cosiddetta “interoperabilità” tra l’esercito ucraino e la NATO (dichiarata ufficialmente da raggiungere nel 2020). Se questo può essere stato motivo di preoccupazione tra i generali russi – che erano sicuramente consapevoli dell’abbandono delle loro forze convenzionali in seguito alla decisione di Putin di tenere il passo con la modernizzazione delle forze nucleari americane – dal primo giorno dell’attacco russo agli stati della NATO è stato chiesto di inviare armi in Ucraina, sempre più potenti e in numero crescente. Quando è divenuto ovvio che l’Ucraina non sarebbe stata in grado di reggere il confronto senza un costante afflusso di sostegno materiale da parte di un rinato Occidente, gli Stati Uniti hanno insistito sul fatto che i paesi europei sopportassero una quota crescente del fardello, in particolare quelli colpevoli di aver trascurato le loro forze armate, soprattutto Germania.
Ben presto è emerso, tuttavia, che gli eserciti nazionali erano poco entusiasti di dover cedere all’Ucraina alcune delle loro attrezzature più preziose e importanti, sostenendo che ciò avrebbe diminuito la loro capacità di difendere i propri paesi. Alla base della loro riluttanza potrebbe esserci stato il timore che ciò che davano agli ucraini potesse cadere nelle mani del nemico, essere danneggiato irreparabilmente sul campo di battaglia, o venduto sul mercato nero internazionale, senza alcuna speranza di rimborso, nemmeno per le attrezzature formalmente in prestito. Un’altra preoccupazione riguardava le prospettive di riarmo, una volta che la guerra fosse finita e l’Ucraina dovesse essere ricostruita – meglio di prima – dall’Europa, come promesso instancabilmente da Bruxelles. C’erano anche preoccupazioni, espresse in pubblico da ufficiali, militari di alto rango in pensione, nei confronti dei paesi europei coinvolti in guerra, i cui governi avevano lasciato agli ucraini il compito di determinarne condotta e gli obiettivi, come richiesto dagli Stati Uniti e dall’opinione pubblica. Non da ultimo, sembra esserci la preoccupazione che se la guerra finisse bruscamente, l’Ucraina avrebbe le forze di terra più grandi e meglio equipaggiate d’Europa.
Ancora una volta è stata la Germania, di gran lunga il paese più grande dell’Europa occidentale, che più di tutti ha dovuto dimostrare, sotto gli occhi attenti degli Stati Uniti e dei media internazionali, la sua disponibilità a “stare con l’Ucraina”. In un primo momento, l’allora ministro della difesa tedesco aveva offerto 5.000 elmetti e giubbotti antiproiettile per l’esercito ucraino e fu ampiamente ridicolizzato dagli alleati del paese e, ancor più, dal suo pubblico. Nei mesi successivi sono stati richiesti e forniti armamenti sempre più potenti, inclusi missili di difesa aerea come il sistema Iris-T, che non hanno nemmeno le truppe tedesche, e il potente Tank Howitzer (Panzerhaubitze) 2000. Ogni volta che il governo Scholz ha tracciato una linea rossa, è stato costretto ad oltrepassarla sotto la pressione dei suoi alleati e dei due partner minori della coalizione, i Verdi e i Liberali – il primo controlla il ministero degli Esteri, il secondo il comitato di difesa del Bundestag, presieduto da un deputato FDP di Düsseldorf, patria di Rheinmetall, uno dei maggiori produttori di armi in Europa e non solo.
