La civiltà occidentale moderna si caratterizza per il rapporto peculiare con la tecnica
di GABRIELE GERMANI (Pagina FB)
Uno dei primi aspetti da comprendere dell’attuale situazione internazionale e del ciclo di accumulazione (ormai in conclusione, in attesa di nuove tecnologie) è che lo scontro avviene su un campo antropologico, forse ancor di più che in passato.
La via imboccata dall’Occidente capitalista negli ultimi duecento anni prevede un superamento della “natura umana” (ammesso che questa esista) come pensata precedentemente.
Intendiamoci, non voglio qui dare un parere moralistico, parlare di de-umanizzazione, voglio limitarmi a fare analisi e vedere se questo aspetto può in qualche modo condizionare il nostro rapporto con l’Altro.
La civiltà occidentale moderna si caratterizza per il rapporto peculiare con la tecnica. La rivoluzione industriale ne fu il segnale: si passava da millenni in cui gli utensili erano strumenti in mano all’uomo, agli ultimi duecento anni in cui è la macchina a dettare il ritmo del lavoro umano.
A cambiare è il nostro rapporto con le cose e con la natura, quando Nietzsche scrive “dio è morto”, fa un’affermazione che avrà conseguenze infinite per la nostra percezione della realtà. Il mondo è completamente desacralizzato, si va oltre il bene e il male, non vi è legame morale o sacro con la terra, ma solo la volontà umana di possedere, controllare. Non a caso, il secolo a seguire sarà quello delle grandi ideologie.
L’Illuminismo messo a frutto dalla società della tecnica crea i campi di sterminio. La razionalità del mattatoio diventa razionalità di morte, la società di massa diventa una massa di ingranaggi ubbidienti al servizio della razionalità tecno-industriale. A mio avviso, in questo l’URSS imbocca un percorso diverso, fatto ancora di rigidità, autoritarismi, contadini che falciano il grano a mano accanto al primo uomo nello Spazio.
Così -in Occidente- il superamento dell’umano si declina in ogni salsa: post-umanesimo tecnico-salutare, transumanesimo liberista, persino il post-umano dei gruppi (spinoziani-deleuziani) di sinistra radicale.
Anche un grande scrittore come Harari ammette candidamente che andiamo verso un mondo del futuro dominato dalla tecnica. A questa umanità annoiata non rimarranno che videogiochi e droga (forse dovremmo dire “addicted”, che non fa riferimento solo a sostanze, ma anche a dipendenze comportamentali, coazioni a ripetere et similia).
Ecco, lo scontro geopolitico è anche attorno a tutto questo.
Perché a pochi chilometri dalla casa delle dipendenze di Harari, ci sono i quartieri dell’apartheid palestinese.
Accanto, al giardino democratico di Borrell, c’è il Mediterraneo tomba di uomini in fuga e un deserto che avanza con le sue sabbie sempre più a Nord, oltre il mare.
Aggiungo, che proprio vicino alle università, dove questo pensiero “oltre l’uomo” viene spesso teorizzato e diffuso, ci sono i quartieri dei migranti, della miseria, della disperazione, del razzismo soft.
L’Occidente (qualsiasi cosa intendiamo con questo) ha tutto il diritto di imboccare la strada che ritiene opportuna, inclusa quella (a mio avviso pericolosa) di avviarsi verso un futurismo ignoto. Questo è il prezzo che siamo disposti a pagare pur di far proseguire l’orgia consumista, i privilegi rispetto al resto del mondo, la differenza tra ricchi e poveri, la possibilità per pochi di comprare una Ferrari, mentre un bambino all’angolo soffre la fame.
Quello che non possiamo aspettarci è che il resto del mondo rimanga in silenzio e si lasci fagocitare in questo delirio di grandezza.
Oggi la Russia valuta la possibilità di inserire un patto di lealtà per gli stranieri in visita. Chi si reca nel paese non potrà criticare le autorità, le tradizioni russe, le abitudini culturali ed etniche di tutti i popoli che compongono la Russia (incluse decine di popoli nomadi o che conducono vite agro-pastorali) e non potrà negare il contributo sovietico nella sconfitta del nazifascismo.
L’informazione occidentale parla di censura, ma io parlerei di educazione. Se il vicino vi invita a casa, voi date pareri non richiesti su come amministra il denaro, veste i figli o sul lavoro dei nonni? Non credo proprio.
Badate bene, questo non è un discorso contro la tecnica. Anzi, io sono favorevole allo sviluppo della tecnica, a non piacermi è l’uso demenziale della stessa, la declinazione di ogni suo uso al dominio, al profitto, alla violenza, alla sopraffazione e distruzione di ciò che eravamo.
Ciò che ci repelle di quelli che chiamiamo “regimi autoritari” è quello che Bunuel chiamava il fantasma della libertà.
Vedendo così tanta gente che ancora vive in tanti modi così tanto diversi (basti pensare all’enormità di stili di vita che la sola Russia propone) ci ricordiamo di quel trauma omologante, alienante enorme a cui tutta la popolazione europea si è sottoposta negli ultimi duecento anni: la distruzione delle nostre peculiarità storiche, linguistiche, estetiche, dialettali, tutto questo chiaramente per “sua maestà il denaro”.
Dobbiamo parlare di come la popolazione cinese, russa o nord-coreana sia vessata e irregimentata per esorcizzare la nostra clausura, la nostra voglia di una dimensione altra.
Questo bisogno totalitario di negare l’Altro è in finale il terrore che assale Arjuna nella Bhagavadgita quando vede il volto terrificante del suo amico Krisna e vi scorge tutto l’universo, le vite, il sapere, la vita, la morte, l’amore, l’odio, la guerra e il destino.
Ah, la saggezza degli antichi ad avere buone orecchie…
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