Gli angeli caduti sono tra noi. Uno (Pasolini) è stato accoppato all’idroscalo
da BARBADILLO (Gianfranco Andorno)
Nella notte dell’uno novembre 1975 al lido di Ostia un’Alfetta, forse non la sua, lo schiaccia. Forse un suicidio assistito, quasi invocato, a sopire quella febbre che lo divora
Pier Paolo Pasolini in una foto di Domenico Notarangelo
Al Mandrione Porta Furba e la Fontana Bella, il budello dell’acquedotto Felice. I nomi paiono apposti a cauterizzare quel verminaio, una velatura beffarda. Le baracche, i campi brulli da palazzinare: saranno colombari. Nel futuro le licenze truffaldine del sostituto da agricolo a edificabile.
Dalla caserma di Pietralata portavano le divise a lavare. Donne contigue prestavano lo stesso strumento donato dalla Provvidenza. Le une strofinavano e strizzavano gli indumenti, le altre si spalancavano e offrivano labbra divenute, con il tempo, ferite inerti, analgesiche, come l’anima. Le rade luci e i falò lucciole per il percorso di una via crucis iconoclasta. Il Poeta non ha scelto la lavanderina ma l’altra.
Dapprima ha avuto una curiosità antropologica per le borgate romane e i suoi rozzi abitanti, poi il lampo. Lui odia il capitalismo con la sua forza corruttiva, lo urla in ogni verso. Ebbene loro saranno la chiave che lo scardinerà. Ha conosciuto anche la vergogna per i giochi ancestrali con i pastorelli a Casarza. È dovuto fuggire. Ecco, come un ispettore dei Nas controlla i ripostigli della cucina del neocapitalismo. E trova lo sporco che definisce “l’universo orrendo”. Il sottoproletariato! È come spulciare un Bilancio, scoprire azioni e fondi spazzatura. Junk, junk! Mostra quei tuguri e quei cavernicoli, diventa impresario di circo, di Luna Park. Ha la donna barbuta, l’agnello bicefalo e il bagonghi nano. Costruisce quella che per Il Contini è una epopea picaro-romanesca.
Però questo comporta uno sfruttamento dei fenomeni esposti. Nel quotidiano delle sue incursioni è una zecca, il ladro della loro primitiva vitalità, del loro integro senso della vita. Si fa santone impone le mani e li assolve in nome della loro sacralità autoctona. Del loro essere creature. Il loro gergo è quasi un grammelot balbettato: lo adotta, lo plagia. Per irretirli si propone a loro come uno sciamano, dal suo apogeo di cultura. Di quell’alveare balordo, brulicante, è despota regina. Li convince con un taumaturgico: “Sarete famosi!” e li imprigiona nella gabbia della pellicola. Solo alcuni con Citti, Davoli, porta a pascolare nella vituperata società del benessere, un controsenso. Gli altri resteranno a razzolare nella melma del porcilaio. Lui non è un assistente sociale, un Don Bosco. Il Poeta non esce indenne dall’impresa e purtroppo subisce anche i rimbrotti di Gramsci che è brusco: “Gli intellettuali chi credono di essere? Sono una classe sociale con il complesso della mosca cocchiera, considerano le masse sempre bambine da vispa Teresa!” Il Poeta va sovente al cimitero degli acattolici a Testaccio, accanto alla piramide di Cestio. Rimesta le sue ceneri, ne attinge coraggio e rifiuto.
A giustificarsi con Gramsci il Poeta sciorina il suo provvido alibi letterario. È contro il Petrarca conservatore ed è con il Dante popolare, quello delle terzine biascicate a memoria dai nonni. È contro l’italiano letterario, nella civiltà borghese scorge l’impotenza dell’esprimersi. Abbandona il poeticismo e l’impoeticità, cerca nella poesia il sacro ma piegandola alla politica, al romanzo epico lirico la ingravida, l’appesantisce, la fa stramazzare. Fortini materializza la sua sineciosi, la lotta ad accostare due opposti con un unico verbo. Un tentativo più arduo dell’ossimoro che lo dilanierà per tutto il percorso, non si risparmierà, getterà sulla bilancia anche il corpo.