Nell’inverno del 2022 il dibattito sull’armamento dell’Ucraina ha cominciato a concentrarsi sui carri armati. Su questo ambito, in particolare, la Germania doveva essere spinta a rifornire gradualmente modelli sempre più potenti, dai blindati al famoso carro armato Leopard 2, un successo di esportazione globale sviluppato da un consorzio guidato da, beh, Rheinmetall. (Circa 3.600 Leopard della più avanzata linea di prodotti 2A5-plus sono stati venduti in tutto il mondo a entusiasti sostenitori dei valori occidentali come l’Arabia Saudita, per assisterli nel loro instancabile sforzo di portare la pace nello Yemen). Scholz in un primo momento, come al solito, ha offerto una scusa dopo l’altra per cui, sfortunatamente, non è stato possibile fornire i Leopard 2. In parte perché i carri armati tedeschi sono impressi nella memoria storica russa, ma anche perché non c’erano segnali che la Germania avrebbe avuto voce in capitolo su come sarebbero stati usati i suoi carri armati (a circa 500 chilometri dal confine ucraino a Mosca). In risposta, alcuni alleati della Germania, in particolare Polonia, Paesi Bassi e Portogallo, hanno fatto sapere che, se la Germania non era disponibile, avrebbero donato i loro Leopard. La Polonia ha persino annunciato che avrebbe inviato i Leopard in Ucraina, se necessario, anche senza una licenza tedesca, un requisito legale della politica tedesca sull’esportazione di armi.
Il modo in cui questa storia si è svolta avrebbe potuto insegnare qualcosa per il futuro. Messa con le spalle al muro dai suoi alleati europei, la Germania non si oppose più all’invio dei Leopard in Ucraina, a condizione che anche gli Stati Uniti accettassero di fornire il loro principale carro armato, l’M1 Abrams (un altro successo di esportazione mondiale, con una produzione totale ad oggi di 9.000 pezzi). Come “primo passo”, la Germania ha promesso di fornire 14 dei suoi 320 Leopard, formando un reggimento di carri armati da consegnare all’Ucraina entro tre mesi. Da lì, avrebbe proceduto alla costruzione di due battaglioni di carri armati, con 44 Leopard 2 ciascuno, i propri e quelli attesi dai suoi partner europei – addestramento, pezzi di ricambio e munizioni inclusi – da consegnare pronti per la battaglia all’esercito ucraino. (Secondo le stime degli esperti, l’Ucraina richiederebbe circa 100 Leopard ultimo modello per un significativo miglioramento della sua capacità militare).
A questo punto, tuttavia, all’incirca durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, ci furono due spiacevoli sorprese. In primo luogo, si è scoperto che gli alleati europei della Germania, una volta superata la resistenza tedesca, avevano cercato ogni sorta di scusa per tenere in casa i loro Leopard, licenze di esportazione o meno, lasciando la fornitura di carri armati essenzialmente ai tedeschi (dopotutto, sono le forze armate della NATO che comandano un totale stimato di circa 2.100 Leopard, sia dei modelli 1 che 2). In secondo luogo, un’inchiesta americana del Wall Street Journal ha rivelato che i carri armati Abrams sarebbero stati pronti forse solo nel giro di qualche anno, una notizia che i negoziatori tedeschi sembravano aver trascurato, o che era stato loro chiesto di trascurare dalle loro controparti americane, e certamente la notizia non era stata condivisa con l’opinione pubblica tedesca.
Alla fine, quindi, il governo Scholz rimase con le mani in mano, rimasto praticamente l’unico fornitore di carri armati a Kiev. Ciò che rendeva la sua posizione ancora più scomoda era che proprio nel giorno in cui i tedeschi accettarono l’accordo dei Leopard, il governo ucraino dichiarò che, ora che era stato raggiunto l’accordo, i prossimi articoli nella lista dei desiderata sarebbero stati aerei da combattimento, sottomarini e corazzate, senza i quali non ci sarebbe stata speranza per l’Ucraina di vincere la guerra. (L’ex ambasciatore dell’Ucraina in Germania, un certo Andrej Melnyk, tornato a Kiev per ricoprire il ruolo di viceministro degli esteri, ha twittato il 24 gennaio, in inglese: “Alleluia! Gesù Cristo! E ora, cari alleati, stabiliamo una potente coalizione armata di jet per l’Ucraina con F-16 e F-35, Eurofighter e Tornado, Rafale e Gripen e tutto ciò che si può fornire all’Ucraina per salvarla!”) Oltre a questo, alla conferenza sulla sicurezza di Monaco la delegazione ucraina ha chiesto agli Stati Uniti e al Regno Unito bombe a grappolo e bombe al fosforo, bandite dal diritto internazionale ma, come hanno sottolineato gli ucraini, detenute in gran numero dai loro alleati occidentali. (La FAZ, sempre desiderosa di non confondere i suoi lettori, nel suo rapporto ha definito le bombe a grappolo “umstritten” – “controverse” – piuttosto che illegali.)
