Il futuro della nostra civiltà
da PAGINA FACEBOOK (Pierluigi Fagan)
O. Spengler venne preso con leggerezza quando ai primi Novecento vedeva, -come vedono certi intellettuali ovvero con un misto di ragione, sentimento ed intuito- il tramonto della nostra civiltà.
Vedere processi storici di tale portata significa collassare il tempo, ridurlo in modo da fare entrare l’inizio e la fine in una mentalità limitata, qual è la nostra. Sono pochi coloro che si dedicano a quella che un attore che lavora con le parole ha felicemente chiamato “voto di vastità”. Vastità spaziale tanto da inquadrare una intera civiltà, vastità temporale tanto da inquadrare cicli di secoli. Non cito Spengler perché ne condivida l’analisi nello specifico, ma perché intuire il senso del titolo-concetto “Tramonto dell’Occidente” nel 1918 è comunque rimarchevole. Aveva ragione?
Leggendo un autore asiatico, tempo fa, un pensatore che ha stima dell’Occidente sebbene rimanga profondamente asiatico (non cinese, né indiano), mi ha colpito il suo sincero sconcerto per quello che abbiamo combinato nel Novecento. Il tizio, studioso della nostra filosofia politica da Machiavelli a Kant, Hegel e successivi, non si capacitava del fatto che cotanta civiltà fosse finita nel buco nero del doppio conflitto mondiale. Come se un altissimo livello di civiltà teorica, convivesse con un bassissimo livello di civiltà pratica, una sorta di schizofrenia semi-funzionale. Già da prima, ma di più da allora, guardo alla nostra storia dell’ultimo secolo come se non vi appartenessi.
Noi nasciamo e viviamo nel racconto di quelle due guerre, se non è la scuola è la cinematografia o la letteratura a “normalizzare” quel doppio conflitto. Per carità, entrandovi dentro sappiamo che tragedia fu, ma così perdiamo il senso dell’imbarazzo che si ha standone fuori, guardando la questione come ci venisse raccontata da quelli di un altro pianeta che raccontano eventi di un’altra galassia. Come ha fatto quella civiltà evoluta e complessa a finire inghiottita dentro un tale buco nero da lei stessa generato?
Ieri Putin che ha la strana posizione di chi vive ai margini di un sistema, con un piede dentro ed uno fuori, come le particelle virtuali al limite dell’orizzonte degli eventi di Hawking, che cioè ci conosce perché in fondo fa parte di quella stessa civiltà e tuttavia non ne è il cuore e con un piede sta dentro altre sfere di civiltà, ci ha di nuovo detto che stiamo sbagliando. Invito chi non riesce a non farsi prendere dall’orticaria sentendo “Putin” a seguire comunque il discorso, a fare voto di vastità e guardare le cose dall’alto, senza emozioni particolari.
Nel 1997 la Russia viene invitata in pianta stabile nel G7 che diventa G8. Il formato durerà fino al 2014, per diciassette anni il cuore dell’aristocrazia politica occidentale comprendeva la Russia. Per quindici di questi diciassette anni, Putin è stato presidente o primo ministro della Federazione, quindi partner paritario. Lui variabile fissa, i vari leader occidentali variabili variate. Come e perché abbiamo avuto rapporti di così alto livello con lui se poi due anni fa abbiamo cominciato a dire che è pazzo, criminale, invasato dall’idea di reincarnare Pietro il Grande? È credibile, ha senso che vari leader occidentali di vario orientamento politico, di varie grandi nazioni della nostra civiltà abbiano fatto colloqui e riunioni strategiche con un tizio che dopo venti anni scoprono esser in realtà pazzo e criminale? Quando è diventato pazzo e criminale?
Non ancora pazzo e criminale, ma non più leader paritario è diventato quando fallì il G8. E quando fallisce il G8? L’anno di piazza Maidan, la rivolta ucraina che porta ad un “regime change”. L’altro giorno discutevo qui dove mi trovo con un australiano invasato che trasecolava ad ascoltare il mio punto di vista sulla guerra ucraina, stante che lui, come molti anche in Italia, nulla sanno di cosa è successo nel 2014 e dal 2014 all’invasione del febbraio di due anni fa.
Wikipedia, che pur sappiamo esser supervisionata dai tutori dell’immagine di mondo occidentale, riporta comunque che sondaggio d’opinione ritenuto affidabile secondo i nostri standard fatto ai tempi, confermato da pari risultati ottenuti da altri sondaggi, dava gli ucraini perfettamente spaccati tra gli “a favore” e “contro” quelle manifestazioni e quelle istanze. Con marcate differenze ragionali com’è noto a chi sa due-cose-due del paese che si estende in orizzontale tra Russia ed Europa, una naturale dissolvenza incrociata tra due culture, tradizioni, storie. Quello che ha ripetuto più volte Kissinger e che chiunque si occupi professionalmente di questi argomenti sa perfettamente.
Gli ucraini volevano fortemente e non volevano altrettanto fortemente l’esito di quel drammatico regime change che noi raccontiamo come sollevazione democratica. Se erano spaccati a metà come si fa a dire che quella era una volontà democratica? E se non era democratica, cos’era? E la nostra civiltà è intervenuta negli eventi per difendere quale versione della volontà democratica su una questione così incerta?
Tutto cancellato, conoscenze cancellate, memorie cancellate, storie cancellate. Un giorno ti svegli ed inizia il mondo e sorpresa! C’è un aggredito ed un aggressore, alle armi! alle armi! difendiamo la civiltà sotto attacco! Nel 2023, nella nostra civiltà, accade ancora e di nuovo che si neghi la realtà e la complessità delle questioni che, come nel 1914, facciamo collassare nel diritto delle armi. Ancora oggi, affrontiamo i problemi storici sparando e dando la colpa agli altri di aver pretestuosamente iniziato mettendoci con le spalle al muro, senza lasciarci scelta.