Pubblica libri che sono cazzotti nei denti ai bigotti. (Ragazzi di vita, Una vita violenta…) Sberle mollate a chi? A un’etnia di topi che smesse le vestigia della gloria fuggono dallo scafo che naufraga e corrono a festeggiare il nuovo mugnaio. Topi che diventano ometti, magari quelli laboriosi di Bruegel, ma dall’ego gonfio e adiposi. Corroborati e messi all’ingrasso dai boom economici. Vanamente il Poeta cercherà di metterli a dieta. Il Poeta scrive, tiene conferenze, provoca, disturba la quiete del serraglio e avviene l’inciucio, la combine. L’autorità lo colpirà con innumerevoli denunce e sequestri per oscenità con esiti nulli, a dimostrare di voler salvaguardare i valori. E lui sarà promosso perseguitato assicurandosi una gran notorietà. La magistratura e la polizia gli tendono le braccia dello Stato per non fare di lui un paria come vorrebbe.
Nella famiglia del Poeta c’è un padre sconfitto che resta guerrierosolo in casa. Il brando arrugginito lo usa con la moglie e i figli. La moglie madre è Susanna. Ci sono madri che non tranciano il cordone ombelicale, lei è così. Ed ecco il rimando, una supplica:“Sei insostituibile… è dannata la vita che mi hai dato. Ho fame d’amore, di corpi senz’anima… L’anima sei tu… il tuo amore è la mia schiavitù.”
C’è un fratello, Guido Alberto, Ermes in battaglia, che sarà nel 1945 eroe tragico ma assurdo nell’eccidio di Porzius, per una faida tra rossi. “Il morto giovanetto” nei reading. Per nascondere la mano sbagliata la diranno di partigiani iugoslavi. Non è vero, erano gappisti di Udine delle Brigate Garibaldi comandati da Mario Toffanin, Giacca il suo soprannome. Il Poeta fa del fratello un feto doloroso che porterà sempre con lui e non si può sviscerare la sua poesia, la sua prosa, senza usare il forcipe.
Il Poeta è affetto da dicotomia persino bizzarra. Tutti i critici devono ammettere e affrontare le sue contraddizioni. Lo fanno con i guanti spurgandole dall’immiserimento dell’incoerenza. È contro la Borghesia ma ne usa i mezzi. Avversa la società dei consumi e il progresso, guida l’Alfa Romeo. È innamorato follemente di quel mondo che calunnia ferocemente. Marxista e ateo, enfatizza San Francesco, di Gesù ne fa un uomo della rivolta. Nelle tradizioni scorge un baluardo di difesa. Rimpiange la civiltà contadina del Friuli, adopera il dialetto. È contro il nuovo uomo alessitimico: incapace di emozioni. Il suo motto: “Eternamente contrario”. E se il suo doppio fosse il fratello?
Roma 1960, il tripudio delle Olimpiadi. La città lustra è di nuovo caput mundi. La gente del famigerato consenso e poi dello scudocrociato, apparentemente amorfa, è il motore del Paese. Il sottoproletariato denunciato dal Poeta? Il pus di una piccola infezione. Una risacca, un singhiozzo di recessione. Un effetto da attribuirsi ai precedenti rialzi in Borsa.