Per la coalizione di governo tedesca, ma anche per l’amministrazione Biden, una questione cruciale rispetto all’assegnazione di un ruolo guida alla Germania è se il pacifismo postbellico del Paese sia ancora abbastanza forte da interferire. La risposta è che potrebbe non esserlo. Non diversamente dagli Stati Uniti, l’abolizione della leva militare sembra aver reso più facile considerare la guerra un mezzo appropriato al servizio del bene: a differenza dell’Ucraina, figli, fidanzati, mariti tedeschi non rischiano di dover andare al campo di battaglia. In gran parte della generazione più giovane, l’idealismo morale copre il rozzo materialismo dell’uccidere e del morire. Dentro e attorno al partito dei Verdi è emerso qualcosa come un nuovo gusto per l’eroismo, in quella che fino a poco tempo fa era considerata una generazione post-eroica. Non ci sono più genitori, nonni che possano raccontare in prima persona la vita e la morte nelle trincee. Sono sorti i sogni di una guerra sterilizzata, eseguita rigorosamente secondo la Convenzione dell’Aia, almeno da parte nostra – non più una questione di guerra e pace ma di crimine e punizione, con l’obiettivo finale, al costo di centinaia di migliaia di vite umane, di Putin che deve essere processato in un tribunale.
Potrebbero esserci anche fattori specificamente tedeschi all’opera. All’interno della generazione dei Verdi il nazionalismo, come fonte di integrazione sociale, è stato effettivamente sostituito, più che altrove in Europa, da un pervasivo manicheismo che divide il mondo in due campi, il bene e il male. C’è un urgente bisogno di comprendere questo cambiamento nello Zeitgeist tedesco, che sembra essersi evoluto gradualmente ed è in gran parte inosservato. Implica che, a differenza di un mondo di nazioni, non ci può essere pace basata su un equilibrio di potere e interessi, ma solo una lotta incessante contro le forze del male, che sono essenzialmente le stesse a livello internazionale e interno. Chiaramente questo ha una certa somiglianza con la concezione americana della politica, condivisa sia dai neocon che dagli idealisti democratici, e incarnata da persone come Hillary Clinton. La sindrome sembra essere particolarmente forte nella parte sinistra dello spettro politico tedesco, che sarebbe stata in passato la base naturale di un movimento pacifista, o almeno “pro-cessate il fuoco”. Adesso, però, nemmeno Die Linke appoggerebbe la manifestazione pacifista organizzata il 25 febbraio da Sahra Wagenknecht e Alice Schwarzer, icona femminista tedesca, a rischio di smembrare il partito e di cessare di essere una forza politica.
