Il controllo sulla esportazione della valuta e il “monopolio” dell’Ufficio Italiano cambi (UIC)
Stefano D'Andrea
I vincoli alla circolazione dei capitali (IV)
Questo post costituisce il seguito di: 1. Un provvedimento normativo cinese, bielorusso o fascista? e 2. Un breve commento agli artt. 2, 4, 5 e 6 del D. L. 6 giugno 1956, n. 476 e 3 L'Italia era proprio come la Cina contemporanea
4. Il controllo sulla esportazione della valuta e il “monopolio” dell’Ufficio Italiano cambi (UIC)
La disciplina dei rapporti commerciali e finanziari con l’estero, introdotta negli anni 1955-1956, ed esposta nelle linee essenziali nei precedenti post, è considerata comunemente come strumentale all’esercizio di un controllo della bilancia dei pagamenti. Le autorizzazioni, generali (per categorie di atti) o speciali, le quali condizionavano l’instaurazione o l’esecuzione di ogni rapporto giuridico tra residenti e non residenti, avrebbero dovuto essere accordate o negate in base a motivazioni attinenti all’andamento della bilancia dei pagamenti. Vedremo nel prossimo post che quella disciplina, come in genere tutte le discipline simili, svolgeva oggettivamente anche altre funzioni, se non altro perché le autorizzazioni speciali, astrattamente previste, potevano essere negate con discrezionalità che era quasi libertà e sfuggivano, di diritto o comunque fatto, a qualunque controllo e impugnativa da parte del privato che si vedeva negata l’autorizzazione richiesta.
D’altra parte, la disciplina dei rapporti commerciali e finanziari con l’estero può essere obiettivamente ispirata ad altri principi e perseguire obiettivi diversi rispetto all’equilibrio della bilancia dei pagamenti. Per esempio, il Decreto Ministeriale 26 maggio 1934 aveva previsto, nell’art. 1, che “Nessuna operazione in cambi e divise potrà essere eseguita se non risponde a reali necessità dell’industria e del commercio od ai bisogni di chi viaggia all’estero”, e nell’art. 4, che “E’ vietato, dalla data di pubblicazione del presente decreto, a banche, banchieri, cambiavalute, società, ditte, enti o cittadini italiani residenti nel Regno, nelle Colonie o nei Possedimenti, di eseguire per conto proprio o di altri, l’acquisto sui mercati esteri di titoli e valori, sia esteri che italiani, emessi all’estero”. E’ stato in proposito osservato che si volevano “evitare operazioni finanziarie di tipo speculativo destinate a depauperare le riserve valutarie nazionali o a trasferire ricchezza nazionale all’estero. La speculazione dei privati sui cambi mediante vendita o l’acquisto a termine di valute e di titoli di credito sulle piazze finanziarie europee venne riguardata con sfavore dal regime, per questi aspetti anticapitalista, che perseguiva politiche economiche di chiusura protezionistica, favorevoli allo sviluppo di alcune grandi imprese” (Francesco Paolo Pugliese, 1981, p. 69). Insomma, se devi rischiare di perdere dei soldi, acquistando e rivendendo titoli o divise o con altre operazioni finanziarie, lo puoi fare soltanto “giocando” con un residente, in modo che i soldi che eventualmente perdi siano vinti da qualche altro residente.
In ogni caso, il D.L. n. 476 del 6 giugno 1956, oltre ai divieti di instaurare o eseguire rapporti con l’estero, senza previa autorizzazione, conteneva un’altra serie di norme, volte ad assicurare un “monopolio” sulla esecuzione dei pagamenti in moneta estera relativi agli atti (costitutivi o esecutivi) autorizzati.
