Sotto il referendum niente
da LA FIONDA (Emanuele Dell’Atti)

È paradossale come un partito che negli anni è stato protagonista – con governi politici o tecnopolitici – della precarizzazione del lavoro, con la complicità silente di un sindacato che si sveglia dal letargo solo quando la collocazione politica contingente lo permette, abbia sostenuto un referendum a tutela dei lavoratori.
Ve lo immaginate un PD che dal governo si batte per tutelare il mondo del lavoro? O una CGIL che lotta per i diritti dei lavoratori durante un governo Draghi?
Ora c’è la destra al governo, quindi si possono indossare gli abiti di chi difende il lavoro, si può persino giocare a fare gli indignati. È il gioco delle parti. Il gioco dell’alternanza senza alternativa.
Ecco che il paradosso diventa spiegabile. Lo scopo del referendum, per la sinistra, era duplicemente strumentale: destabilizzare la maggioranza di governo e insufflare nella parte politico-sindacale proponente un po’ di consenso e rinnovato entusiasmo. Nessun interesse a riaprire il conflitto capitale/lavoro, nessuno spirito socialdemocratico.
Il referendum, purtroppo, è fallito. E la sinistra ne analizza il fallimento addebitando la colpa a chi – con tatticismo speculare – non si è recato alle urne per impedire che si raggiungesse il quorum; o ancora peggio, stigmatizzando l’analfabetismo politico degli stessi interessati, i lavoratori, che scelgono perlopiù di disinteressarsi dello strumento democratico non andando a votare. Alcuni, tra gli intellettuali più illuminati, trovano addirittura parziale soddisfazione nell’augurare agli incolti e ingrati lavoratori di trovarsi nella condizione di essere licenziati. È il loro godimento sadico.
Nessuno che provi a ragionare sulle motivazioni profonde e di lungo periodo della disaffezione delle masse al voto, a qualsiasi livello: si guarda al sintomo e non alla causa. Nessuno, tra gli illuminati di sinistra, che rintracci il disagio di tantissime persone che “sentono” – un sentire vissuto, incarnato –m di non essere rappresentate.
D’altra parte, con quale logica si può immaginare che i lavoratori possano fidarsi di quella stessa parte politica che negli anni si è palesata come solerte promotrice della precarizzazione del lavoro? Perché fidarsi e affidarsi a chi negli anni ha ostacolato la stabilità del lavoro con leggi e “agende” che esaltano la flessibilità come criterio imprescindibile e indiscutibile di crescita e competitività?
Il referendum è fallito e ora nessuno parla più di art. 18, di lavoro precario, di sicurezza sul lavoro. E nessuno tornerà a farlo. Poi capiterà che – nell’alternanza senza alternativa – il PD tornerà al governo del Paese e questa effimera campagna referendaria verrà rimossa come un corpo estraneo: il mercato del lavoro non si può mica imbrigliare con i lacci della politica.
E allora il PD si appiattirà di nuovo sui diritti civili, lasciando la sovranità politica agli spiriti animali del mercato e riproponendosi come forza della conservazione. La famiglia Fratoianni abbaierà un po’, ma presto si accuccerà sotto gli scranni parlamentari per scongiurare il “pericolo nero” e per difendere i posti di lavoro, i loro. L’avvocato del popolo minaccerà defezioni ma poi dismetterà la toga per il bene della nazione. Gli intellettuali taceranno. Alcuni, i più illuminati, non se ne accorgeranno nemmeno, occupati in qualche happening gastronomico-culturale sostenibile. Il sindacato si agiterà, ma alla fine sarà riportato alla responsabilità. Per il bene dei lavoratori, naturalmente.
FONTE: https://www.lafionda.org/2025/07/14/sotto-il-referendum-niente/





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