Inoltre, i tedeschi del dopoguerra hanno avuto a lungo la tendenza ad ascoltare con simpatia i non tedeschi, auto attribuendosi carenze morali collettive e chiedendo umiltà in svariati modi. Difficile pensare in quale altro modo spiegare la straordinaria popolarità di cui godeva questo ambasciatore ucraino in Germania, Melnyk, fan spudorato del terrorista, collaborazionista nazista e criminale di guerra Stepan Bandera e del suo co-leader dei nazionalisti ucraini negli anni tra le due guerre e sotto l’occupazione tedesca, chiamato anche Andrej Melnyk. Via Twitter, Melnyk ha criticato pesantemente alcune figure di spicco della politica tedesca, dal Presidente federale, Frank-Walter Steinmeier, in giù, per non aver dimostrato sufficientemente il loro pieno sostegno all’Ucraina, in un linguaggio che in tutti gli altri paesi avrebbe portato alla revoca del suo accreditamento. Non c’era settimana in cui Melnyk non fosse invitato a uno dei talk show televisivi settimanali per accusare i leader politici tedeschi di cospirazione genocida con la Russia contro il popolo ucraino. Nominato vice ministro degli esteri nell’autunno del 2022, Melnyk ha continuato a figurare in primo piano nel dibattito tedesco sugli obblighi del paese nei confronti dell’Ucraina. Ad esempio, riferendosi a un articolo della Süddeutsche Zeitung in cui Jürgen Habermas sosteneva un cessate il fuoco in Ucraina per consentire i negoziati di pace, Melnyk ha twittato: “Che Jürgen Habermas sia anche così sfacciatamente al servizio di Putin mi lascia senza parole. Una vergogna per la filosofia tedesca. Immanuel Kant e Georg Friedrich Hegel si rivolterebbero nella tomba per la vergogna.” (Per valutare il tono di gran parte della discussione, si veda un tweet di un giovane aspirante comico, un certo Sebastian Bielendorfer: “Sahra Wagenknecht è semplicemente il guscio vuoto di un gruppo di cellule completamente mentalmente e umanamente depravato. Non dovrebbe essere invitata ai talk show, dovrebbe essere curata”. Il giorno dopo: “Twitter ha cancellato il tweet. Deplorevole. La verità rimane).
Alla luce di queste considerazioni, sembra esserci un tentativo concertato da parte degli Stati Uniti e della NATO di trascinare la Germania nella guerra, in una veste sempre più prominente e attiva. Nell’ultimo anno, altri paesi europei hanno imparato a spingere la Germania in avanti in modo che essi stessi possano rimanere ai margini (Paesi Bassi) o perseguire i propri interessi con maggiori possibilità di successo (Polonia e Stati baltici). La Germania, a sua volta, stanca di essere sollecitata dagli altri, potrebbe essere più incline ad andare da sola. Già l’anno scorso, i leader socialdemocratici, compreso il nuovo presidente del partito, Lars Klingbeil, hanno parlato della necessità della Germania di guidare l’Europa e della loro volontà di farlo. È importante sottolineare che la Francia non era più menzionata in questo contesto. Dopo aver preteso per troppo tempo di non essere coinvolta, una Germania più sicura di sé potrebbe ora andare da sola.
Un possibile ruolo che la Germania potrebbe giocare è quello di subappaltatore politico e militare privilegiato degli Stati Uniti. Dopo essere stata sufficientemente umiliata pubblicamente nelle vicende del Nord Stream e Leopard 2 ha capito che per evitare di essere spinta dagli Stati Uniti, la Germania deve essere pronta a guidare l’Europa per suo conto, ricevendo però ordini da Washington attraverso Bruxelles, essendo Bruxelles non l’UE ma la NATO. La linea di comando che sta emergendo è plasticamente visibile nell’ordine dei posti alle conferenze di Ramstein, con gli Stati Uniti, l’Ucraina e la Germania a capotavola. In questo quadro, la Germania sarebbe incaricata sia di approvvigionare che di finanziare qualsiasi arma che le forze ucraine possano ritenere di aver bisogno per la loro vittoria finale – con il rischio, se quella vittoria non dovesse concretizzarsi, di essere ritenuta colpevole, al posto degli Stati Uniti, di incompetenza, codardia, avarizia e, ovviamente, simpatia per il nemico.
