Il 7 ottobre tra verità e propaganda – il mio nuovo libro per Fazi Editore
di ROBERTO IANNUZZI (blog personale)
L’attacco di Hamas e i punti oscuri narrazione israeliana (un caso paradigmatico della crisi dell’Occidente).
Oggi mi permetto di parlarvi un po’ del mio breve saggio che sarà in tutte le librerie a partire da martedì 4 giugno.
«Solo partendo dalla ricostruzione della verità e dalla contestualizzazione storica di un evento che ha scatenato un conflitto si può sperare di giungere a una risoluzione pacifica di quest’ultimo».
(Il 7 ottobre tra verità e propaganda – Introduzione)
Uno spartiacque nella travagliata storia mediorientale (e forse addirittura mondiale) degli ultimi anni. Questo ha rappresentato il sanguinoso attacco compiuto da Hamas lo scorso 7 ottobre 2023, all’origine della violentissima reazione militare di Israele sulla Striscia di Gaza.
Un evento che ha avuto ripercussioni enormi non solo sulla regione mediorientale, ma anche sul complesso e difficile panorama internazionale che vede una contrapposizione sempre più netta fra l’Occidente da un lato, e un fronte variegato di paesi non occidentali guidati da Cina e Russia dall’altro.
Il 7 ottobre ha catapultato la regione tradizionalmente instabile del Medio Oriente in una fase ancora più pericolosa e incerta, così come tragicamente incerto è il destino dei palestinesi, non solo nella martoriata Striscia ma anche in Cisgiordania. Su entrambe queste regioni incombe la minaccia di una lenta pulizia etnica.
A Gaza, terribile è il bilancio di quasi 8 mesi di bombardamenti e incursioni militari terrestri israeliane, che hanno provocato oltre 36.000 morti, più di 81.000 feriti, e un’emergenza umanitaria di proporzioni inimmaginabili.
Fosco e pieno di incognite si prospetta il futuro dello stesso Stato di Israele, alla luce del protrarsi di una campagna militare che sembra non avere sbocchi, del costante rischio di allargamento del conflitto, e dell’incapacità del governo guidato dal premier Benjamin Netanyahu di formulare un piano realistico per la gestione della fase postbellica.
A ciò si aggiungono la gravissima crisi politica che vede il governo Netanyahu dilaniato dalle tensioni e dalle divisioni interne, in assenza di qualsiasi alternativa plausibile all’attuale esecutivo, e il crescente costo economico e sociale che lo sforzo militare sta ponendo sulle spalle degli israeliani, il quale ha già fatto parlare di un “decennio perduto” per Israele.
Le deformazioni della narrazione ufficiale
Ma il 7 ottobre ha prodotto contraccolpi anche in Occidente, dove ha aperto uno scontro politico e di narrazioni attorno agli eventi di quel giorno, ulteriormente complicato dal fatto che i paesi occidentali (sia gli Stati Uniti che numerosi membri dell’UE) sono direttamente coinvolti a sostegno dello sforzo bellico israeliano, attraverso l’invio di armi e l’aiuto logistico e di intelligence.
Senza il copioso e ininterrotto flusso di armi provenienti dagli USA, e senza la rete di sostegno logistico fornita dalle basi militari europee, l’impresa bellica israeliana semplicemente non sarebbe stata possibile (come evidenzio nel capitolo 8 del libro).
La narrazione dei fatti del 7 ottobre imposta dai governi e dai media di grande diffusione, in Europa così come oltreoceano, ha essenzialmente ricalcato la versione ufficiale fornita dal governo Netanyahu.
Come ho scritto nell’introduzione del libro,
In Occidente, i principali mezzi di informazione hanno dato voce soprattutto alla narrazione ufficiale israeliana. All’immane catastrofe abbattutasi su Gaza, soverchiante quantomeno in termini numerici, è stata contrapposta la descrizione minuziosa delle storie delle vittime israeliane di Hamas. Si è dato risalto alle singole tragedie personali, oltre che al trauma collettivo degli israeliani. Le vittime palestinesi, invece, sono perlopiù rimaste senza volto. A Hamas è stata attribuita essenzialmente sia la colpa dell’attacco del 7 ottobre che quella delle conseguenze prodotte dalla devastante invasione israeliana di Gaza nei mesi successivi. Sebbene presentasse diversi punti oscuri, la narrazione ufficiale del governo Netanyahu è stata accolta e rilanciata senza tentennamenti da gran parte dei media occidentali. Chi ne metteva in discussione taluni aspetti è stato tacciato di cospirazionismo, se non di negazionismo, e accusato di parteggiare per i “terroristi” di Hamas.