Dopo aver definito il concetto di valuta estera (art. 1, 2° comma: “Agli effetti del presente decreto-legge sono valute estere i biglietti di Stato e di banca esteri aventi corso legale, nonché i titoli di credito ed i crediti, estinguibili in monete aventi corso legale fuori del territorio della Repubblica, che servano per effettuare pagamenti fra residenti e non residenti”), il Decreto Legge prevedeva che qualunque tipo di mezzo di pagamento internazionale dovesse essere obbligatoriamente ceduto da parte dei “residenti” (sappiamo ormai cosa significasse) allo Stato, il quale, tramite l’UIC, la Banca d’Italia e le banche agenti delegate, provvedeva alla raccolta e al cambio di tutta la valuta (straniera). Già l’art. 2, 2° comma, del D. lgt 331/1945 aveva stabilito che “fino a quando durerà il monopolio dei cambi è riservato all’Ufficio Italiano Cambi il commercio delle divise e di qualsiasi altro mezzo che possa servire per pagamenti all’estero, in tutte le forme possibili”. Inoltre, per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri in Italia (cfr. § 3: L'italia era proprio come la Cina contemporanea), la L. 7 febbraio 1956, n. 43 e il regolamento di esecuzione (d.p.r. 6 luglio 1956, n. 758), prevedevano che le valute importate per gli investimenti esteri dovessero essere offerte in cessione all’UIC, al tasso di cambio legale; l’UIC per contro, era tenuto a vendere agli investitori non residenti valuta per il pagamento estero di dividendi ed utili e per i successivi realizzi.
L’art. 13, 2° comma, del D.L. 6 giugno 1956, n. 476 prevedeva la possibilità di delegare le autorizzazioni ministeriali spettanti al Ministro del Tesoro e al Ministro del commercio all’UIC. Le deleghe abbondarono. Pertanto, oltre alla funzione di intermediazione e concentrazione della valuta estera, l’UIC svolse una importante funzione autorizzatoria. Precedenti norme attribuivano all’UIC (e già all’INCE – Istituto Nazionale per i Cambi con l’Estero – , dal quale l’UIC deriva) funzioni di vigilanza, prevedendo obblighi di denuncia dei funzionari e poteri ispettivi.
Quanto alla natura e alla struttura, si trattava di un ente pubblico, presieduto di diritto dal Governatore della Banca d’Italia e composto, ai sensi dell’art. 7 dello statuto in modo da assicurare un equilibrio tra membri che rispondevano ai ministeri e membri che rispondevano alla Banca d'Italia..
Prima di allegare la disciplina contenuta nel D.L. 6 giugno 1956, n. 476, vale la pena di osservare che, contrariamente a quanto comunemente si crede, la diminuzione della moneta cartacea in proporzione alla massa monetaria non rende più difficili o addirittura impossibili l’accentramento della intermediazione e la vigilanza. Al contrario, la sviluppo tecnologico rende più agevole impedire pagamenti non autorizzati o fondati su titoli non autorizzati, perché i bonifici per l’estero (e gli “atti elettronici” di acquisto di moneta estera) sarebbero accettati soltanto in presenza di un codice che indichi l’autorizzazione generale (per il tipo di operazione) o speciale. Insomma, si può volere o meno la reintroduzione di un controllo sulla circolazione dei capitali ma non si può reputare che lo sviluppo tecnologico abbia reso impossibile la funzione valutaria. Ormai dovrebbe essere considerato un dato pacifico che la tecnologia amplia i poteri di controllo dello Stato sui cittadini. Si tratta soltanto di stabilire in quali settori occorre utilizzare la tecnologia e in quali settori limitarne l’uso, a tutela delle libertà personali.
Allego, per chi fosse interessato, le disposizioni del D.L. 6 giugno 1956, n. 476, relative all’accentramento della intermediazione dei pezzi di pagamento per l’estero:
Art. 7: “Le cessioni, gli acquisti e ogni altro atto di disposizione concernenti le valute estere menzionate al secondo comma dell'art. 1, i crediti di cui al secondo comma dell'art. 2 nonché le quote di partecipazione in società aventi la sede fuori del territorio della Repubblica ed i titoli azionari e obbligazionari emessi o pagabili all'estero, non possono essere effettuati nel territorio della Repubblica, se non in contropartita con l'Ufficio italiano dei cambi, con la Banca d'Italia o con aziende di credito autorizzate a fungere da agenzie di questa, oppure secondo le altre modalità stabilite nelle autorizzazioni ministeriali”.