Con il passare del tempo, la partecipazione tedesca indiretta alla guerra potrebbe diventare sempre più diretta: un pendio scivoloso, come il suo ruolo di fornitore di armi. Un numero considerevole di truppe ucraine viene già addestrato in Germania, presso basi americane, ma sempre più anche nella Bundeswehr, e non pochi tedeschi, per lo più radicali di destra, stanno combattendo in legioni internazionali con l’esercito ucraino. Molto presto, i Leopard che sono stati schierati dovranno essere sottoposti a manutenzione e riparati, il che potrebbe richiedere il loro rimpatrio in Germania. Rheinmetall ha annunciato che installerà un impianto in Ucraina per costruire circa 400 Leopard all’anno, ovviamente supponendo che la guerra durerà abbastanza a lungo da consentire l’entrata in funzione dei carri armati di produzione ucraina e che l’impianto sia redditizio. Ovviamente, la fabbrica dovrà essere protetta da difese aeree, gestite al meglio, si immagina, da squadre tedesche esperte. Per quanto riguarda gli aerei da combattimento, sarebbero stazionati più al sicuro lontano dal campo di battaglia, forse da qualche parte nella Renania dove esistono già le strutture necessarie per la loro manutenzione. Gli specialisti in diritto internazionale discuteranno se un sostegno dietro le quinte come questo renda o meno un paese un combattente; alla fine saranno i cinesi, non un tribunale, a decidere quali azioni la Russia può intraprendere in risposta.
La visita a sorpresa di Scholz a Washington il 4 marzo – nessuna informazione è stata resa disponibile da entrambe le parti su ciò di cui si è parlato, in una conversazione di 80 minuti con Biden – potrebbe aver comportato una lavata di capo per Scholz, Biden gli ha spiegato senza mezzi termini che cosa significa per la Germania, materialmente e militarmente, essere un alleato affidabile dell’Occidente. Potrebbe aver comportato anche accettare la “narrazione” che i servizi segreti americani hanno inventato per contrastare il rapporto Hersh: dire ai tedeschi che questo doveva essere il risultato preliminare ufficiale della loro stessa indagine, sottoponendoli così a un altro credo quia absurdum, test di prova per vedere quanto la Germania può sopportare per il bene dell’unità occidentale. Sorprendentemente, la storia che Washington sta diffondendo si riferisce a un “gruppo filo-ucraino”, presumibilmente responsabile dell’attacco, sebbene non sia stato chiarito che ci siano collegamenti con lo Stato ucraino, lasciando aperta la possibilità che possano esserci.
Molto probabilmente, Biden e Scholz potrebbero anche aver discusso su cosa fare quando il buonsenso di tutti gli esperti militari, abbastanza scontato, non potrà più essere tenuto segreto: che una guerra terrestre alla fine può essere vinta solo sul terreno. A questo punto bisognerà affrontare la questione di come sostituire i tanti soldati ucraini morti, feriti o dispersi. Potrebbe essere questa l’ora di un “esercito europeo”, addestrato dalla Bundeswehr e dotato, a spese tedesche, di prodotti di qualità della Rheinmetall e di altri? I volontari potrebbero essere reclutati dai paesi dell’Europa orientale o tra aspiranti immigrati provenienti da altri Paesi, con cittadinanza europea disponibile dopo il servizio reso, sulla falsariga del primo esercito europeo: le legioni romane multinazionali. I comandanti sul campo di battaglia, indispensabili anche in un’epoca di intelligenza artificiale, potrebbero quindi avere due passaporti, uno ucraino o uno “europeo”. Si potrebbero trovare altri modi per coinvolgere la Germania nella guerra, a meno di non tornare al servizio militare obbligatorio; poiché gli ucraini, secondo Von der Leyen, stanno dando liberamente la vita per i nostri “valori”, non ci sarebbe bisogno che la Germania ripristinasse la leva a rischio di perdere il sostegno popolare. Anche se non si sa mai.