Nell’autunno del 1968 avviene l’incontro del Poeta con Ezra Pound a Venezia. Questi è stato condannato per aver parlato da radio Roma a favore dell’Asse. Per lui Hitler è una Giovanna d’Arco e scriverà: “Manes fu conciato e impagliato, così Ben e la Clara per i calcagni a Milano.” Si salva dalla pena di morte per tradimento con una diagnosi di pazzia. Campo di prigionia a Coltano, ospedale psichiatrico a Washington. E poi l’esilio in Italia. Qui c’è la genesi del suo grande silenzio, emarginato per paura di un contagio mentale, di ricevere fulmini ideali. I due Poeti si annusano estraggono le ali riposte negli armadi,svolazzano. Hanno la conferma di quanto predicano. Tutti gli esseri viventi sono burattini in mano a un Golem economico e di finanza, che detiene i fili. Commemorano l’Omero cieco, si dicono di stessa radice. Barbari alla omologazione capitalista abbracciano le loro solitudini. Pound riprende a scarabocchiare i suoi Canti Pisani, vaneggiando il Rinascimento. Il nostro Poeta ritorna alla sua battaglia contro quel Moloch, quel potere senza volto.
Nel 1974 il Poeta rivela: “Io so. Io so i nomi dei responsabili delle stragi. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.” Desta scalpore mentre se lo avesse dichiarato un altro avrebbero tutti riso. Perché? Già da vivo è in corso il processo di beatificazione. Presto l’epiteto dell’immaginetta di prossimo martire. Lo incappellano dell’aureola per infilarlo nell’urna, strapparlo da quel suo Diluvio di carne. Una derisione, un prendiculo di quel capitalismo che ingoia tutto. No, il Poeta è un vivido test al nostro sistema immunitario e tale rimarrà.
Nella notte dell’uno novembre 1975 al lido di Ostia un’alfetta, forse non la sua, lo schiaccia. Forse un suicidio assistito, quasi invocato, a sopire quella febbre che lo divora. Si è accorto che sotto il magma della sua onniscienza c’è in agguato il nulla. Peccato è il sapere, non il resto e si è arreso. Il Poeta ha gettato il corpo e non lo recupera, si è reso finalmente conto che non gli serve. Naturalmente i membri della confraternita degli elzeviri: “è un’esecuzione!” strillano.
Un omicidio per il libro intonso “Petrolio”, mormorano. Ma quelli hanno già risolto tutto con il sabotaggio al 780Paris I – SNAP di Enrico Mattei con lui dentro. Figurati se gli si drizza il pelo per qualche paginetta.
All’autopsia su di lui il nettare della sua ultima rapina. Epifania del suo furioso bisogno d’amore.
Camera ardente a Campo de’ Fiori. Una fiumana di gente che non ha letto un suo rigo. C’è il canuto scrittore, debilitato dalla giovane concubina sospinta nell’olimpo mafioso dei letterati. Anche lei presente, ha sognato il Poeta dimagrito che sollecitava Grimaldi, Bertolucci, a riprendere le riprese, imbarazzati perché lo sapevano morto. La moglie ripudiata si è avvinghiata a “La storia”e ai gatti.
Nell’orazione lo scrittore parla di delitto d’onore. Eh non possono dire che quello è l’assassino, non possono gettare con l’acqua sporca il proletariato, il loro patrimonio. Sarebbero nullatenenti e disoccupati. Blatera di natalità e di poeti, non ha compreso che la poesia è un farmaco placebo e sterile. Lui è asettico, è quello dell’indifferenza! C’è Dario Bellezza: “Tutti noi lo abbiamo ammazzato.” Un complice?
Il gregge della “migliore gioventù” ha abbandonato il pastore delle amatriciane, della coda alla vaccinara. Affascinato dallo shopping compulsivo, dal canto delle sirene del capitalismo. Sirene creature del mare e sirene di guerra. Anche coloro che si sono battuti il petto alle esequie, i colleghi artisti, ritornano ai loro ludi dionisiaci e tirano un sospiro di sollievo. L’ospite ingombrante ha tolto il disturbo. “Eh che diamine! Isterico e petulante. Forse si era convinto di essere il Messia di Teorema,” i commenti.
La Bibbia dice che la severità del giudizio di Dio varia a seconda della conoscenza posseduta da una persona. Gli angeli caduti, dunque, con la grande conoscenza che avevano, meritano di gran lunga l’ira di Dio. Contro l’egemonia culturale ma manicheo. Rotture e trasgressioni ma inalberando il passato.
Commenti recenti