Art. 8: “I residenti hanno l'obbligo di offrire in cessione all'Ufficio italiano dei cambi, a mezzo della Banca d'Italia o di aziende di credito autorizzate a fungere da agenzie di questa, le valute estere determinate con decreto del Ministro per il commercio con l'estero di concerto con il Ministro per il tesoro.
L'offerta in cessione ha luogo con le modalità stabilite dal Ministro per il commercio con l'estero di concerto con il Ministro per il tesoro oppure, quando le valute estere siano quelle determinate ai sensi del D.L. 28 luglio 1955, numero 586, con le modalità stabilite dal decreto-legge stesso.
Possono essere concesse deroghe all'obbligo dell'offerta in cessione con autorizzazioni ministeriali”.
Art. 9: “La Banca d'Italia e le aziende di credito autorizzate a fungere da sue agenzie possono, in base ad autorizzazioni ministeriali, acquistare i biglietti di Stato e di banca esteri determinati nelle autorizzazioni stesse:
a) da non residenti che siano temporaneamente in Italia, qualunque sia lo scopo del loro soggiorno;
b) dai residenti che abbiano ricevuto i biglietti suddetti ai sensi del secondo comma dell'art. 3 oppure a titolo gratuito;
c) dai residenti che abbiano ricevuto i biglietti suddetti in base ad autorizzazioni ministeriali”.
Art. 10: “La Banca d'Italia e le aziende di credito autorizzate a fungere da sue agenzie possono, in base alle autorizzazioni di cui al precedente art. 9, cedere i biglietti acquistati ai sensi dell'articolo stesso:
a) ai residenti che si recano all'estero per scopi di turismo, affari, studio o cura, con l'osservanza, per quanto riguarda la cessione dei biglietti, delle disposizioni emanate dal Ministro per il commercio con l'estero;
b) ai residenti per l'assunzione di quote di partecipazione in società aventi la sede fuori del territorio della Repubblica e per l'acquisto di titoli azionari e obbligazionari emessi o pagabili all'estero, autorizzati ai sensi del primo comma dell'art. 5;
c) …; (lettera abrogata dalla legge di conversione del decreto legge)
d) ai residenti per il pagamento di debiti derivanti da altre operazioni effettuate in base ad autorizzazioni ministeriali”.
Art. 14: “Alle banche è fatto divieto di dare esecuzione ad operazioni che non siano effettuate in conformità del presente decreto-legge”.
Ho seguito con attenzione questa rassegna di articoli.
Volevo chiedere all'autore il suo parere sul significato che avrebbe avuto l'attuazione dell'art. 40 dello Statuto siciliano che così recita:
"Le disposizioni generali sul controllo valutario emanate dallo Stato hanno vigore anche nella Regione.
E' però istituita presso il Banco di Sicilia [che allora era ente di diritto pubblico "controllato congiuntamente" da Banca d'Italia e Regione siciliana, nota nostra], finché permane il regime vincolistico sulle valute, una Camera di compensazione allo scopo di destinare ai bisogni della Regione le valute estere provenienti dalle esportazioni siciliane, dalle rimesse degli emigranti, dal turismo e dal ricavo dei noli di navi iscritte nei compartimenti siciliani."
