All’inizio del nuovo conflitto tra Israele e Gaza, le leadership dell’Unione europea e dei suoi stati membri avevano di fronte a loro due opzioni molto chiare: ribadire l’importanza del diritto internazionale umanitario pretendendone il rispetto da tutte le parti in conflitto, oppure indebolirlo applicando doppi standard.

Finora è stata scelta la seconda opzione: sostegno incondizionato a Israelesolidarietà selettiva nei confronti delle vittime. Alla popolazione civile di Gaza tuttalpiù maggiori aiuti, come se si trattasse solo di una crisi umanitaria (innegabile e di dimensione spaventosa) e non anche di una crisi dei diritti umani (per lo più negata e invece di dimensione altrettanto spaventosa).

Giovedì scorso il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che, al posto del cessate-il-fuoco, chiede una “pausa umanitaria”. Nulla di più: una sorta di appello non vincolante.

Il messaggio che l’Unione europea sta inviando al mondo è il seguente: le vite di alcuni valgono più delle vite di altrii crimini di diritto internazionale si condannano o si condonano a seconda di chi li compie.

 

C’è poi un altro aspetto preoccupante: in alcuni stati membri sono entrate in vigore limitazioni al diritto di protesta pacifica nei confronti delle manifestazioni in favore della Palestina. In Francia, il divieto è stato dichiarato totale e Amnesty International l’ha giudicato un provvedimento “grave e sproporzionato”. È dovuto intervenire il Consiglio di stato a spiegare che un divieto del genere non è applicabile e che si deve valutare caso per caso.

Silenzio, invece, sul tema della giustizia internazionale. Nel 2021 la Corte penale internazionale ha formalmente aperto un’indagine sulla situazione in Palestina, riguardante crimini di sua competenza commessi dal giugno 2014. L’ufficio del procuratore della Corte ha confermato che il mandato dell’indagine comprende crimini di diritto internazionale commessi da tutte le parti nell’attuale conflitto.

Sarebbe importante che gli stati membri dell’Unione europea chiedessero al governo israeliano di cooperare con la Corte e di facilitarne il lavoro, anche consentendo ai suoi funzionari l’ingresso nei Territori palestinesi occupati e in Israele per condurre indagini sul posto sui crimini commessi da tutte le parti in conflitto. Altrettanto importante sarebbe che gli stati membri garantissero alla Corte adeguati finanziamenti per condurre pienamente le proprie indagini.

In definitiva, le azioni che l’Unione europea e i suoi stati membri stanno intraprendendo in queste settimane avranno conseguenze significative per la vita di milioni di palestinesi e israeliani e saranno cruciali per capire se all’Unione europea e ai suoi leader spetterà mai un ruolo di attore imparziale, impegnato nella tutela dei diritti umani.