Sei poesie sui padri e sulla patria
di ROCCO SCOTELLARO
OLIMPIADI
I nostri padri furono fanciulli
lesti e furiosi e giganti nei giuochi.
Dettero mano alle roccie, lassù nell’aria
la terra com’era fredda e lontana.
Li misero caterve sulle chiatte,
loro, di sdegno spaccarono l’oceano.
Affilaste le pietre nelle terre.
Padri, desti al rantolo degli animali,
provando i denti alla scorza degli alberi.
I nostri padri furono fanciulli
che vennero a stare ai lidi, sui monti
e si misero a cantare.
In faccia al mar Jonio, nei giorni più lunghi
a Olimpia chiamavano il loro Dio,
erano dei la terra, il cielo il mare
e Omero li sentì, quel povero
che a Cuma chiese un truogolo di crusca.
O Gesù,
ti piacque il gioco del pane e del vino,
che piace anche a noi.
A Cuma il vecchio cieco
A Napoli, a New York un giovane cantire
bussa alle porte con i denti in bocca.
Girotondo fanciulli e padri,
i mirabili giuochi nei tempi
sulle nostre zolle! Cantammo alle torri,
alle sorgive, nei punti estremi
le nostre voci serene.
O miei padri morti e tranquilli
ancora il mondo crolla
nell’occhio dei fanciulli.
Resta a cantare chi è sempre povero,
e grida a un’ora di notte il nonno,
lui, l’atleta delle feste al tramonto
cadde dall’albero della cuccagna.
BIGLIETTO PER TORINO
Torino larga di cuore
sei una fanciulla, mi prendi la mano.
Io mi ero messo in cammino:
mi hanno mandato lontano.
qui, gente che ti sogna come me
nel vento delle Fiat.
Mi hanno coccolato sulle ginocchia
i duri miei padri saraceni,
ridacchiavano alle mie stornellate;
mi facevano saltare come un pupo
le belle donne nere.
Un giorno li vidi piangere,
c’erano dei tuoni scuri nell’aria
e non sapevano piangere
con quelle facce dure.
E io sulla ginocchia cantai un’altra canzone.
Allora mi tennero a terra, dissero:
– Va là, sai camminare da solo.
Con quanta lena me ne sono venuto
a toccare l’azzurro delle tute:
voglio dirlo a quegli altri, ai saraceni.
LA MIA BELLA PATRIA
Io sono un filo d’erba
un filo d’erba che trema.
E la mia Patria è dove l’erba trema.
Un alito può trapiantare
il mio seme lontano.
TERRONIA
Noi siamo tutti un’anima d’un Dio
siamo gli innocenti nocivi
e i penitenti ignavi.
E i nostri avi furono latini
che lasciarono i lupi far lamenti
padroni dei boschi recenti.
FRESCO ERA IL MIO LIMBO
Come fresco era il mio limbo
amici forestieri partiti per sempre.
Voi quando ve ne andate
partite davvero per sempre
miei amici forestieri
che venite a godere
i palmi di terra vergine
sotto i boschi incendiati.
Venite a scoprire i sacri altari
ove è sommersa l’anima d’un arabo
del greco che si mise
la prima volta a cantare.
Vi ho fatto bere sotto le viti
vi ho fatto sapere dallo spiritato
i suoi discorsi col cimitero.
Avete tremato ai laceri gridi
del suino ucciso col rito antico.
E voi avete rovistato
gli angoli della casa come ladri.
LUCANIA
M’accompagna lo zirlìo dei grilli
e il suono del campano al collo
d’un’inquieta capretta.
Il vento mi fascia
di sottilissimi nastri d’argento
e là; nell’ombra delle nubi sperduto
giace in frantumi un paesetto lucano.
[da Tutte le poesie, a cura di Franco Vitelli e con introduzione di Maurizio Cucchi, Milano, Mondadori, 2004]
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