Una crisi che riguarda l’Occidente
In altre parole, ancora una volta in Occidente si è costruita una narrazione distorta, e storicamente decontestualizzata, di una grave crisi internazionale nella quale i paesi occidentali sono profondamente coinvolti, come già era accaduto nel caso del conflitto ucraino e, in precedenza, in altre innumerevoli crisi e guerre, dai Balcani al Medio Oriente.
Non è stato raro, ad esempio, sentir applicare all’attacco di Hamas la stessa formula di “aggressione non provocata” che era stata affibbiata all’invasione russa dell’Ucraina, tralasciando completamente la perdurante occupazione militare israeliana, il fallimento del processo di pace, e l’insediamento dell’ultimo governo Netanyahu, composto da elementi estremisti che parlavano apertamente di “annessione dei territori occupati”, il quale ha inasprito notevolmente le condizioni di vita dei palestinesi soprattutto in Cisgiordania.
Per questa ragione gli eventi del 7 ottobre, e lo scontro di narrazioni prodottosi attorno ad essi, non vanno considerati come un tema che riguarda soltanto Israele e i palestinesi, e nemmeno come un’emergenza regionale esclusivamente legata alle più ampie vicende mediorientali, bensì come una questione che riguarda direttamente i paesi occidentali.
Come ho scritto nel sottotitolo del presente articolo, tale questione rappresenta anzi un caso paradigmatico della crisi dell’Occidente, intesa, fra l’altro, come (intenzionale) incapacità di leggere in maniera corretta gli eventi internazionali, i quali vengono costantemente interpretati attraverso la lente deformata di una narrazione di comodo.
Ricostruire i fatti
Da qui l’esigenza, a cui ho tentato di rispondere con questo libro, di ricostruire la “cronaca” degli eventi del 7 ottobre, corredandola con l’imprescindibile “contesto” storico (le due parti essenziali di cui si compone questo volume).
Come ho scritto nell’introduzione,
se si ripercorrono gli eventi di quel giorno fatale, emergono alcuni interrogativi che paiono legittimi. Essi meritano una risposta. Davvero l’intelligence israeliana, considerata una delle più efficienti e sofisticate al mondo, era all’oscuro del piano di Hamas? Perché i segnali premonitori dell’attacco, pur numerosi, sono stati ignorati? Se fossero state adottate contromisure adeguate, naturalmente il bilancio dell’attacco sarebbe stato molto meno tragico. Se la risposta dell’esercito israeliano fosse stata meno confusa e improvvisata, se esso non avesse fatto ricorso a elicotteri da combattimento e carri armati in contesti urbani, il numero delle vittime civili sarebbe stato probabilmente inferiore. Quanti civili israeliani sono morti a causa della sproporzionata potenza di fuoco a cui fecero ricorso le forze armate di Tel Aviv?
Inoltre,
Sui media occidentali sono apparse storie di indicibili atrocità attribuite agli uomini di Hamas. Molti degli episodi più efferati si sono tuttavia rivelati falsi, sono stati smentiti dalla stessa stampa israeliana. Ciò non sminuisce la gravità dell’azione di Hamas. Ma sorge il dubbio che ingigantire ulteriormente gli orrori perpetrati dai miliziani palestinesi sia servito a giustificare l’inconcepibile distruzione che la successiva campagna militare israeliana avrebbe prodotto a Gaza.
Tanto per accennare a qualcuna delle risposte che il libro tenta di fornire agli interrogativi sopra citati, è interessante rilevare che il piano di attacco di Hamas era noto all’intelligence israeliana in tutti i suoi dettagli almeno un anno prima del 7 ottobre, come rivelò il New York Times nel novembre 2023.
I vertici dell’esercito e dei servizi erano infatti entrati in possesso di un documento di 40 pagine (nome in codice “Mura di Gerico”) che esplicitava punto per punto il piano che Hamas avrebbe messo in atto.
Ma, nelle sue linee generali, tale piano era noto agli apparati di sicurezza, e allo stesso Netanyahu, già dal 2014:
Centinaia di terroristi si sarebbero infiltrati in territorio israeliano attraverso tunnel sotterranei, ma anche utilizzando parapendio e commando navali, con l’obiettivo di commettere massacri negli avamposti dell’esercito israeliano e nelle comunità residenziali adiacenti al confine di Gaza, e di sequestrare militari e civili per usarli come merce di scambio.
Nei mesi immediatamente precedenti l’attacco, sia fonti dello Shin Bet, sia analisti dell’Unità 8200 (agenzia di intelligence che è l’equivalente dell’NSA americana), sia le soldatesse dispiegate con compiti di osservazione negli avamposti militari attorno a Gaza, avevano rilevato preparativi da parte di Hamas del tutto compatibili con questo piano.
