La crisi dell’euro è un’occasione unica e irripetibile
Stefano D'Andrea ARS
Per coloro che aspirano a ricostituire la Patria costituzionale la crisi dell’euro è un’occasione unica e irripetbile che non deve essere sprecata.
Grazie all’introduzione dell’euro – che è stata un errore tecnico, non soltanto politico – e agli effetti nefasti che ha prodotto, i cittadini italiani hanno cominciato a mettere in discussione il mercato unico e finanche la concorrenza, che è il “valore” (in realtà disvalore) sommo sul quale l’Unione europea è fondata. La critica della concorrenza internazionale reca con sé il dubbio sull”eccessiva apertura del sistema economico nazionale italiano.
Non basta abbandonare il mercato unico e tornare al mercato comune, senza: a) limitare il numero degli stati partecipanti; b) sottrarre alla concorrenza, anche intra-europea, la finanza (banche, assicurazioni e quant’altro) e instaurare un sistema finanziario nazionale; c) sottrarre alla concorrenza, anche intra-europea, un certo numero di settori strategici che lo Stato italiano intenda promuovere; d) arrestare e ripensare l’assurdo processo di uniformazione normativa, che non soltanto ha spinto l’Italia sistematicamente verso norme, principi e linguaggio estranei alla propria tradizione ma ha anche destrutturato l’ordinamento giuridico facendo ad esso perdere ogni organicità; e) ripudiare la libera circolazione dei capitali, che impone concorrenza fiscale, impedisce una imposizione veramente progressiva, vincola a tassare poco le rendite (altrimenti il capitale fugge), fa ricadere “fatalmente” l’imposizione fiscale sul lavoro, che è il fattore meno mobile (rispetto a impresa e capitale), e infine consente e promuove le delocalizzazioni e lo sradicamento dei cittadini italiani; f) vincolare gli stati partecipanti ad acquistare tecnologia militare esclusivamente da altri stati partecipanti e promuovere un’alleanza militare tra questi stati con eserciti separati (appartenenti ai singoli Stati) ma coordinati (senza esercito europeo, insomma).
E’ necessario mandare al macero il mercato unico e re-instaurare un mercato comune che abbia almeno le caratteristiche segnalate. Insomma si tratta di tornare indietro rispetto alla CEE. Non direi invece che si debba tornare alla CEE come essa era al tempo in cui i Trattati europei non erano stati del tutto applicati (la libera circolazione dei capitali, in particolare, fu a lungo ritardata anche in ragione delle turbolenze monetarie degli anni settanta): che senso avrebbe mantenere principi che non si desiderano vigenti e non si vogliono applicare nel futuro? Quindi un eventuale futuro trattato europeo deve prevedere meno partecipanti, e comportare meno vincoli per gli Stati rispetto a quanti ne prevedeva il Trattato di Roma nonché due ulteriori vincoli sotto il profilo della promozione di un’alleanza militare e degli acquisti di tecnologia militare.
Tutte le altre opzioni politiche, nella situazione di possibile implosione dell’Unione europea che si va delineando, sono mezzi per sorreggere il grande capitale internazionale, finanziario e non solo – il quale è scivolato sull’euro -, nonché l’europa di matrice atlantica e la NATO. Lo scricchiolio dell’Unione europea è anche potenzialmente scricchiolio della NATO.
Questa è l’unica strada per la liberazione. Per tornare cittadini lavoratori con redditi dignitosi e non essere consumatori indebitati cronici, schiavi di un sistema finanziario che desidererebbe tornare a foraggiarci, rimediando all’”errore tecnico” compiuto. Per non dover lavorare molto più dei tedeschi e vedersi accusare, anche da connazionali, di essere lavativi. Per respingere al mittente i suggerimenti della tavola rotonda degli industriali europei (ERT) la quale ha deliberatamente perseguito, avvalendosi dell’Unione europea, la distruzione dei nostri sistemi scolastico e universitario. Per raggiungere nel medio tempo l’indipendenza nella politica degli acquisti delle fonti energetiche, nella politica internazionale in generale e di difesa in particolare.
Si tratta di una prospettiva che non può vincere nel tempo breve?
E’ un’obiezione inconsistente e perfino penosa. Quando mai una lotta o una battaglia importanti hanno avuto la possibilità di essere vinte in poco tempo? Oggi la prospettiva immediata non è la vittoria. La vittoria è la prospettva futura. Oggi la prospettiva immediata è il Risveglio, dopo venticinque anni di instupidmento, di credito facile e promozione dell’indebitamento delle famiglie, di televisione commerciale, di sedativi, di promozione dell’individualismo, del narcisismo, di precarizzazione del lavoro e destabilizzazione delle famiglie, di valorizzazione delle rendite delle vincite e dei grandi profitti a scapito del lavoro, di depressione sociale e culturale.
Oggi la prospettiva immediata è approfittare della crisi per dar vita a un movimento sovranista, che in pochi anni raggiunga il 10% dei consensi e si affermi come stabile forza politica, capace di tirar fuori dal popolo italiano le migliori giovani energie che quest’ultimo è in grado di generare.
Il resto verrà: intanto perché si avrà la possibilità di parlare stabilmente al popolo, con un linguaggio nuovo e con parole d’ordine nuove, che lo sveglieranno dal torpore nel quale è stato lasciato cadere per troppo tempo da tutta la sciagurata classe politica della seconda repubblica – in realtà del secondo ventennio –, già inesorabilmente condannata dal tribunale della storia; in secondo luogo, perché il popolo, come sa chiunque parli piacevolmente e frequentemente con le persone comuni, è in cerca di un’offerta politica che attualmente manca. Il popolo non ha ancora chiaro cosa stia cercando ma sta scrutando e ha cominciato a riflettere. Il popolo ha capito che c’è qualcosa che non va in ciò che a lungo ha creduto, e quindi nelle parole d’ordine ingannatrici, ormai logore. Spetterà al movimento sovranista indicare quali sono le catene, quali sono stati gli errori e quale deve essere la prospettiva.
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