L’anno dopo Euromaidan, dopo che per anni una coalizione con Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Canada, Germania, Norvegia, Paesi Bassi più mezzo mondo arabo più o meno petromonarchico e petrolifero e la Turchia diceva di star combattendo in Siria uno strano esercito islamista irregolare con la bandiera nera che aveva fatto anche qualche morto qui in Europa con attentati clamorosi, i russi mandano qualche bombardiere e magicamente, in poco tempo, tutte le postazioni e l’intera logistica del minaccioso ISIS, vengono distrutte all’istante. Tutta quella coalizione non sapeva come farlo? Dovevano aspettare i russi? E perché ci siamo così arrabbiati per quello che hanno fatto?
C’è un doppio livello problematico nella nostra civiltà, narrazioni del tutto scombinate e surreali che tuttavia vengono credute verità lampanti e verità concrete che sono scabrose e scandalose ancorché coperte da suddette narrazioni.
Tutto ciò, piaccia o meno, non funziona più. Non è così che si può stare in un mondo di 8 miliardi di persone, con 200 stati, con tutti che usano l’economia moderna per crescere e svilupparsi, creando una inestricabile matassa di interrelazioni ed effetti problematici. Non è sparando e raccontando storie surreali che si dà un futuro alla nostra civiltà. Anche perché è bene ricordare che gli altri hanno più o meno lo stesso nostro numero di testate atomiche.
Non è una questione morale o etica, non funziona, non può ottenere i risultati attesi. E se non funziona, enormemente problematica sarà la cascata di controeffetti che ci pioverà sulla testa. Una civiltà che non funziona crolla. Vogliamo aspettare ci crolli il tetto in testa mentre si aprono sotto i piedi voragini ed abissi di cui non vediamo il fondo o peggio, che ci guardano mentre noi vi guardiamo dentro?
Questa nota pone il problema: siamo in grado di ripensare la nostra civiltà? Perché se non siamo in grado di immaginarla, non saremo in grado di cambiarla e se non la cambiamo temo che ci crollerà addosso.
Visto che nel mio insignificante piccolo ho fatto anche io quel “voto di vastità” che fecero gli Spengler, i Toynbee, i McNeill o i Mann, una primitiva idea mi si è formata nel tempo.
Penso che per primo la nostra civiltà dovrebbe fare una rivolta di potere interno contro il dominio e l’egemonia anglosassone, l’attuale aristocrazia della nostra civiltà, gli anglosassoni sono un problema serio, credo che se non gli aiutiamo non saranno in grado di cambiare e ci trascineranno nel loro cupio dissolvi. La civiltà occidentale è europea, tocca riprenderne in mano i destini.
Per secondo, dobbiamo iniziare una stagione di stretto realismo, guardare la realtà, guardarci in faccia e dirci le verità sgradevoli. Ognuno è convinto delle sue ragioni ma deve farsi dire da gli altri anche gli inevitabili torti.
Per terzo, noi riteniamo di esser democratici e gli altri no. Ma gli altri ci chiedono democrazia nella gestione del mondo e noi invece continuiamo a comportarci come ne fossimo l’aristocrazia. Tanto più gli altri ci fanno sentire il peso della loro legittima richiesta, tanto più noi dissolveremo ogni minima forma di democrazia reale al nostro interno. Allora forse il problema è che la nostra aristocrazia, quella che governa la nostra civiltà e vari livelli, va sostituita.
Non solo va sostituita perché fallimentare, va proprio sostituito il sistema per il quale il nostro mondo è governato da una aristocrazia. Rosa Luxemburg nel Junius pamphlet, Chapter 1 – 1916 (più o meno l’epoca di Spengler), usò l’espressione “socialismo o barbarie” che per altro non era sua ma di Engels. Socialismo si oppone a capitalismo, ma sebbene le forme economiche siano certo anche politiche, concettualmente quelle politiche dovrebbero venire prima, dovrebbero esser le forme politiche a decidere quelle economiche. È il “capitalismo” ad averle fuse assieme subordinando quelle politiche a quella economiche come notò Polanyi nel concetto di “disembedded”, l’Economico scorporato che ordina il Politico.
Quindi, se è il Politico il primo livello delle volontà del sistema sociale, la nostra civiltà mostrò già nel 465 a.C. (Erodoto-Storie) le scelte fondamentali: governo dell’Uno, dei Pochi o dei Molti. Quello dei Molti si chiama “isonomia” secondo quanto riferisce Erodoto, dove il popolo di autogoverna, si dà la legge da sé.
Credo che per varie ragioni, tutte strettamente funzionali e non ideali, il futuro della nostra civiltà sia riprendere il bivio da cui nacque e riconsiderare la via che abbandonò per incapacità storica, la via più difficile, quella poi poco tentata e sempre fallita: l’isonomia. In breve, l’unica alternativa è Democrazia o barbarie.
Abbiamo percorso per due millenni e passa la via dell’Uno che fosse monarca, imperatore, duce, fuhrer o tiranno; altrettanto spesso la via dei Pochi che fosse aristocrazia, oligarchia, casta o élite. Dobbiamo tentare la terza opzione, evitando la demagogia ed evolvendo la democrazia. Non vedo altra possibilità. Non importa quanto difficile o improbabile sia, prima ci si chiarisce le idee, poi si prova a conseguirne il “che fare?”.
Se fosse stato facile perseguirla prima l’avremmo fatto, ma è proprio perché non l’abbiamo fatto che siamo qui a rischiare il collasso di civiltà.
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