Ecco perché l’Italia uscirà dall’euro
L'opposizione della Cgil al governo Monti |
di Ambrose Evans-Pritchard*
In termini pro capite l'Italia è una nazione più ricca della Germania , con circa 9 trilioni (9mila miliardi) di ricchezza privata. Ha il più grande avanzo primario di bilancio del blocco G7. Il suo debito combinato pubblico e privato ammonta al 265% del PIL, inferiore a quello in Francia, Olanda, Regno Unito, Stati Uniti o Giappone.
Per l'indice del Fondo monetario internazionale il punteggio dell'Italia è il migliore per "sostenibilità a lungo termine del debito" tra i principali paesi industrializzati, proprio perché, sotto Berlusconi, ha riformato per tempo la struttura del sistema pensionistico.
«Hanno un vivace settore delle esportazioni, e un avanzo primario. Se c'è un paese dell'eurozona che potrebbe trarre beneficio dall'abbandonare l'euro e ripristinare la competitività, è ovviamente l'Italia», ha detto Andrew Roberts di RBS.
«I numeri parlano da soli. Pensiamo che nel 2013, non si tratterà di sapere quali paesi saranno costretti a lasciare l'euro, ma chi sceglierà di andarsene».
Uno studio basato sulla "teoria dei giochi" condotto da Bank of America ha concluso che l'Italia guadagnerebbe più di altri membri dell'UEM sganciandosi e ripristinando il controllo sovrano sulle sue leve politiche.
La sua posizione patrimoniale sull'estero è vicina all'equilibrio, in netto contrasto con la Spagna e Portogallo (entrambi in deficit per oltre 90% del PIL). L'avanzo primario implica che può lasciare l'eurozona in qualsiasi momento lo desideri senza dover affrontare una crisi di finanziamento.
Un tasso di risparmio elevato significa che qualsiasi shock del tasso di interesse dopo il ritorno alla lira sarebbe rifluirebbe nell'economia attraverso maggiori pagamenti a obbligazionisti italiani —spesso ci si dimentica che in l'Italia i tassi reali erano molto più bassi sotto la Banca d'Italia.
Roma possiede una serie di carte vincenti. Il grande ostacolo è il premier Mario Monti, installato a capo di una squadra di tecnocrati grazie al golpe del novembre del 2011 voluto dal cancelliere tedesco Angela Merkel e dalla Banca centrale europea —tra gli applausi dei media e della classe politica europea.
Monti potrebbe essere uno dei grandi gentlemen d'Europa, ma è anche un sommo sacerdote del progetto UE e, in Italia, un promotore decisivo dell'adesione all'euro. Prima se ne va, prima l'Italia può fermare la diapositiva in depressione cronica.
I mercati sono, ovviamente, inorriditi che si dimetta una volta approvata la legge di bilancio 2013, aprendo la porta al caos politico all'inizio del prossimo anno. I rendimenti sui 10 anni del debito italiano, lunedì sono cresciuti di 30 punti base. «L'armistizio è durato 13 mesi. Ora la guerra continua. Il mondo ci guarda con incredulità», ha scritto il Corriere della Sera.
Il rischio immediato per gli investitori obbligazionari sta nel Parlamento fratturato, con la possibilità "25%" della vittoria da parte delle forze euroscettiche, cioè Berlusconi, la Lega Nord e il comico Beppe Grillo, dato nei sondaggi vicino 18% . «Siamo condannati se non vi sarà chiara maggioranza in parlamento», ha detto il prof. Giuseppe Ragusa dell'università Luis Guido Carli di Roma.
Qualsiasi risultato del genere lascerebbe i mercati obbligazionari palesemente esposti come lo erano nel luglio scorso, durante l'ultimo spasimo della crisi del debito in Europa. Roma avrebbe ancora meno probabilità di richiedere un salvataggio e firmare un "Memorandum" rinunciando alla sovranità fiscale [precondizione prevista dal Fiscal compact affinché entri in azione la BCE per tenere a bada i rendimenti dei titoli italiani. Ndt].
Tutti quegli investitori che dopo la promessa di Mario Draghi che la Bce avrebbe fatto tutto il possibile per salvare l'eurozona si sono riesposti sul debito italiano (e quello spagnolo), potrebbero scoprire che Draghi non in grado di tenere fede alla sua promessa. Le sue mani sono legate dalla politica. I detentori dei titoli italiani non possono non essere preoccupati. Ma gli interessi della democrazia italiana e quelli creditori stranieri non sono più allineati. Le politiche deflazionistiche stile anni '30 imposte da Berlino e Bruxelles hanno spinto il paese in un vortice greco. la Confindustria ha detto che la nazione è ridotta in macerie.
Gli ultimi dati confermano che la produzione industriale in Italia è in caduta libera, giù del 6.2% rispetto all'ottobre di un anno prima. «Abbiamo visto, negli ultimi 12 mesi, un crollo completo del settore privato», ha detto Dario Perkins, del Lombard Street Research. «La fiducia delle imprese è tornata ai livelli dei momenti più bui della crisi finanziaria. La fiducia dei consumatori è la più bassa di sempre. Berlusconi ha ragione a dire che l'austerità è stata un completo disastro».
