Leopardi e il «sistema dell’egoismo» L’esigenza di un’«ultrafilosofia» per il socialismo.
da GAZZETTA FILOSOFICA (Gabriele Zuppa)
L’intera riflessione filosofica di Leopardi si è sviluppata attorno a una questione cruciale, quella che più lo assorbì e lo appassionò, attualissima: come dare fondamento al socialismo.
Stiamo scherzando? Nient’affatto.
Innanzitutto, socialismo non è una parola sinistra che designi regimi illiberali, ispirati da un’ideologia, quella marxista. Socialismo è la volontà di solidarietà tra tutti gli uomini nel tempo in cui essa sarebbe più che mai facile da realizzare: nel tempo dell’industrializzazione.
La nostra stessa Costituzione è intrisa di socialismo. Quando il testo costituzionale vide la luce venne detto che «era scritto metà in latino e metà in russo» (R. Romanelli, L’Italia e la sua Costituzione. Una storia). In latino per i propositi dello spirito cristiano autentico, in russo perché l’Unione Sovietica allora rappresentava un tentativo e una speranza. Scrive lo storico Raffaele Romanelli:
« La convinta sintonia, la convergenza immediata tra forze politiche avvenne sulla base della comune sensibilità solidaristica, della vocazione sociale che si volle attribuire all’erigendo edificio costituzionale »
I vari tipi di socialismi – da quello cristiano a quello comunista – si distinguono nei modi in cui rendere praticabile la «vocazione sociale».
Leopardi capì fin da giovanissimo che la possibilità della solidarietà sociale non si sarebbe più potuta trovare scritta in latino, perché nessuno avrebbe più creduto in Dio e alle giustificazioni metafisiche che erano state date.
Vent’anni più tardi Marx si trovò a concordare e anzi ritenne che proprio le teorizzazioni di un mondo metafisico immutabile, voluto da Dio, avessero finito per convincere che il mondo, anche politico e sociale, non era modificabile.
Da qui la celebre undicesima tesi su Feuerbach:
« I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo. »
Se il mondo non è immutabile, il compito del filosofo, dunque, non dovrà essere tanto descrittivo, quanto, piuttosto, prescrittivo.
Karl Marx
Inoltre, per la tradizione il mondo terreno non era tutto il mondo, non era tutto l’essere. Da qui un’altra celebre affermazione di Marx: la religione «è l’oppio del popolo» (K. Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel). Difatti, a fronte della miseria del mondo, il mondo dell’al di là è la consolazione che rende sopportabile il mondo terreno.
Mettendo assieme i due aspetti, quel che ne esce è ciò che poi prenderà il nome di materialismo storico, una concezione che voleva essere opposta ad un iperuranio immutabile, di platonica e metafisica memoria:
« Il compito della storia, quindi, è di stabilire la verità del di qua, dopo che si è dileguata la verità del di là. »
Per realizzare la solidarietà e combattere l’oppressione è quindi indispensabile una nuova filosofia, una nuova comprensione dell’essere. Ecco che, scrive ancora Marx,
« La filosofia non può tradursi in atto senza l’eliminazione del proletariato: il proletariato non può essere eliminato senza la realizzazione della filosofia. »
Il compito che Marx si prefigge è dunque di rendere consapevole il proletariato che la miseria e lo sfruttamento non sono naturali e immutabili, ma storici e mutabili.
La via indicata da Marx per adempiere ad un cambiamento possibile prevede anche una novità nell’azione: per ribaltare la situazione, non si tratta di persuadere i borghesi o in generale gli oppressori a far del bene, ad esser virtuosi, ad amare il prossimo e il proprio dovere – la via della morale tradizionale, insomma; si tratta piuttosto di far capire agli oppressi che essi sono la stragrande maggioranza e che possono organizzarsi da sé facendo terminare l’oppressione.
La svolta è radicale: non più fare leva moralisticamente sulla coscienza dei singoli, ma sviluppare una coscienza di classe: il proletariato deve diventare cosciente di formare una classe che è infinitamente più forte dei suoi oppressori, ma che non riesce a dar espressione alla sua forza perché legata da un’ideologia o da più ideologie che la rendono schiava, siano quelle borghesi o siano quelle cattoliche e protestanti.
Prima ancora che Marx pervenisse a questa visione, Leopardi teorizzò perché essa fosse una chimera.
