Trump-Harris: l’Occidente spezzato
DA LA FIONDA (Di Umberto Vincenti)
Potremmo anche pensare che abbia ragione Joe Biden nel qualificare «spazzatura» gli elettori di Trump. O essere d’accordo con Harris che ha definito Trump un «meschino tiranno». Sono giudizi che avranno anche le loro ragioni. Ma Trump, piaccia o no, rappresenta grosso modo la metà, o anche più, dell’elettorato americano, almeno di quello che è andato a votare: tanta gente comune che condivide con lui una certa visione degli USA e del mondo, che è contraria all’immigrazione o, comunque, favorevole ad imporle limiti significativi, che non ama il mondo trans, pensa sia una fanfaluca il cambiamento climatico, un’idiozia anti-economica ogni politica green, che esige la protezione degli USA dalla concorrenza cinese, il taglio delle tasse, un maggior rigore nella lotta alla criminalità e nella punizione dei delinquenti, che ritiene il politicamente corretto e l’ideologia woke patenti violazioni del I emendamento ecc.
Aggiungerei un’altra considerazione: la qualità dei candidati presidenti non è buona o non è quella che esigerebbe la guida, da una posizione istituzionale di grande potere, di una super-potenza globale quali sono tuttora gli USA. Questo difetto qualitativo è evidentissimo in Trump. Ma è presente anche in Harris di cui è altrettanto evidente, anche a livello biografico, una smodata ambitio che fa presumere la disponibilità ad anteporre il carrierismo ai motivi istituzionali: tanto più che, vincendo, Harris avrebbe desiderato più di tutto essere rieletta tra quattro anni.
Oltre a un Presidente, le elezioni del 5 novembre ci hanno consegnato questi due dati non indifferenti: la doppia identità, diciamo, culturale degli USA e l’incapacità di quel sistema – repubblicano e democratico – di selezionare candidati all’altezza delle responsabilità da assumere prevalendo nella competizione elettorale.
Facile riscontrare come entrambi questi dati non siano prerogativa esclusiva degli USA, ma presenti invece in parecchi paesi occidentali, a cominciare dall’Europa. Potremmo, anzi, prendere l’Italia come emblematica di questa situazione e domandarci che cosa da essa ne discenda o ne possa discendere.
Una contrapposizione così netta rende impossibile una politica di compromesso, che pur sembrerebbe essere la soluzione migliore perché smusserebbe gli estremismi da una parte e dall’altra, finendo con l’accomunare, più o meno intensamente, il maggior numero di cittadini. Ma se il compromesso non è realistico, né reale, vi sono due alternative e non sembrano migliori. La prima è che comunque non si riesca veramente a governare essendo l’opposizione troppo forte, con la conseguenza che l’azione del governo risulterà inefficace o debole o comunque troppo distante dai programmi presentati per le elezioni. La seconda alternativa è deteriore perché tale da squilibrare il sistema, in quanto la politica della parte vincitrice – e assolutamente non condivisa dall’altra parte la cui forza elettorale sia pari o quasi – riesce a realizzarsi riuscendo a trovare il sostegno di poteri per definizione non politici e neutri: come la magistratura e la pubblica amministrazione; o le università e l’informazione.
Alla base di queste contrapposizioni così spinte vi sono comunità politiche diverse e antitetiche: non avere un’identità sufficientemente condivisa alla lunga rende la comunità generale progressivamente più debole e destinata per questo a subire l’unità di azione delle comunità esterne coese e integrate. I rischi sono gravi, per l’Occidente nel suo complesso.
L’assenza di qualità, anche etiche, nei dirigenti politici o negli aspiranti dirigenti politici aumenta la debolezza ora descritta e tradisce il fondamento della democrazia, la cui ragione ultima è di disporre di governanti selezionati non per nascita o censo, ma dai cittadini a cui si dovrebbe offrire la concreta possibilità di scelta di candidati idonei. Se questa scelta sia, nei fatti, impedita, il vulnus arrecato alle nostre società democratiche è notevole. Su ciò non si riflette abbastanza e di conseguenza non si cerca nemmeno di trovarvi rimedio (possibile), del quale, però, abbiamo urgente bisogno.
Ma negli USA ha vinto Donald Trump: con largo margine e anche nel voto popolare. Il Paese, e l’Occidente con lui, restano spezzati; e il problema irrisolto. Occorrerebbero altri politici e altri think tankers negli USA come in Occidente in genere (e, particolarmente, in Italia). Può essere che, una volta o l’altra, si affaccino alla ribalta prima che sia troppo tardi.
Intanto sottolineiamo un’antichissima regola del modello repubblicano, questa: Trump tra quattro anni se ne andrà definitivamente. Certo l’età avanzata del nuovo Presidente avrebbe comunque condotto alla medesima conclusione. Ma la regola si sarebbe imposta anche se egli avesse avuto cinquant’anni.
Quella regola è la massima garanzia possibile per evitare il formarsi di cerchi magici consolidati e non disposti a farsi da parte. Il Movimento 5 Stelle, diciamo prima maniera, lo aveva capito, anche se ne aveva offerto una versione eccessivamente rigorosa, estendendo il divieto del terzo mandato a qualunque deputato o senatore. Esso è, invece, stato elaborato, e negli USA applicato dal tempo di George Washington, relativamente alle cariche di vertice: negli USA il Presidente o i Governatori degli Stati, in Italia pensiamo al Presidente della Repubblica o al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Da noi nessuno sostiene la necessità di introdurla. Anzi, Zaia e De Luca si battono per eliminarla a livello regionale, l’unico dove abbia campo: iniziativa deprecabile perché questi presidenti regionali, in sella da decenni, dimostrano non solo protervia, ma anche ignoranza (o disprezzo) verso un fondamentale del modello repubblicano-democratico. Se i nostri Costituenti hanno ritenuto di non inserire il divieto del terzo mandato nel testo della Costituzione del ’48, sarebbe ora di farlo: credo che costituirebbe la riforma più urgente e non intaccherebbe la struttura politico-costituzionale. Non pensarci né da destra né da sinistra è frutto di un calcolo trasversale che la dice lunga.
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