Due vite
Li vedevo ogni mattina lì, nei due lati opposti dello stesso trafficatissimo incrocio. Lei teneva le sue poche cose dentro ad un carrello del supermercato parcheggiato sul marciapiede davanti ad un bar. Lui se ne stava in piedi a distribuire un giornale gratuito ai passanti. Non importa quanto di buon'ora passassi per quell'incrocio, sicuramente lui era al lavoro. Anche lei, qualche volta.
Tempo fa lui consegnava la copia omaggio agli automobilisti in coda al semaforo.
Una vita che mi faceva pena, e che mi ricordava quella dei cingalesi che per guadagnare qualche euro vendono fiori agli incroci mentre si respirano il fior fiore delle nanopolveri e dei gas di scarico. Ma lui non aveva neanche l'attenuante della pelle scura o dei tratti somatici di chi chiede qualche spicciolo per la pulizia del vetro.
Poi sparì dalla strada, mettendosi a distribuire le sue copie omaggio sotto al portico davanti alla banca. Fui in qualche modo felice di quella scelta, così quando pioveva almeno non si bagnava. Poca roba, magari, ma sempre meglio di niente. Anche in quell'occasione apparve il mio vecchio vizio di considerare il posto di lavoro come parte integrante del lavoro stesso. Perchè di lavoro sicuramente si trattava, per quanto semplice.
Nel momento in cui lasciò l'asfalto dell'incrocio per quello del marciapiede, comparve lei. Con il suo portamento eretto e la sua camminata bislacca dribblava le auto con la mano tesa, mormorando frasi incomprensibili. Non sono sicuro che avesse problemi psichiatrici, ma penso avesse problemi di droga. Almeno i suoi denti suggerivano che fosse così.
Non so se i due giovani (lui decisamente più giovane di lei) si fossero mai parlati. Forse si, accomunati da quelle ore passate assieme sui lati opposti dello stesso incrocio a intrattenere passanti frettolosi o automobilisti fermi. O forse no, perchè mentre lui offriva qualcosa gratis, lei chiedeva solo, e questa avrebbe potuto essere una differenza insopportabile.
Mentre ho accettato saltuariamente una copia di giornale dal ragazzo, non ho mai voluto fare l'obolo alla ragazza. E' un altro limite che mi riconosco. Pur nutrendo un naturale interesse per chi vive ai margini della società, ho difficoltà a considerare l'accattonaggio una valida alternativa al lavoro. Se si è in età di lavoro e le condizioni fisiche lo permettono, accettare soldi dagli altri rappresenta per me un inaccettabile atto di subordinazione al buon cuore altrui. Un vecchio proverbio inglese recita: “Beggars can't be choosers”. Ovvero gli accattoni non possono scegliere. Al punto che in altri tempi i monaci dediti alla questua avevano l'obbligo di mangiare il dito del lebbroso caduto nella ciotola che porgevano per raccogliere un po' di cibo.
Forse per orgoglio (o forse perchè se la Fortuna ti aiuta queste scelte diventano improvvisamente molto semplici) ho deciso di non essere mai un Beggar, e di scegliere sempre. La definitiva conferma del valore morale di questa filosofia spicciola mi venne offerta durante un viaggio a Sri Lanka, quando una guida mi suggerì di non dare nessuna monetina ai bambini che, magari con un fiore di loto in mano, mi si avvicinavano. “Non voglio che il mio popolo diventi un popolo di accattoni”, mi disse, e poi mi fece ragionare sul fatto che in realtà chi ha bisogno ma non accetta elemosine invece di allungare la mano si arrangia come meglio può. Sono persone silenziose ed invisibili, al contrario degli accattoni. Al giorno d'oggi di quelle persone che fanno la fila per un pasto alle mense sociali e che frugano nei cassonetti in cerca di qualcosa ce sono sempre di più. Qui da noi, intendo, non in qualche paese del Terzo Mondo come lo Sri Lanka. Un terzo degli italiani si sono rivolti ad associazioni come la Caritas per ricevere qualche aiuto.[1]
Sono passati alcuni anni dai giorni in cui vedevo quelle due vite così diverse nello stesso incrocio. Oggi i quotidiani gratis non esistono più, e conseguentemente è sparito anche il ragazzo che li distribuiva. Ho pensato che fosse uno studente universitario che per raggranellare qualche soldo si alzava all'alba e poi, una volta finite le copie, si avviava verso le lezioni. Fatto sta che in quell'angolo di portico adesso non c'è più nessuno che offra niente. Gratis e spending review non vanno molto d'accordo.
