Giulio Sapelli: ”Andiamo incontro all’icerberg – L’Euro è una pazzia”
di Roberto Santilli Abruzzoweb
L'AQUILA – "Le dimissioni di Monti sono uno strappo costituzionale. Avrebbe dovuto attendere un voto di sfiducia, così invece alimenta una tendenza sovversiva tipica delle classi dominanti italiche, mancando di rispetto allo stesso dettato della Carta".
Ci mancava pure questa. Con il recente abbandono del premier, Mario Monti, e il ritorno in politica dell’ex 'disarcionato' Silvio Berlusconi, si apre l'ennesima bagarre all'italiana a qualche mese dalle elezioni del 2013.
Eppure, l'economista Giulio Sapelli non smette di guardare in alto, precisamente in quel luogo chiamato Banca centrale europea governata dall'italiano Mario Draghi ("messo lì da Timothy Geithner, ministro del Tesoro degli Usa," aveva chiarito in una trasmissione televisiva il professore, in riferimento alla paura degli americani che l'Europa vada a scatafascio, "come andrebbe se la cancelliera tedesca Angela Merkel avesse il potere assoluto").
Perché, di sicuro, la moneta e il sistema Euro non sono più visti come simboli di prosperità economica. "A cascata", i danni saranno pressoché irreparabili, annunciano gli esperti come Sapelli.
E L’Aquila, l’Abruzzo e l’Emilia-Romagna terremotati, per restare a due dei tanti drammi di casa, sono già dentro fino al collo. Dai primi scricchiolii alla condanna sdoganata negli ultimi tempi anche da chi non apparteneva alla schiera degli euroscettici il passo non è stato breve ma molto sofferto, poiché in tutti gli angoli dedicati all'economia, tra politica e media, l'Unione europea aveva generalmente goduto di una certa fiducia, "pompata" lungo il decennio segnato dalla “moneta senza patria e senza politica” che ha tolto di mezzo la vecchia lira.
Per cogliere segnali di dissidenza, in pratica, o si era bravi in economia, oppure si restava a bocca (e a tasca) asciutta.
Tra le voci fuori dal coro, appunto, quella del professor Sapelli. Uno dei grandi dell’economia a non aver mai ceduto alle poco tecniche lusinghe di questa Europa. Stringendo, Sapelli non ha mai creduto alla buona novella dell'euro, nonostante consideri l'uscita dall'Euro-zona un vero e proprio suicidio.
Nell'anno di (dis)grazia 2012, il 65enne economista torinese continua ad aggiornare un pensiero molto forte, frutto degli studi di una vita, mentre l'economia europea è ormai in fase di decomposizione, in particolare nel prossimo deserto del Sud del vecchio Continente, il livello di violenza continua a salire, le manifestazioni per le strade si moltiplicano e fioccano pure le forme più disparate di associazioni cittadine, da quelle progressiste alle più reazionarie con punte di filo-nazismo, come nella martoriata Grecia dei fuochi ateniesi in piazza Sintagma.
AbruzzoWeb ha intervistato uno dei più importanti economisti del panorama mondiale per capire se dal suo punto di vista e in base alle conoscenze tecniche, esiste un modo indolore per rilanciare un'economia altrimenti quasi cadaverica, con i drammi che essa lascia una volta esalato l'ultimo respiro.
Professor Sapelli, dobbiamo cominciare questa intervista da una domanda cruciale: quella che viviamo è una crisi dell'euro, oppure è una crisi scoppiata nonostante l’euro?
Siamo nel pieno di più crisi che si intrecciano e credo sia questa la ragione di tanta confusione, a seconda delle interpretazioni figlie delle scuole economiche a cui si appartiene, sempre che si sappia ancora cosa sia una scuola economica. Le crisi da cui siamo investiti sono sostanzialmente due, con la terza prodotta dal loro incrocio. Una è la crisi finanziaria dell’eccessivo rischio, dovuta in particolare all'unificazione delle banche di investimento con le banche commerciali, da cui proviene l’eccesso di rischio; l’altra, è una crisi tipicamente industriale di sovracapacità produttiva. Messe insieme, le due crisi hanno fatto scoppiare la crisi dell’euro. Questa, in pratica, è una crisi dell’euro.
Una moneta ormai poco amata, ma per lei non è una novità.