I consumi sono è scesi del 4.8% anche a causa della stretta fiscale. «Questi numeri non hanno precedenti. Il rischio per il 2013 è che la caduta sarà ancora peggiore», ha detto il presidente di Confcommercio.
Le origini di questa crisi risalgono a metà degli anni '90, quando il marco e la lira sono stati inchiodati per sempre ad un tasso di cambio fisso. L' Italia aveva la Scala mobile salariale ed era abituata all'inflazione. Le vecchie abitudini sono dure a morire.
L'Italia ha così perduto progressivamante dal 30% al 40% di competitività del lavoro rispetto alla Germania. Il surplus commerciale storico con la Germania è diventato un grande deficit strutturale.
Il danno ormai è fatto. Non è possibile riportare indietro le lancette dell'orologio. Eppure, questo è esattamente ciò che le élite politiche dell'Ue stanno cercando di fare con l'austerità e la drastica "svalutazione interna".
Tale politica può funzionare in una piccola economia aperta come quella irlandese, con alti ingranaggi commerciali. In Italia significa replicare l'esperienza della Gran Bretagna dopo che Winston Churchill fece tornare la sterlina all'ancoraggio all'oro tornando così al tasso sopravvalutato del 1925. Come Keynes disse acidamente, i salari sono condannati a scendere. Gl inglesi pagarono con gli stenti i cinque anni successivi. L'effetto principale di questa politica è quello di portare alle stelle il tasso di disoccupazione. Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è 36.5% e va aumentando.
Il commissario Monti, con la stretta fiscale, si è mangiato quest'anno di 3.2% del Pil, tre volte la dose terapeutica. Non vi è alcuna ragione economica per farlo. L'Italia ha avuto un budget vicino al saldo primario nel corso degli ultimi sei anni. È stato, sotto Berlusconi, un raro esempio di rettitudine.
L'avanzo primario raggiungerà 3.6% del PIL quest'anno e 4.9% l'anno prossimo. Non si potrebbe essere più virtuosi. Eppure il dolore è stato più dannoso che inutile. L'inasprimento fiscale stesso ha spinto debito pubblico in Italia da un equilibrio stabile in zona di pericolo. Il FMI dice che il debito sta crescendo molto più velocemente di prima, saltando da 120% dello scorso anno a 126% di quest'anno per salire al128% nel 2013.
L'economia ha subito una contrazione per cinque trimestri consecutivi. Citigroup dice che questa non si riprenderà fino al 2017. Sarebbe straordinario se gli elettori italiani tollerassero questa debacle per lungo tempo, nonostante Pier Luigi Bersani vincerà le elezioni con un centro-sinistra pro-euro. I dati dell'indagine del Trust PEW mostrano che solo il 30% ora pensano che l'euro è stato un "buona cosa".
Il coro in favore dell'uscita dell'eurozona è stato silenziato dopo la promessa di salvezza di Draghi. Cinque mesi dopo, è chiaro che la crisi è più profonda è ancora purulenta. Le voci sono di nuovo sempre più forti.
Berlusconi gioca maliziosamente con il tema, un giorno accenna alla sua "pazza idea" di autorizzare la Banca d'Italia a stampare euro con aria di sfida, il successivo dicendo "non è una bestemmia dire di lasciare l'euro".
Il suo linguaggio ha avuto toni più duri questa settimana. «L'Italia è sull'orlo del baratro. Non posso permettere che il mio paese si immerga in una spirale senza fine recessione.
"Oggi la situazione è molto peggio di un anno fa, quando ho lasciato il governo. Abbiamo milioni di disoccupati, il debito è in aumento, le imprese stanno chiudendo, le aziende stanno crollando, e il mercato delle auto è distrutto. Non possiamo continuare ad andare avanti in questo modo. "
Infatti non si può.
* Fonte : Telegraph del 10 dicembre
** traduzione a cura di SollevAzione
In sostanza sta dicendo che l'unica via per l'Italia è avere una moneta debole da svalutare ogni tot per rimanere competitivi e gestire il debito. È l'abbandono di questo schema che ci ha portato ad avere un debito in euro che non è gestibile, considerando anche il contemporaneo aumento della concorrenza internazionale (Cina). Mi sembra che la faccia troppo semplice.
Jarko, intanto non esiste una ragione per avere una moneta forte, salvo voler acquistare molto all'estero ed essere un popolo di rentiers. Nella volontà di una moneta forte c'è sempre una volontà di potenza. Inoltre, in caso di cambio fluttuante, non sei tu che svaluti, salvo che vendi le tue riserve. E' "il mercato" che ti valuta. Possono cercare di vendere all'improvviso tanta tua moneta ma alla fine qualcuno l'acquista, se essa corrisponde all'economia del paese. Io non ci vedo niente di strano a non avere una moneta forte, salvo che, essendo un socialista, non mi accontento di individuare mali e proporre rimedi che sembrano avere un carattere tecnico (e che comunque dovrebbero generare occupazione e quindi migliori salari; cosa che è già molto importante).