La tolleranza
di Voltaire
dal Trattato sulla tolleranza, 1763, trad. it. a cura di Lorenzo Bianchi, Feltrinelli, 1995, pp. 25 – 31, (estratto), scelta da Cinzia
Osiamo credere, a onore del secolo in cui viviamo, che non vi sia in tutta Europa un solo uomo illuminato che non consideri la tolleranza come un diritto di giustizia, un dovere prescritto dall’umanità, dalla coscienza, dalla religione; una legge necessaria alla pace e alla prosperità degli stati.
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Ogni legislatore che professa una religione, che conosce i diritti della coscienza, deve essere tollerante; deve sentire come è ingiusto e barbaro mettere un uomo a scegliere tra la tortura e delle azioni che egli considera criminali. Egli vede che tutte le religioni si basano su fatti, sono fondate sullo stesso genere di prove, sull’interpretazione di certi libri, sulla stessa idea dell’insufficienza della ragione umana: che tutte sono state seguite da uomini illuminati e virtuosi; che le opinioni contraddittorie sono state sostenute da persone di buona fede, che avevano meditato tutta la loro vita su questi argomenti.
Come dunque potrà credersi abbastanza sicuro della propria fede da trattare come nemici di Dio tutti coloro che la pensano diversamente da lui? Considererà forse il sentimento interno che lo condiziona come una prova giuridica che gli dà dei diritti sulla vita o sulla libertà di coloro che hanno altre opinioni?
Come non potrà accorgersi che coloro che professano un’altra dottrina hanno contro di lui un diritto altrettanto legittimo di quello che egli esercita contro di loro?
Supponiamo ora un uomo che, non avendo alcuna religione, le considera tutte come favole assurde; sarà forse quest’uomo intollerante? No senza dubbio. In verità, dato che le sue prove sono di un altro genere e che i fondamenti delle sue opinioni si basano su principi di un’altra natura, il dovere di essere tollerante si fonda, per lui, su altri motivi.
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Se ora consideriamo la giustizia e il mantenimento dei diritti degli uomini, troveremmo che la libertà di opinione, quella di professarla pubblicamente e di conformar visi nella propria condotta, per tutto ciò che non viene a violare i diritti di un altro uomo, è un diritto altrettanto reale ché la libertà personale o la libertà dei beni. Così ogni limitazione portata all’esercizio di questo diritto è contraria alla giustizia, e ogni legge intollerante è una legge ingiusta.
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L’interesse generale dell’umanità, questo primo obiettivo di tutti i cuori virtuosi, richiede la libertà d’opinione, di modo per stabilire tra gli uomini una vera fraternità; poiché, dato che è impossibile unirli nelle medesime opinioni religiose, bisogna insegnare loro a considerare, a trattare come propri fratelli quelli che hanno opinioni contrarie alle loro.
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Altre volte, membri di istituzioni assolutamente rispettabili chiedono a gran voce che si impedisca di lasciare entrare in un regno dei libri nei quali si combattono le loro opinioni. Essi ignorano verosimilmente che queste due frasi , “Vi prego di utilizzare la stima di cui godete per impedire al mio avversario di combattere le mie ragioni”, oppure “Non credo alle opinioni che professo”, sono rigorosamente sinonime.
Che si direbbe di un uomo che non volesse che il suo giudice ascoltasse le ragioni di ogni parte in causa? Ora, di qualsiasi religione voi siate sacerdote, quando si tratta della verità voi non siete che una parte. La ragione, la coscienza di ogni uomo sono i vostri giudici. Quale diritto potreste avere per impedire a questa ragione di istruirsi? Quale diritto per impedirle di istruire i propri simili? Se la vostra fede è suscettibile di prove, perché temete che la si esamini? […]
Esiste in Francia un libro che contiene l’obiezione più terribile che si possa fare contro la religione: è il quadro dei redditi del clero, quadro troppo bene conosciuto, anche se i vescovi hanno rifiutato al re di fornirgliene un esemplare. E’ questa una delle obiezioni che colpisce il popolo quanto il filosofo, e alla quale non vi è che una risposta: ridare allo stato ciò che il clero ha preso, e riformare la religione vivendo come si vuole che abbiano vissuto coloro che l’hanno fondata. Ascoltereste un professore di fisica che fosse pagato per insegnare un sistema, e che verrebbe a perdere la sua fortuna se ne insegnasse un altro? Ascoltereste un uomo che predicasse l’umanità facendosi chiamare monsignore, e la povertà volontaria accumulando benefici?
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Si è anche sostenuto che i liberi pensatori fossero pericolosi perché formavano una setta: anche ciò è assurdo. Essi non possono formare una setta perché il loro primo principio è che ciascuno deve essere libero di pensare e di professare ciò che vuole; ma essi si riuniscono contro i persecutori, e non significa formare una setta il fatto che ci si accordi a difendere il diritto più nobile e più sacro che l’uomo ha ricevuto dalla natura.
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