L’euro è una pazzia, non esiste nella storia dell’umanità una moneta creata prima dello Stato. Nel nostro caso, la moneta unica è affidata a meccanismi di regolazione incompiuti e di bassissima competenza tecnica. Fin quando abbiamo avuto una crescita, la debolezza dell’euro era attenuata, ma dall’arrivo della crisi e a causa delle differenze di produttività del lavoro e delle differenze delle bilance commerciali tra Paesi come la Germania in surplus commerciali e altri in deficit come Italia, Francia, Spagna, sono emersi tutti i limiti di questo esperimento mal riuscito. Non potendo più controbilanciare i limiti in un regime di cambi flessibili, come capita in tutto il mondo e come capitava all'Italia con la lira, perché bloccati nel regime di cambi fissi, ecco che ci troviamo in guai molto grossi. In definitiva, l’euro non doveva essere creato.
In quale punto della crisi ci troviamo?
Siamo sull’orlo del baratro, il Titanic continua ad andare contro l’iceberg. E le sterzate decisive sono state evitate. È mancato, per esempio, un regolamento bancario transatlantico, quindi euro-americano. Gli europei hanno accelerato con le regole di Basilea 3 (insieme di provvedimenti approvati dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria in conseguenza della crisi finanziaria del 2007-2008 con l'intento di perfezionare la preesistente regolamentazione prudenziale del settore bancario, a sua volta correntemente denominata Basilea 2, l'efficacia dell'azione di vigilanza e la capacità degli intermediari di gestire i rischi che assumono, ndr).
Ai tedeschi andava bene, gli italiani invece non se ne sono occupati, ma adesso in Germania si accorgono che un controllo bancario unificato farebbe scoprire le immense quantità di asset tossici contenute nelle banche tedesche. Secondo alcuni studi, nell’elenco delle banche più a rischio, la prima al mondo è la Deutsche Bank, laddove la statunitense J.P. Morgan è tredicesima. Con lo scoppio dei nazionalismi e in un clima molto teso, pieno di difficoltà economiche ed elettorali di grande portata, non si riesce a fare ciò che va fatto: riformare la Banca centrale europea, che si ostina a portare avanti una debolissima politica antideflattiva. E la crisi industriale è appena cominciata.
Arrivando a toccare la prosperità della Germania.
Certo. I tedeschi, che strano, si sono improvvisamente accorti di non poter esportare i prodotti made in Germany in un’Europa ormai desertificata. Ripeto, il Titanic continua ad andare contro l’iceberg.
C’è qualche figura istituzionale capaci di prendere in mano la situazione?
Assolutamente no, né in Italia, né in Europa. Il vuoto di leadership è terribile e spiega bene cosa sta accadendo nell’Euro zona, tanto da spingere l’Inghilterra al taglio del contributo al budget europeo. Vero, gli inglesi sono in grave crisi, ma hanno capito la gravità della situazione e stanno pensando di abbandonare completamente l’Euro.
Lei non crede alla salvezza via uscita dall’Euro e al ritorno alla Lira. L’Italia e gli altri Paesi in recessione cosa dovrebbero fare, allora?
Uscire dall’euro sarebbe una catastrofe per le classi più basse, come gli operai e in generale chi vive con un reddito da lavoro. Forse, i commercianti riusciranno a salvarsi fin quando troveranno qualcuno disposto a comprare un prodotto pagandolo cinque volte di più del prezzo reale, ma gli altri annegheranno. Se guardiamo alla Grecia, possiamo affermare con certezza che è di fatto crollata, è come se fosse già uscita. Ecco perché per salvare il sistema va riformata innanzitutto la Banca centrale europea, cambiandola sul modello della Federal Reserve degli Usa. E poi, riformare anche il parlamento che sicuamente sconfiggerebbe la politica della signora Angela Merkel, anche se non credo si farà in tempo. Molti anni fa, purtroppo, i cambiamenti arrivavano dalle guerre. Oggi non più. Allora, si deve sperare di riuscire a cambiare senza traumi.
Per colpa soprattutto della struttura dell’Unione Europea, decisamente molto complessa.
Mi fa ridere chi oggi parla di un parlamento europeo che non conta niente. Dove sarebbe la novità? Si accorgono soltanto adesso che le leggi in parlamento vengono approvate da una commissione piena di commissari e ambasciatori non eletti? Gli Usa e l’Inghilterra lo sapevano, per questo non si fidano più di un continente ormai privo di democrazia.
Crede che con il dopo-Monti, in Italia ci saranno dei miglioramenti?
Dopo Monti non cambierà nulla. Certo, tutto può rivelarsi migliore di Monti, ma è necessario un governo di unità nazionale che si impegni a iniziare una politica anti-deflattiva che comprenda una piccola inflazione capace di tirarci fuori dal debito, perché il debito non è il nostro problema, ma l'unico modo che abbiamo per salvarci. E, puntando all'Europa, legarsi bene al Ppe e al Pse.