L’auspicio antireligioso e antiborghese di Marx non era infatti avveniristico, ma coglieva delle dinamiche del suo tempo già in atto da anni.
Giacomo Leopardi
Nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani (1824) Leopardi spiega che la società è sempre più composta da «individui che continuamente si odiano s’insidiano e cercano in tutti i modi di nuocersi gli uni agli altri».
Questa tendenza – rileva – non è più attenuata, smorzata, contrastata da «principii morali», a causa della «quasi universale estinzione o indebolimento delle credenze su cui si possano fondare»; all’interno della nuova concezione del mondo che va sempre più affermandosi e diffondendosi per Leopardi «è impossibile che il giusto e l’onesto paia ragionevole»; giustizia e onestà sono illusioni di un altruismo che morirà con la fede in Dio: questo mondo – che è il solo mondo – è dell’ingiusto che tragga vantaggio personale e del furbo che se la sappia cavare.
Già un giovane Leopardi nello Zibaldone parla di un vero e proprio «sistema dell’egoismo».
Ci aveva visto lungo. Esattamente due secoli dopo l’economista newyorkese Milanovic scrive in Capitalismo contro capitalismo:
« L’interiorizzazione del comportamento desiderabile, quel comportamento che […] riafferma nelle azioni quotidiane i principali valori di una società, era possibile grazie alle restrizioni imposte dalla religione e al tacito contratto sociale. Non è chiaro se società così dedite all’acquisizione di ricchezza, praticamente con qualsiasi mezzo, non esploderebbero nel caos se non fosse per queste limitazioni. […]
Nessuna di queste restrizioni (la religione e il contratto sociale implicito) funziona nel capitalismo globalizzato di oggi.
Non è l’obiettivo di questo libro spiegare perché il mondo sia diventato meno religioso, almeno per quanto riguarda il comportamento economico, né possiedo conoscenze sufficienti per farlo. Ma non c’è dubbio che sia così. »
Ciò che vede Leopardi è ciò che vedono Milanovic e gli analisti contemporanei.
Leopardi annota nello Zibaldone:
« Osservate i nostri tempi. Non solo non c’è più amor patrio, ma neanche patria. Anzi neppur famiglia. L’uomo, in quanto allo scopo, è tornato alla solitudine primitiva. L’individuo solo, forma tutta la sua società. »
Milanovic spiega che atomizzazione individualistica e mercificazione vanno di pari passo:
« Nell’atomizzazione, rimaniamo soli perché tutte le nostre esigenze possono essere soddisfatte da ciò che acquistiamo presso altri, sul mercato. In uno stato di mercificazione totale […] la cucina si è trasformata in un’attività esterna e spesso i componenti della famiglia non mangiano tutti insieme. Le pulizie, le riparazioni, il giardinaggio e la cura dei figli sono attività più commercializzate che in passato o forse più che mai. I compiti a casa, che un tempo venivano «esternalizzati» ai genitori, ora possono essere esternalizzati a società commerciali. »
«La cosiddetta gig economy commercializza il nostro tempo libero e i beni di cui disponiamo»: fino a mercificare l’amicizia.
Branko Milanovic
Milanovic, dopo questa descrizione sociologica, controbatte a quanti sostengono che la mercificazione sarebbe imposta dalle aziende sempre in cerca di profitti. Perché ciò fosse vero, bisognerebbe che gli individui avessero degli altri valori radicati, compromessi dal sistema in cui si trovano. Ma non è così: il sistema valoriale della società capitalistica mercificante è quello che da ultimo condividono i suoi membri.
« La mercificazione «fino in fondo» è un processo a cui gli individui partecipano liberamente […]. »
Proprio per questo nulla lascia presagire una crisi.
« Una crisi si verificherebbe solo se la mercificazione della sfera privata fosse vista come un’intrusione in aree che gli individui volevano proteggere dalla commercializzazione […]. Ma la maggior parte delle persone la percepisce in maniera opposta, ossia come un passo avanti verso l’arricchimento e la libertà. »
La liberazione dai doveri nei confronti degli altri e l’individualizzazione sono descritti con tale efficacia da Leopardi, che li coglie pure nella dinamica della globalizzazione:
« mentre le nazioni per l’esteriore vanno a divenire tutta una persona, e ormai non si distingue più uomo da uomo, ciascun uomo poi nell’interiore è divenuto una nazione, vale a dire che non hanno più interesse comune con chicchessia, non formano più corpo, non hanno più patria, e l’egoismo gli ristringe dentro il solo circolo de’ propri interessi, senza amore nè cura degli altri, nè legame nè rapporto nessuno interiore col resto degli uomini. »
Ecco perché Leopardi avrebbe obiettato a Marx che la coscienza di classe non sarebbe bastata, perché la classe del proletariato non avrebbe potuto che essere una classe di individui, mossi da una logica individualistica e votata all’arricchimento che avrebbe impedito di creare solidarietà ed unione.