Seguendo una sua imperscrutabile legge di simmetria, il destino ha deciso che neanche la clochard dovesse più frequentare quell'incrocio cittadino. Un trafiletto affermava che venne “travolta da un'auto guidata da un 27enne” mentre era in sella alla sua bici. L'articolo era apparso su un giornale gratuito, di quelli che non vengono più distribuiti agli angoli delle strade. Il fato alle volte si mostra in tutta la sua preoccupante ironia.
Che si conosca o si ignori queste storie di vite parallele oggi quell'incrocio, sempre trafficatissimo, appare comunque differente rispetto a com'era anni fa. Non ci sono più i giornali gratuiti, né chi li distribuisce. Ed è sparita anche Barbara, “nota in città per la sua bellezza e per la dignità che mostrava chiedendo l'elemosina”. Legati al semaforo, vicino al marciapiede dove era solita parcheggiare il suo carrello del supermercato ci sono dei fiori, di plastica e veri. Ci sono anche dei messaggi scritti a mano ed attaccati con del nastro adesivo. Evidenti segni di affetto per chi ha avuto troppe sfortune.
All'altro angolo della strada anche la banca ha subito una evidente trasformazione. Spariti i graniti esotici di banconi e pavimenti (segno del lusso dantan), oggi viene messo in bella mostra l'anonimato grigio delle ristrutturazioni commerciali moderne: vetri, piastrelle grigie e banconi di melaminico.
Quella banca adesso così grigia ricorda molto il grigiore di Monti, l'uomo delle banche.
Se oggi qualcuno ancora si ricorda di Barbara, nessuno sembra ricordarsi del ragazzo che distribuiva giornali. Ci sono fatti visibili e fatti invisibili, pare. Proprio come le persone: chi ha il destino di essere invisibile rimane tale per sempre.
In questa storia lavorare nei pressi di una banca rende più invisibili che lavorare nei pressi di un bar. Monti è avvisato. Sarebbe stato sicuramente impossibile ricordare quella donna se avesse stazionato presso la banca, circondata quest'ultima com'è da telecamere ed asfissianti cartelli che vietano qualsiasi affissione o solo appoggiarci una bici. Un vecchio semaforo invece non si lamenta, non ne ha motivo. Essendo di tutti (come nella migliore tradizione democratica) chiunque ne può rivendicare un pezzetto per farne l'uso che preferisce: colorarlo, scriverci sopra, attaccarci messaggi, legarci dei fiori per ricordare un lutto. Provate a fare lo stesso con il muro di una banca.
Pare quasi che i due posti dove stazionavano queste due vite così diverse (eppure simili) abbiano deciso di applicare delle rigide norme interne: un angolo di strada ha ceduto quel poco di fascino che possedeva pur di mantenere alto il profilo del terziario avanzato nell'immaginario collettivo (e nel nome di una postmodernità silenziosa, tanto efficiente quanto grigia), mentre l'angolo opposto ha optato per il mantenimento del senso di quella nauseabonda e caotica modernità che da sempre si coniuga con la civiltà delle macchine.
Una banca più grigia che mai che non vuole ricordare oppure un vecchio semaforo che si incarica di ricordare?
Bel dilemma…
“Ogni uomo è un attore e tutto il mondo è un palcoscenico.”
Un vecchio semaforo! …per tutta la vita…
Grazie :)