C’è, tuttavia, un’altra strada che potrebbe essere presa con la Germania come franchisee europeo degli Stati Uniti. Ci sono segnali che le infinite richieste di armi da parte del governo ucraino hanno portato gli americani ad avere un atteggiamento sempre più disincantato nei confronti del loro alleato ucraino, soprattutto perché la volontà del Congresso di continuare a finanziare la guerra sta diminuendo. Sullo sfondo potrebbe anche esserci la memoria della richiesta pubblica di Zelenskyj di azioni nucleari da parte degli Stati Uniti per un presunto missile russo atterrato sul suolo polacco, che in seguito si è rivelato essere un missile ucraino mal indirizzato. A questo si aggiunge la richiesta pubblica di bombe a grappolo nel momento di esuberanza per il successo dei Leopard 2. Vista da questa prospettiva, la creazione da parte dei servizi segreti americani di un racconto alternativo della distruzione degli oleodotti Nord Stream potrebbe essere letta come un segnale di avvertimento per il governo di Kiev.
Ritirandosi dalla condotta operativa della guerra ucraina e appaltandola alla Germania, gli Stati Uniti potrebbero risparmiarsi l’imbarazzo di dover informare Kiev che il sostegno occidentale ai suoi obiettivi di guerra più ambiziosi non è illimitato. La Germania, da parte sua, può provare a fare ciò che a volte fanno gli agenti se il loro principale non può controllare tutto ciò che stanno facendo, presumibilmente per suo conto. Avendo assunto la leadership europea come richiesto dagli Stati Uniti, la Germania potrebbe trovarsi nella posizione di respingere i tentativi ucraini di trascinarla più a fondo nella guerra. Forse potrebbe mirare a qualcosa di più di un semplice congelamento del conflitto, a qualcosa di simile a una soluzione sulla falsariga di Minsk II. Aiutando gli Stati Uniti a liquidare parte della loro posizione in Ucraina, potrebbero finire per rinsaldare una bella amicizia.
Se la Germania sarà effettivamente in grado di farlo dipenderà in parte dalla capacità di mitigare il nuovo entusiasmo per la guerra che ha preso piede nell’opinione pubblica tedesca, in particolare nella sua componente “greenish”. Baerbock e i suoi seguaci denunciano come tradimento e disprezzo per la missione ucraina qualsiasi cosa che non sia sufficiente per un cambio di regime a Mosca. Gli spiriti evocati per realizzare la Zeitenwende potrebbero non andarsene facilmente quando gli verrà ordinato di farlo. La retorica del primo anno di guerra potrebbe aver precluso per il momento qualsiasi pacificazione al di fuori della vittoria totale, rendendo impossibile porre fine in breve tempo al massacro, anche dopo che gli Stati Uniti hanno perso interesse. C’è anche il fatto che la demolizione del gasdotto ha, probabilmente intenzionalmente, privato la Germania della possibilità di offrire alla Russia una ripresa della fornitura di gas in cambio della sua partecipazione a un processo di pace, unito idealmente anche con una tabella di marcia – per non menzionare l’intera selva di sanzioni economiche gestite, de facto, dagli Stati Uniti.
Durante la ribellione dei Boxer nel 1900, il corpo di spedizione europeo guidato da Sir Edward Hobart Seymour, ammiraglio della Royal Navy, era in viaggio da Tientsin a Pechino. Vicino alla sua destinazione incontrò una feroce resistenza cinese. Nel momento di maggior bisogno, l’ammiraglio Seymour impartì quest’ordine al comandante del contingente tedesco, Kapitän zur See von Usedom: “I tedeschi al fronte!” La tradizione militare tedesca vede con orgoglio l’episodio, come un momento di supremo riconoscimento per la sua bravura. La storia a volte si ripete.
Titolo originale e fonte: W. Streeck, The Germans to the Front in SIDECAR: https://newleftreview.org/sidecar/posts/germans-to-the-front
Fonte: https://www.lafionda.org/2023/04/01/tedeschi-al-fronte/
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