Toni Negri e l’Europa, un’acrobatica inversione a U
Due scritti del celebre teorico dell’Impero dedicati all’Europa. Il primo, compreso nel volume collettivo Il futuro del Novecento (ed. manifestolibri), risale al 1999; l’altro è un intervento pubblicato sul sito di Uninomade all’indomani dell’elezione di Francois Hollande (maggio 2012). Il confronto rende bene l’idea dello stato confusionale in cui versa la vecchia sinistra tardo-novecentesca ma, soprattutto, della sua incapacità di comprendere la realtà e di incidere anche minimamente sugli eventi.
Europa, una burla per i sudditi dell’Impero (1999)
L’idea di Europa è un casino (voglio dire un “brothel”) da quando rinasce, come idea culturale, nei Lumi; infatti può esser portata sulle baionette di Bonaparte come su quelle degli eserciti della Santa Alleanza. Se per Voltaire era una “società degli spiriti”, e per Napoleone Bonaparte “la patria comune”, l’Europa è depuis long temps ma patrie anche per Metternich. La sua concezione dell’Europa, preziosa quanto quella espressa da Novalis nel troppo celebrato Christentum oder Europa [Cristianità o Europa, ndr], consiste in un’appassionata rivendicazione del Medioevo contro l’ateismo dei Lumi e dell’equilibrio delle vecchie monarchie contro ogni insorgenza nazional-liberale. Una visione d’Europa abbastanza centrista: in fondo non si può dimenticare che Metternich si confrontava a De Maistre ed a buona parte dei romantici inglesi, francesi e tedeschi che pensavano potersi mettere l’Europa al riparo da nuove avventure rivoluzionarie solo in un modo: farne un’unica monarchia sotto lo scettro, e comunque con la benedizione, del Papa. Di contro, ad un altro livello, si ripetono il confronto e lo scontro fra autori egualmente antinapoleonici ed antireazionari: Benjamin Constant si oppone a Henri de Saint-Simon, e la riforma liberale a quella scientifica e sociale, ma entrambi auspicano che questa trasformazione sia prodotta dai popoli d’Europa “riuniti in un sol corpo politico”.
Potremmo continuare ad elencare contrapposizioni ideologiche attorno alla parola “Europa” in un crescendo inarrestabile fra XIX e XX secolo: a che scopo? La lunga serie di gentili utopie che, nella seconda metà dell’Ottocento, vengono snocciolando Victor Hugo e i seguaci di Proudhon, e poi nei congressi per l’unità d’Europa, fra Zurigo, Heidelberg e Edinburgo, i vari Constantin Franz, Bluntschli e Lorimer… bene, a tutto questo si confronta ormai una ben solida e sordida storia – di odii, massacri, forsennata concorrenza imperialista, guerre fratricide, condite già di gas e distruzione di popolazioni. Non aveva cattivo gioco, in queste condizioni, la critica nazionalista. (…)
Dopo l’Ottantanove, dopo la caduta del Muro di Berlino, tutto sembrò, per un momento, esser rimesso in discussione. Tolta alla minaccia della Repubblica dei Soviet e del socialismo asiatico, l’Europa si ricompose. Una serie di accordi ne permisero la prima configurazione politica. Inutile ricordare questi accordi: hanno tutti nomi barbari da far paura… e son di ieri – comunque da dimenticare. Incubi: Schengen, Reagan, Maastricht, Bush, l’Eltsin ubriaco sul tank e la mammola Gorbaciov nelle braccia della sua Raissa, Mitterrand e Kohl mano nella mano davanti al sacrario di Verdun. Oh, troppo oscenità abbiamo visto! (…)
E’ nata una generazione di veri integralisti europei, di “Talebani d’Europa”, che proclama un radicalismo europeo dei diritti dell’uomo, organizza guerre e tribunali, si sente tutta rediviva della Shoa e porta senza cicatrici quel ricordo, veri nuovi Templari dell’idea di Europa. Peccato che il tempio sia stato da tempo definitivamente profanato. La globalizzazione, ovvero il dominio del mercato globale, minaccia definitivamente l’Europa, perché trasferisce il potere sovrano sull’unica potenza statale capace di esercitarlo su queste dimensioni: gli Stati Uniti d’America. L’idea ed il lavoro per gli Stati uniti d’Europa hanno quindi oggi solo il viso della “suborganizzazione atlantica”. Ciò è indiscutibile, non riconoscerlo è da ubriachi. E’ quello che normalmente sembrano i direttori di “Repubblica” e del “Corriere della Sera” e, purtroppo, sempre più spesso, anche i direttori dei più autorevoli organi di informazione europea. Umili servitori dell’Impero sanno che il loro primo dovere è non nominarlo.