L'articolo in questione, dopo un certo dibattito nel Dopoguerra, cadde in completa desuetudine e, almeno in termini letterali, oggi non sarebbe più applicabile proprio perché il regime vincolistico delle valute è tramontato nel 1989/90. Ma cosa significava? Io ho capito che si voleva restaurare la gestione autonoma delle riserve valutarie che il Banco aveva fino al 1926, quando era istituto di emissione. Come? Considerando la bilancia commerciale (si indicano le partite attive soltanto, ma per semplicità, essendo allora la Sicilia un paese esportatore netto di significative materie prime quali lo zolfo, il grano o le rimesse degli emigranti) e decentrando nell'isola le funzioni che la legge riservava nel resto del territorio alla Banca d'Italia.
Quali conseguenze economiche avrebbe avuto l'attuazione di questo articolo per la Sicilia e per l'Italia? E per quali ragioni teoriche all'Assemblea costituente il liberale Einaudi (poi Presidente) tentò di opporsi alla ratifica di questo articolo sostenendo che, con esso, il potere d'acquisto della lira in Sicilia sarebbe stato diverso che in Italia e quindi che spianava la strada alla creazione di una "lira siciliana"?
La ringrazio per un suo parere.
Gentile Massimo Costa,
quella che Lei cita è una disposizione di difficile lettura, tanto più che non ha mai avuto attuazione. Né conosco la dottrina che si è formata sul punto, essendo io un civilista che ama indagare altri settori normativi, legati all'economia. Direi che è una di quelle disposizioni che si conoscono al meglio leggendo i "lavori preparatori", i quali, in questi casi, sono il miglior selettore tra i possibili significati.
Senza studiare, direi soltanto che dicendo che "Le disposizioni generali sul controllo valutario emanate dallo Stato hanno vigore anche nella Regione", il legislatore ha precisato che i divieti e il potere autorizzatorio statali non venivano menomati. I residenti siciliani erano sottoposti alle normative e ai controlli nazionali.
Gestione autonoma delle riserve valutarie? Non mi è chiaro, sinceramente. Ad una prima lettura, la singolarità è che allo scopo di soddisfare i bisogni della regione erano destinate (tutte?) le valute straniere derivanti da esportazioni. Se lei non mi avesse suggerito una interpretazione ragionevole, io avrei preso le mosse dallo scopo dichiarato dal legislatore: spendere le valute straniere per soddisfare i bisogni della regione. Insomma, la prima lettura mi suggeriva che l'obiettivo era spendere più che costituire riserve.
Adesso la mia curiosità è grande. Approfondirò, e la cercherò, non certo per darle una risposta ma per cercarla assieme o magari per confermare la sua ipotesi.
La ringrazio per la sollecita risposta. Da qualcosa che ho letto sui lavori della Consulta regionale che stilò lo Statuto mi pare che si riferissero solo alle eventuali eccedenze di riserve da spendere. D'altronde una "clearing house" per funzionare ha bisogno di riserve, non può spenderle tutte. Sembra che la norma attribuisse alla Regione la proprietà delle riserve ma non la sua gestione. Questione attuale per lo Stato, che, anche secondo il Trattato di Lisbona, è "in teoria" proprietario delle riserve, ma non può gestirne o incamerarne le eccedenze senza il parere favorevole della BCE (che non lo darà mai, ma questa è altra storia).
Mi rendo conto che è difficile trovare il materiale su questo argomento, tutto su cartaceo e piuttosto "locale". La Regione siciliana, negli anni '60/'70 pubblicò i lavori della Consulta e poi c'è un contributo dell'economista Frisella Vella sugli Annali della Facoltà di Palermo degli anni '40. Ma è tutta roba piuttosto difficile da reperire. Più facile trovare il dibattito alla Costituente nel gennaio '48, quando lo Statuto doveva essere recepito e fu recepito nella sua versione integrale e originaria del 1946.
Sorprende in positivo, per i tempi, la lungimiranza nell'individuare una fonte finanziaria importante e nel preservarla al dominio pubblico con una lucidità che non si riscontra neanche nella Costituzione repubblicana. Ad ogni modo, ormai,…
Grazie comunque per l'attenzione.