Corte d’appello USA: Biden ha violato la libertà d’espressione sul Covid
da L’INDIPENDENTE (Valeria Casolaro)
L’amministrazione Biden potrebbe aver violato il Primo Emendamento della Costituzione americana, inerente la libertà di espressione, durante il periodo Covid. In particolare, il governo avrebbe influenzato impropriamente le decisioni di tutte le principali piattaforme social riguardo la pubblicazione o la soppressione di post inerenti la pandemia da Covid-19, ma anche le elezioni del Congresso svoltesi nel 2022. A sancirlo è una sentenza emanata lo scorso venerdì dalla Corte d’Appello degli Stati Uniti per il 5° Circuito nell’ambito del processo Missouri vs. Biden.
Secondo la sentenza, che porta la firma dei giudici repubblicani Clement, Elrod e Willet, “negli ultimi anni – almeno dalle elezioni presidenziali del 2020 – un gruppo di ufficiali federali è stato regolarmente in contatto con quasi tutte le maggiori compagnie di social media americane in merito al diffondersi della ‘disinformazione’ sulle loro piattaforme”. Tali compagnie avrebbero dato agli ufficiali accesso ad un “sistema di segnalazione accelerato”, oltre ad aver “declassato o rimosso i post segnalati” e “rimosso utenti”. Le piattaforme social avrebbero anche “cambiato le loro politiche interne per individuare più contenuti segnalati e inviato costantemente rapporti sulle loro attività di moderazione agli ufficiali”. Una manipolazione a tutti gli effetti dell’informazione in merito ad argomenti scomodi, primo fra tutti la pandemia da Covid, architettata e messa in atto per intero dal governo. Tutto questo sarebbe avvenuto non solo “durante la pandemia da Covid-19” e “le elezioni congressuali del 2022”, ma sarebbe tuttora ancora in corso.
L’atteggiamento del governo nei confronti delle piattaforme avrebbe assunto i toni di una vera e propria coercizione, in quanto la Casa Bianca avrebbe “costretto le piattaforme a prendere le loro decisioni di moderazione attraverso messaggi intimidatori e minacce di conseguenze avverse e incoraggiando significativamente le decisioni delle piattaforme prendendo il comando del loro processo decisionale, in violazione del Primo Emendamento”. Nel mirino del governo sarebbero finite tutte le principali piattaforme social, comprese Facebook, Twitter (ora X), YouTube e Google. Tra i pochi interventi ritenuti leciti dalla Corte vi è quello del medico Anthony Fauci, ex consigliere del presidente coinvolto nella causa, il quale non avrebbe cercato di manipolare l’informazione dei social media e non si sarebbe dunque posto “in contrasto con il Primo Emendamento”.
A dimostrazione di quanto dichiarato vi sarebbero i documenti resi pubblici lo scorso 6 gennaio. Dalle carte sarebbe emerso, in particolare, il ruolo del direttore dei media digitali della Casa Bianca, Ron Flaherty. Proprio lui, in una mail inviata ad un dirigente di Facebook il 14 marzo 2021, suggeriva come il social partecipasse alla «diffusione di idee che contribuiscono all’esitazione vaccinale». A fronte dell’esitazione del dirigente della piattaforma (il nome non è stato reso noto), Flaherty aveva preteso un cambio delle politiche di moderazione, sottolineando come «Siamo seriamente preoccupati dal fatto che il vostro servizio sia uno dei principali motivi che spingono all’esitazione vaccinale, punto… Vogliamo sapere che ci state lavorando, vogliamo sapere come possiamo aiutarvi e vogliamo sapere che non state facendo il gioco delle tre carte…». A fronte delle pressioni, tanto Facebook quanto tutti gli altri social coinvolti avrebbero ceduto alle richieste governative.
Secondo il Washington Post, la sentenza avrà un forte impatto sulle elezioni del 2024, influenzando tanto le strategie comunicative del governo quanto le decisioni dei social media e, non da ultimo, degli elettori. Il caso, ad ogni modo, rappresenta il più riuscito tra gli sforzi legali dei conservatori di dimostrare (e limitare) l’ingerenza dell’amministrazione Biden nelle attività dei social media e dei mezzi di informazione.
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