Tali rilevazioni erano state debitamente comunicate ai vertici dell’esercito e dell’intelligence, i quali le avevano invariabilmente scartate. In altre parole, mentre i livelli più bassi dei servizi e delle forze armate sembrano aver adeguatamente compiuto il loro dovere, i vertici degli apparati di sicurezza hanno apparentemente rifiutato di trarne le dovute conclusioni (narro in dettaglio l’intera questione nel capitolo 2).
Le ragioni di tale rifiuto dovranno essere investigate da appositi organi di inchiesta, il cui lavoro è stato tuttavia rimandato al termine del conflitto. In generale, ogni indagine su ciò che è accaduto il 7 ottobre e nei mesi precedenti è stata rinviata, lasciando aperti numerosi interrogativi sulla dinamica degli eventi di quel giorno.
La storia non comincia il 7 ottobre
Non meno importante della “cronaca” del 7 ottobre, è il “contesto” storico che ha portato alla maturazione di tali eventi, a cominciare dall’occupazione israeliana, dal fallimento del processo di pace avviato dagli accordi di Oslo del 1993, ma anche dalla nascita ed evoluzione del movimento di Hamas, e dalla sua ascesa favorita dagli stessi governi israeliani come contrappeso al partito palestinese “laico” di Fatah (temi che sviluppo in particolare nel capitolo 6).
Altrettanto essenziale è il “contesto” regionale, che ha visto, nei mesi precedenti l’attacco di Hamas, il ritorno degli Stati Uniti in Medio Oriente per contrastare la penetrazione cinese attraverso un piano che prevedeva accordi di sicurezza con le monarchie del Golfo, e una normalizzazione dei rapporti fra esse e Israele.
L’obiettivo americano era quello di creare un fronte regionale arabo-israeliano alleato con Washington, che avrebbe isolato l’Iran e posto un argine alla penetrazione cinese, in particolare attraverso la creazione di un corridoio commerciale, l’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), che avrebbe collegato l’India ai porti dell’Europa attraverso la penisola araba ed Israele (ne parlo nel capitolo 7).
Agli occhi di Hamas, tuttavia, la normalizzazione dei rapporti fra Arabia Saudita ed Israele avrebbe posto la pietra tombale sulla questione palestinese, proprio mentre gli esponenti più intransigenti del governo Netanyahu parlavano apertamente di annessione dei territori occupati.
L’attacco compiuto il 7 ottobre è stato dunque di fatto un’operazione “suicida”, un’azione disperata che ha riportato la questione palestinese al centro dell’attenzione internazionale al prezzo esorbitante di almeno 36.000 morti e della totale distruzione di Gaza.
Tale attacco ha però anche paralizzato i piani regionali di Washington, il cui successo legato alla normalizzazione dei rapporti fra Israele e Arabia Saudita, almeno sulla carta, non può più prescindere dalla prospettiva della nascita di uno Stato palestinese, richiesta da Ryadh ma rifiutata da Tel Aviv.
Perdita del monopolio della narrazione
In ultimo, resta da rilevare che la ricostruzione della “cronaca” del 7 ottobre, e del “contesto” storico e regionale che ad essa fa da sfondo, è un’operazione necessaria per due ragioni.
In primo luogo, perché solo cercando di risalire alla verità dei fatti, e di giungere a una narrazione condivisa, si possono porre le basi per risolvere un conflitto.
Secondariamente, perché vi è un’intera porzione del pianeta, il cosiddetto mondo non occidentale, che non aderisce alla narrazione avanzata da Israele e dall’Occidente, e si è fatto promotore di numerose iniziative a livello internazionale – dalle risoluzioni promosse da Russia, Cina ed altri paesi in sede ONU, alla mozione avanzata dal Sudafrica e appoggiata da numerosi esponenti del Sud del mondo alla Corte Internazionale di Giustizia – per fermare il massacro in corso a Gaza.
L’Occidente ha perso il monopolio della narrazione a livello internazionale, e il mondo non occidentale avrà sempre più voce in capitolo nella risoluzione delle controversie e dei conflitti fra Stati. A maggior ragione, è vitale giungere a una verità condivisa, invece di perseverare nell’anacronistico tentativo di imporre narrazioni manipolate e unilaterali.
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Chi lo desidera, può leggere qui una scheda del libro.
Se volete farvi un’ulteriore idea dei suoi contenuti, potete consultare l’indice del volume qui di seguito. E se scegliete di acquistarlo, buona lettura!
FONTE: https://robertoiannuzzi.substack.com/p/il-7-ottobre-tra-verita-e-propaganda
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