Non è forse quanto ci circonda?
Con il welfare in corso di smantellamento e le disuguaglianze vertiginose, Byung-Chul Han negli ultimi anni ha riproposto queste domande, per esempio in Perché oggi non è possibile una rivoluzione.
« Come mai il sistema di dominio neoliberista è così stabile? Come mai ci sono così pochi fenomeni di resistenza? E come mai questi si traducono tutti, bene presto, in un nulla di fatto? Come mai oggi non è più possibile una rivoluzione nonostante la forbice tra i poveri e i ricchi diventi sempre più grande? »
E a distanza di cinquant’anni dalle risposte di Pier Paolo Pasolini, le risposte non sono mutate. Sentiamo Han:
« Il potere stabilizzante della società disciplinare e di quella industriale era repressivo. Gli operai delle fabbriche venivano sfruttati senza pietà dai padroni e lo sfruttamento brutale condusse a proteste e resistenze. Allora sì che era possibile una rivoluzione capace di rovesciare i rapporti di produzione vigenti. In quel sistema repressivo erano visibili sia l’oppressione, sia gli oppressori. »
La situazione è radicalmente cambiata: si è compiuto quando già aveva saputo vedere Pasolini. Scrive ancora Han:
« Il sistema di dominio neoliberista è strutturato in maniera profondamente diversa. Il potere stabilizzante non è più repressivo, bensì seduttivo, e non è più così visibile come sotto il regime disciplinare. Non c’è una controparte evidente, non c’è un nemico che opprime la libertà e contro cui sarebbe possibile opporre resistenza. »
Insomma, come osservato da Pasolini, il proletario è diventato un borghese.
« Il neoliberismo ha modellato, a partire dall’operaio oppresso, un libero imprenditore – un imprenditore di se stesso. Oggi, ciascuno è un operaio che si sfrutta da solo, un dipendente di se stesso. Ciascuno è al contempo servo e padrone, per cui la lotta di classe si è trasformata in una lotta interiore. »
Ora la domanda cruciale è la seguente: come è possibile che, benché il disagio sia diffuso e si consideri di crisi la condizione della nostra società, ci si continui a muovere inesorabilmente verso la medesima direzione?
Ciò accade non per la struttura dei rapporti economici, in continua trasformazione, ma per l’ethos che vi soggiace e che li rende possibili. Leopardi ne era divenuto consapevole, primo fra tutti.
La morale, l’ethos, la sovrastruttura sono così radicati e pervasivi che ogni tentativo di influenzare la rotta della società, di creare un’alternativa politico-sociale, di incidere sulla struttura – sembra evaporare; ed è, rebus sic stantibus, destinato ad evaporare.
Certo, ciascuno non vuole lo sfruttamento e l’oppressione. Ma ciascuno non vuole lo sfruttamento fintantoché non lo svantaggi.
Che cosa ne consegue? Che profittare dello sfruttamento è, in ultima analisi, l’ethos degli individui della società capitalistica.
« Cioè – spiega Leopardi – l’individuo amandosi naturalmente quanto può amarsi, si preferisce dunque agli altri, dunque cerca di soverchiarli in quanto può, dunque effettivamente l’individuo odia l’altro individuo, e l’odio degli altri è una conseguenza necessaria ed immediata dell’amore di se stesso. »
Abbiamo impiegato i termini marxisti di struttura e sovrastruttura perché è importante chiederci esplicitamente: la coscienza di classe è dunque inutile per trasformare il mondo, finché i filosofi non concepiranno diversamente il mondo, lo scopo della vita e il senso dell’esistenza?
Così, sia Milanovic che Han, ma prima di loro Pasolini e Leopardi, sostengono che non ci siano le condizioni per un’alternativa al capitalismo non perché esso sia “naturale”, ma perché la mentalità, la filosofia oggi diffusa riconosce la ricchezza personale come valore principale.
