Popoli e Democrazia-2
I fatti relativi ad alcune vicende lasciano ben pochi dubbi su come la democrazia sappia manipolare il consenso popolare. Il riconteggio dei voti della Florida (rivelatisi decisivi per l'elezione di GW Bush) non fu concesso per motivi “burocratici”. Nè le cose sono andate meglio qui da noi, stando a quanto denunciò a suo tempo Deaglio[1]. Invece nel caso dei referendum irlandesi le votazioni sono andate avanti finchè non sono stati acquisiti i risultati voluti dalle lobbies di Bruxelles. Dopo ben due votazioni nelle quali gli irlandesi risposero un secco no ai trattati europei (2001 e 2008) arrivarono le vittorie del si del 2009 e 2012.
Nell'occasione il vicepremier Eamon Gilmore ha detto che “chiedere ai cittadini di votare sì non è stato un semplice esercizio di democrazia, ma un’occasione per sentire cosa hanno da dire”. [2]
Il che conferma come in democrazia le votazioni non siano direttamente collegate a quanto i popoli vogliono dire.
Questo pone dei problemi: se un popolo vuole dire qualcosa o vuole un cambiamento, come può farlo dato che il voto democratico non garantisce tale diritto? E, domanda ancora più impertinente, ciò che i popoli hanno da dire è veramente legato ai propri interessi oppure tale percezione viene manipolata da operazioni di propaganda che spostano i fulcri percettivi?
Insomma qual'è il ruolo dei cittadini (o popoli, se preferite) nelle attuali democrazie? Esprimere opinioni che generano cambiamenti sembra una pretesa un po' esagerata, almeno da come vanno le cose nel vecchio (e decadente) continente. Interagire con i vertici (politici, amministrativi, economici…) diventa quindi un'operazione di facciata che nasconde l'impotenza istituzionalizzata dei cittadini di fronte allo strapotere delle elites.
Certo, ci lasciano votare, come negarlo? Ma quel voto serve realmente? Genera sogni e conseguenti cambiamenti, lascia intravvedere “il migliore dei mondi possibili” oppure è foriero di disillusione, sconforto e alienazione? Dai dati delle ultime italiche elezioni sembra proprio che i cittadini abbiano capito l'antifona, e si siano lasciati trascinare dalla repulsione per quella croce tracciata all'interno della cabina elettorale. Se non serve a nulla, perchè affannarsi a scegliere?
Dai dati delle ultime politiche si comprende come la principale forza politica in Italia sia il partito degli astensionisti. L'informazione mainstream ci informa come il Movimento 5 Stelle abbia avuto il maggior numero di preferenze con i suoi 8.689.458 voti e si attesti al 25,56%, mentre insiste nell'affermare che 10.519.474 non votanti faccia il 24,89% [3]. Ce ne fosse ancora bisogno, quale migliore prova di bias percettivo? Perchè dieci milioni e mezzo di cittadini che hanno dato un segno di insofferenza verso l'attuale classe politica sono considerati percentualmente meno rilevanti degli otto milioni e mezzo di cittadini che hanno votato Grillo (o qualsiasi altro partito, la logica non cambia)? Quale insegnamento ne può trarre un cittadino, se non che il proprio voto (quindi la propria voce) assume valore dipendentemente dal contesto in cui è inserito e con buona pace del “potere al popolo” (Demos e Kratos) che le democrazie tanto decantano?
Questo stato di cose non può che portare a deresponsabilizzare i popoli. Sapere che la propria opinione viene tenuta in considerazione in base a coefficienti variabili tendenti a zero è definitivamente peggio che essere coscienti che le proprie idee non possono essere espresse, perchè in quest'ultimo caso il sogno, la speranza e la volontà di cambiamento non vengono scalfiti. Non permettere di esprimersi mantiene inalterato il proprio senso del futuro mentre sapere di essere costantemente raggirato (qualsiasi cosa si faccia) genera una costante e pericolosa sensazione di impotenza.
Ovviamente tale senso di impotenza non è relativo solo all'aspetto politico, ma investe tutti gli aspetti della vita di un cittadino: dal lavoro che non si sa quanto durerà, al futuro dei nostri figli che, nonostante le ottime premesse della nostra Costituzione, non offre molte speranze.
L'art.1 recita: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
Wishful thinking si direbbe in Inglese. Ovvero belle speranze, messi come siamo. Il VERO 25% del popolo elettore degradato a cifra ininfluente. “La sovranità appartiene alle statistiche, così come sono funzionali alle elites” sarebbe più corretto scrivere. E sul lavoro meglio stendere un velo pietoso, con tutte le “straordinarie offerte” di delocalizzare, FIAT in primis.
Insomma si rende il voto ininfluente a causa di varie manipolazioni (l'ultima trovata è che il Movimento 5 Stelle non avendo “personalità giuridica” non può presentarsi alle elezioni [4]), e contemporaneamente si pretende che l’elettorato sia responsabilizzato oltre ogni ragionevole limite. “Noi siamo i mandanti, spettatori ignavi dell’omicidio della legalità in Italia” tuona Claudio Bisio dal palco di Sanremo [5] offrendoci altro splendido esempio di comicità involontaria, e giungendo a denunciare “le nostra responsabilità di aver ridotto il Parlamento in un letamaio.”
Quale migliore prova del fatto che noi PIIGS (maiiali!) ci meritiamo di razzolare nel letamaio dove ci troviamo a causa dell'Europa dei trattati?
La politica è l’arte cortese di ottenere voti dai poveri e finanziamenti dai ricchi, promettendo di difendere gli uni dagli altri.
Oscar Ameringer
[3]http://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_politiche_italiane_del_2013
[5]http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/17/elezioni-2013-noi-siamo-mandanti/503034/
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