La lunga guerra civile siriana
Gli stranieri che combattono in Siria non sono mercenari – almeno la maggior parte di essi non lo è – , ma gente che è andata a combattere sapendo che al 90% morirà: sono membri dell'internazionale islamista, la quale intende ricostituire il Califfato e non ha alcun particolare interesse ad uno stato siriano unito; ben potrebbero esservi due "stati" disposti ad essere emirati del futuro califfato. Hanno più armi, cibo e denaro per organizzarsi rispetto agli altri ribelli ma non combattono per denaro, né per la Siria. Dal loro punto di vista combattono per Dio, per l'Emirato e per il Califfato.
In caso di vittoria dei ribelli, scoppierebbe comunque una guerra "civile" tra Jabhat al nusra, Ahrar al sahm, la brigata Al-tawheed e altre piccole formazioni internazionaliste da un lato, e il resto dei ribelli dall'altro: sarebbe guerra civile, perché più passa il tempo e più i siriani che vogliono combattere Assad stanno entrando ed entreranno nelle file degli internazionalisti, originariamente in gran parte stranieri. In guerra la gente segue chi è coraggioso, sa combattere, ha le armi e mantiene l'ordine. L'ordine, anche se ottenuto sotto la minaccia di violenza brutale, e anche se costituito da vincoli e limiti che in altri tempi non sarebbero tollerati, è il bene sommo del quale le persone comuni avvertono il bisogno in tempo di guerra. Altrimenti spadroneggiano banditi, rapitori e rapinatori. Immaginate le persone peggiori, più violente e criminali del vostro quartiere assurgere al potere? Ecco questo è il disordine. Anche voi accettereste enormi limitazioni, pur di evitare di cadere in balia di criminali che possano attaccarvi, insultarvi, depredarvi e stuprarvi in ogni momento.
Se invece Assad resiste anche soltanto per altri sei mesi, allora potrebbe riuscire ad ottenere il cessate il fuoco o addirittura un'alleanza con una parte almeno dei ribelli non internazionalisti. Un po' ciò che accadde in Iraq, quando gran parte della resistenza bahatista (salvo il gruppo di Al Duri) costituì i "consigli del risveglio", sostenne candidati alle provinciali e di fatto si alleo', almeno come patto di non belligeranza, con gli stati uniti per combattere gli internazionalisti. Questi ultimi, infatti, guerreggiavano sotto la bandiera del Jihad. Ad essi interessava soltanto fare di tutto o parte del territorio irakeno un emirato aperto al futuro (agognato) Califfato e, soprattutto, stavano divenendo sempre più numerosi e più forti, tanto da rovinare i piani a chi da tempo aveva organizzato la resistenza bahatista in vista dell'attacco statunitense.
Ieri Ayman al Zawahiri ha chiarito la posizione degli internazionalisti, incitandoli: "Unitevi e impegnatevi a non deporre le armi e a non lasciare le vostre trincee fino all'insediamento in oriente di uno stato islamico che apra alla restaurazione del califfato". Al Zawahiri infatti ha paventato un esito (per loro) negativo della eventuale caduta di Assad: "Gli americani vogliono abbattere il regime per insediare il loro governo".
Come vado ripetendo da tempo, le parti in lotta sono tre, non due.
E ci sono poi i Kurdi che perseguono i loro interessi: sono completamente avversi agli (e avversati dagli) internazionalisti e ogni volta che capita si scontrano con questi ultimi; si alleano qui con Assad (nelle zone dove sono maggioranza, diciamo nei loro territori) e lì con la fratellanza (dove sono minoranza), salvo subire attacchi sia da Assad che dalla fratellanza in città dove, probabilmente per ragioni tattiche, Assad e la fratellanza non si combattono (sono i Kurdi stessi che denunciano questi attacchi e il patto di non belligeranza cittadina tra Assad e la Fratellanza)
Dunque, le parti in lotta sono addirittura quattro, ciascuna con alleati stranieri
In questa situazione, una lunga guerra civile non è uno spettro: è una certezza
Stefano D'Andrea
08.06.2013
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