« Perciò – scriveva già un giovanissimo Leopardi – la nostra rigenerazione dipende da una, per così dire, ultrafilosofia. »
Una filosofia che cioè sappia dimostrare come i suoi valori – l’individualismo e la ricchezza – siano un errore.
Leopardi ci provò per tutta la vita: così potremmo vedere l’impegno civile del suo genio, dedito alla filosofia e alla poesia. Nei suoi scritti, profondissimi e oggi imprescindibili, non si trova però una riuscita compiuta.
Ma non si arrese mai, perché il mondo che si prospettava lo ripugnava. Non si arrese mai e ci provò sempre: così Leopardi non fu pessimista, poiché mostrò vitalità e impegno e speranza come pochi nella storia.
Questo spiega quel paradosso che De Sanctis espresse così: Leopardi «odia la vita e te la fa amare, dice che l’amore e la virtù sono illusioni, e te ne accende nell’animo un desiderio vivissimo».
Lo stesso Leopardi in una lettera del 1832, reagendo a coloro che facevano derivare la sua concezione del mondo dalle sue sofferenze, replicava che la sua è certamente una «filosofia disperata»: nel senso che le conclusioni cui la riflessione filosofica conducevano non lasciavano speranza alla filosofia tradizionale e al mondo in cui aveva creduto; cionondimeno un tale esito – esplicitava – non comportava affatto l’inazione e l’indifferenza o – per dirla con le sue parole – una «rassegnazione imbelle».
La manualistica continua invece sulla falsariga respinta da Leopardi. In un manuale per licei, per esempio, si legge:
« Nell’estate del 1819 tentò la fuga dalla casa paterna, ma il tentativo fu scoperto e sventato. Lo stato d’animo conseguente a questo fallimento… lo portarono a uno stato di totale prostrazione e aridità […]. Raggiunse così la percezione lucidissima della nullità di tutte le cose, che è il nucleo del suo sistema pessimistico. »
Fu il contrario di una «rassegnazione imbelle» a spingere Leopardi a scagliarsi con veemenza critica contro il suo tempo, profetizzando il perdurare e l’accentuarsi di alcuni suoi caratteri, che disprezzava: l’economicismo, il militarismo e la corruzione.
Nei Canti instancabilmente prese posizione contro
« […] chi la propria gente
Conculcando e l’estrane, o di remoti
Lidi turbando la quiete antica
Col mercatar, con l’armi, e con le frodi,
La destinata sua vita consuma. » (Al conte Carlo Pepoli)
E si scagliò contro il colonialismo, causato da ingordigia economica:
« […] Ben molte volte
Argento ed or disprezzerà, contenta
A polizze a cambio. » (Palinodia al marchese Gino Capponi)
Un colonialismo disposto a tutto, anche alle stragi, come un altro canto sottolinea con amarezza ed ironia:
« […] E già dal caro
Sangue de’ suoi non asterrà la mano
La generosa stirpe: anzi coverte
Fien di stragi l’Europa e l’altra riva
Dell’atlantico mar, fresca nutrice
Di pura civiltà […]. » (Ivi)
Derise coloro che si appagavano delle frivolezze mondane o la cui vita si riduceva all’apericena di allora:
« S’arma Napoli a gara alla difesa
De’ maccheroni suoi; ch’ai maccheroni
Anteposto il morir troppo le pesa.
[…]
Che dirò delle triglie e delle alici?
Qual puoi bramar felicità più vera
Che far d’ostriche scempio infra gli amici? » (I nuovi credenti)
Per sferzare con caustica ironia chi trovava appagamento nel consumismo:
« Voi saggi, voi felici: anime elette
A goder delle cose: in voi natura
Le intenzioni sue vide perfette.
Degli uomini e del ciel delizia e cura
Sarete sempre, infin che stabilita
Ignoranza e sciocchezza in cor vi dura:
E durerà, mi penso, almeno in vita. » (Ivi)
Se anche a te, in un mondo così, le triglie ti vanno di traverso, seguici nella puntata di Ottosofia di mercoledì 31 maggio; proveremo ad abbozzare un’inusuale immagine di Leopardi e a fare il punto concettuale del nostro percorso.
FONTE: https://www.gazzettafilosofica.net/2023-1/maggio/leopardi-e-il-sistema-dell-egoismo/
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