Vincolo esterno e sfruttamento
DA LA FIONDA (Di Lorenzo Pallotti)
Il fatto di cronaca del bracciante straniero morto dopo aver perso un braccio (abbandonato, lui e il braccio, come si abbandona un rifiuto che non si sa dove mettere) è di un impatto devastante.
Questo giovane uomo di 31 anni, indiano di origine, lavorava forse a 4 euro l’ora, senza tutele e in nero.
Ovviamente non è il primo che fa questa brutta fine (ricordiamo i casi dei braccianti morti per sfinimento sotto un sole assassino).
Ma perché in Italia oggi ci sono lavoratori così? Quale sistema perverso li ha prodotti?
Non diciamoci, per favore, che è solo colpa del datore di lavoro perfido sfruttatore. Questa spiegazione “buoni-cattivi”, troppo semplificata, lasciamola ai TG nazionali, intrisi di narrazioni emotive e di scarsissimi ragionamenti. Non dice e non spiega tutto.
E infatti, se proviamo ad addentrarci nei dettagli della notizia diffusa in questi giorni, e nei vari commenti che ha suscitato, troviamo sì sdegno, denuncia accorata e interpretazioni abbastanza automatiche, ma mai qualcosa che tenti almeno di sfiorare le cause più profonde collegabili a situazioni lavorative che sembrano riportarci indietro di un secolo.
Un esempio, fra molti, è Roberto Cecere, segretario generale della CISL di Latina, intervistato dal Sole24Ore.
Cecere sottolinea la “disumanità” dell’accaduto – ci mancherebbe non lo facesse! – il fatto cioè che nessuno, a cominciare dai datori di lavoro, avrebbe chiamato subito i soccorsi.
Poi, nel tentativo di fornire una interpretazione più ampia, che non si fermi alle sole responsabilità del datore e dei colleghi nel momento preciso e drammatico dell’accaduto, il segretario si spinge ad affermare che “c’è qualcuno nel mondo del lavoro convinto della necessità dell’assenza di regole, che questi siano figli di nessuno, e invece sono lavoratori indispensabili per tutta la comunità, senza di loro non arriverebbero sulle nostre tavole latte e prodotti agricoli, vanno quindi trattati bene, buone paghe, diritti e tutele”.
Un discorso senza dubbio giusto, chi non lo sottoscriverebbe? Siamo però sicuri che le responsabilità siano tutte ascrivibili alla “disumanità” e magari all’avidità di alcuni cattivi imprenditori?
Certamente i singoli imprenditori hanno le loro spesso gravi responsabilità, possono e devono fare la loro parte, ma resta forte il sospetto che anche altre cause andrebbero indagate. Nel caso specifico, forse, qualcosa andrebbe ricercato nel sistema dei prezzi.
Dice bene infatti il segretario Cecere quando sottolinea che senza il lavoro di questi stranieri i prodotti non arriverebbero sulle nostre tavole.
Ma si dimentica di aggiungere un altro dato fondamentale, che spiegherebbe molto di più: i prodotti agricoli non arriverebbero sulle nostre tavole “a un certo prezzo”, ossia a un prezzo sufficientemente basso da soddisfare le esigenze dei consumatori (che a loro volta sono nel 90% dei casi lavoratori come i braccianti agricoli, quindi con basso potere d’acquisto, fermo in Italia agli anni ‘90).
L’ABC dell’economia, dunque, potrebbe tornarci utile: un’impresa, anche se agricola, se non fa profitto semplicemente chiude. E allora addio ai prodotti sulle nostre tavole comunque, braccianti o non braccianti, indiani o italiani che siano i lavoratori nei campi. E se per mantenere un livello adeguato di profitti l’impresa non può contare altro che sul taglio dei costi di produzione, il più importante dei quali, molto spesso, è il costo del lavoro, sarà lecito immaginarsi che continueremo ad assistere a casi terrificanti come questo, di lavoratori stranieri più facilmente sfruttabili perché disposti ad accettare paghe misere e condizioni che un “autoctono” non accetterebbe mai, dunque continuamente esposti al rischio di infortuni fatali.
Se l’impresa, cioè, non può contare sulla propria capacità di aumentare i prezzi finali, perché sa che i suoi prodotti andrebbero fuori mercato; se non può contare su incentivi fiscali forti perché lo Stato non se li può permettere, a causa dei vincoli di bilancio e di spesa imposti dalla gabbia della Unione Europea e dell’euro; se non può contare nemmeno più su una moneta svalutata che renda più competitive le sue merci all’estero, ebbene, questa impresa non ha molte altre strade: dovrà per forza tagliare il costo del lavoro, risparmiando sulla sicurezza e impiegando manodopera “importata” che accetta paghe più basse e minori tutele.
Ecco, mi sarebbe piaciuto che un Cecere, ma come lui tanti altri diffusori e commentatori di notizie, avesse perlomeno fatto un cenno a queste cause più profonde, “strutturali”, direbbero gli economisti. E invece sui giornali e nei servizi delle radio e TV non ho trovato nulla.
Per quanto tempo ancora potremo permetterci questa assenza di indagine, di ragionamento e di critica nel dibattito pubblico?
FONTE: https://www.lafionda.org/2024/06/24/vincolo-esterno-e-sfruttamento/
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