Però c'è un freno ideologico dovuto alla confusione tra spesa pubblica e spreco pubblico.
I vari Bondi, Catricalà, insomma, i vecchi burocrati, fanno di tutto affinché non si metta mano alla vendita degli immobili dello Stato, che non si muova foglia nell'organizzazione burocratica. Boicottavano prima, boicottano adesso.
In Francia va diversamente con Francois Hollande, oppure anche lui è un personaggio legato a una certa cricca?
Hollande ha firmato ottime cose da un punto di vista interno, ma non mi trova d'accordo sulle tasse patrimoniali. Le tasse devono essere progressive, ma con moderazione, altrimenti i capitali scappano. E l'Italia ha un gran bisogno di capitali.
Intanto, le aziende italiane continuano a chiudere.
E noi abbassiamo le tasse e alziamo il debito pubblico. Cosa importa se abbiamo il 5 per cento di debito pubblico in più?
Il debito pubblico è visto da molti come la peste.
Non scherziamo. L'oligopolio finanziario mondiale non colpisce il debito pubblico, ma l'assenza di crescita. Il Giappone ha il 280 per cento di debito pubblico, la Spagna del default il 75,8 per cento. Vogliono farci credere agli spauracchi, questa è la verità.
La Spagna non ha lo stesso peso dell'Italia. Lo sentiamo ripetere quasi ogni giorno, "se cade l'Italia, cade l'Unione europea".
La Spagna è un Paese con un po' di immobiliari e qualche industria in fallimento nella vecchia Catalogna, l'Italia è la seconda potenza manufatturiera d'Europa dietro la Germania. Siamo ancora un Paese industriale, che scambia merci, che lavora, con il pil prodotto interamente al Nord. Se fallisce il Nord, va in malora l'intera nazione.
In piena austerity, le emergenze come l'Abruzzo e l'Emilia-Romagna dei terremoti vanno risolte andando a cercare le briciole qua e là per garantire le ricostruzioni di territori distrutti.
Una vergogna politica e istituzionali, oltre alla cecità teorica. Lei si rende conto cosa potrebbe accadere se fallissero l'industria emiliana e l'industria agroalimentare dell'Abruzzo, quest'ultima una regione piena di centri di ricerca scientifica? Chi è al governo, purtroppo, come Grilli, è un fondamentalista ideologico, come i calvinisti di Ginevra che mettevano al rogo i cattolici. Al contrario di Monti, al massimo un buon giornalista economico che sposa la teoria economica che gli è più utile.
Non ci si può aggrappare neanche all'università?
Quale università? L'università italiana è andata distrutta dalla riforma Berlinguer del 3+2, che l'ha ridotta a un mediocre liceo, o istituto.
Quando si sveglia al mattino e guarda l'Italia, cosa vede?
Vedo ancora tanta brava gente che si alza la mattina e va a lavorare, artigiani bravissimi, qualche grande impresa. Non dobbiamo perdere la speranza, nonostante la situazione sia terribile.
Il rischio è di ritornare agli inizi e alla metà del secolo scorso, con un'emigrazione fortissima.
Non disperiamo. Alla fine dell'800, tantissimi italiani, bravi, dotati, molto intelligenti, sono andati nelle due Americhe, dopo la seconda guerra mondiale in Germania, in Francia, Belgio, ma in tanti sono ritornati. Il nostro è un Paese meraviglioso con delle punte di eccellenza uniche al mondo, la speranza è che chi andrà via ritorni qui.
Sapelli è realmente l'unico economista (ma nei suoi confronti questa definizione è riduttiva) ad aver capito da tempo dove stiamo andando a finire. L'unico appunto che posso muovergli è un eccesso di fiducia nei confronti di una possibile "rivoluzione europea" che è lungi dalla possibilità ndi verificarsi. Dobbiamo prima agire a livello Paese per poi riaggregare altre nazioni europee.Sapelli è realmente l'unico economista (ma nei suoi confronti questa definizione è riduttiva) ad aver capito da tempo dove stiamo andando a finire. L'unico appunto che posso muovergli è un eccesso di fiducia nei confronti di una possibile "rivoluzione europea" che è lungi dalla possibilità ndi verificarsi. Dobbiamo prima agire a livello Paese per poi riaggregare altre nazioni europee. Sapelli per me sarebbe il candidato premier ideale per una nuova Italia
Alberto, ovviamente condivido il tuo appunto. Di Sapelli condivido l'analisi, non la proposta, che è chiaramente irrealizzabile