Dopo le elezioni francesi: riprendiamo il dibattito sull’Europa (2012)
Se da un lato moltitudini importanti sembrano desiderare l’Unione e ormai considerare l’Europa il loro paese, dall’altro lato il rifiuto dell’Europa è propagato e armato, in forme populiste e demagogiche, da forze stolte e violente. La mia opinione è che il nodo deve essere reciso e che ci si debba ormai schierare, se ancora non è avvenuto, decisamente e senza riserve, sul terreno europeo – e che, ciò assunto, ormai non si debba più porre il problema se l’Europa si farà o no, quanto chiedersi: quale Europa? È infatti solo alla luce di un programma economico, politico e di una realistica proposta sociale e culturale che si potrà rispondere alla questione: Unione europea, ne vale la pena? D’altra parte, è solo sulla dimensione europea che l’austerità potrà essere superata, una soluzione della crisi potrà darsi senza il massacro dei cittadini e che, allora, forse, alla linea di Bismarck che Berlino sta imponendo (per dirlo con una metafora storica che allude al processo dell’unificazione tedesca) si potrà opporre una linea democratica, un 1848 delle “forze del comune”. Cogliamo dunque l’occasione!
È dentro questo quadro che possiamo riaprire una speranza di lotta contro la crisi tenendo presente che solo nella dimensione dell’Unione europea essa si può realisticamente affrontare. Insistiamo su quest’ultimo punto. La lotta contro la crisi non può darsi che sul livello globale – con forze, dunque, adeguate e collocate su questo livello. Se non c’è Unione europea, non si può dare lotta contro la crisi, perché la crisi è stata costruita dal capitalismo finanziario globale per demolire l’Unione. Paradossalmente ci si presenta un’occasione unica di riaprire una lotta che tenga assieme il progetto di unione europea e una prospettiva di ricostruzione di politiche del comune – nell’istruzione, nell’abitazione, nella sanità e a favore delle forme di vita civile, insomma di un Welfare biopolitico.
Cogliamo dunque quest’occasione! Battiamoci per il reddito di cittadinanza, mostrando che esso non è contradittorio con la lotta contro la disoccupazione che Hollande promette, né contro l’aumento del potere d’acquisto dei salari – battiamoci per il pensionamento a sessant’anni – per la patrimoniale al settantacinque percento e per una riforma radicale degli istituti bancari, ecc., ecc. – integriamo, insomma, contro il modello neoliberista, quello che è contenuto nel programma di Hollande. Chiediamo infine la rinegoziazione del trattato europeo seguito all’accordo del 9 dicembre 2011 e affermiamo l’appoggio ad un patto di responsabilità, di governance e di crescita per uscire dalla crisi, ecc., sollecitando un processo di investimenti anche se per produrlo sono necessari movimenti inflazionistici per qualche anno!
L’inflazione diffonde le lotte moltitudinarie, attacca la rendita e mette fuori gioco le misure e l’ordine capitalistico della crisi: l’inflazione è una buona arma per i proletari che vogliono decostruire il potere dei padroni e ricostruire la democrazia. Molti di noi hanno spesso vissuto con grande pena ed imbarazzo le loro convinzioni europeiste. La loro consapevolezza che solo su base continentale europea era possibile una politica di grandi rivolgimenti sociali e la costruzione di istituzioni del comune, per due volte veniva contrastata ed indebolita: dalla forza del liberalismo angloamericano (al quale aderivano le aristocrazie europee) e dal diffuso sospetto che settori vivaci e forti della sinistra europea nutrivano verso la storia e le dinamiche neoliberali della costruzione europea.
Ebbene, ora diviene possibile cogliere realisticamente l’occasione per mettere assieme Europa e rivoluzione sociale, per lottare in maniera efficace, nella crisi, contro il neoliberalismo. Da tempo andiamo immaginando la possibilità di un secondo Manifesto di Ventotene – un manifesto nel quale alcuni antifascisti confinati nei primi anni ’40 componevano una risoluta convinzione europeista, una durissima polemica contro il fascismo e gli Stati-nazione ed un programma di giustizia e libertà che configurava avanzati obbiettivi sociali. Siamo dunque ad un passaggio cruciale. Il secondo Manifesto di Ventotene è un manifesto per l’Europa comune, per la connessione della lotta per la costruzione dell’Unione europea e per il comune.
Una lotta da condurre con “amore dell’umanità”, come efficacemente dicevano e facevano i nostri nonni, ed ostracizzando quel “pessimismo della ragione” (che più iettatorio di così!)… al quale taluni ancora osano richiamarci: da che pulpito, con quale diritto?
Beh, già è tanto che ha capito che l'inflazione non dannegia il salariato la vedova l'orfanello, ma non gli riuscirà mai di capire che fuori dallo Stato Nazione, non ci può essere democrazia. Quindi continuerà a farsi invitare al form di Davos?