Della Nazionalità come fondamento del diritto delle genti
Pasquale Stanislao Mancini è stato il più grande teorico italiano della nazionalità, almeno a detta di Chabod del quale bisogna che umilmente ci fidiamo. La teoria italiana della nazionalità, una teoria fondata sulla "coscienza", la "volontà", le "istituzioni", dunque una teoria assolutamente non etnica, che preme sull'elemento volontario, sulla coscienza, la volontà , le istituzioni e lo Stato, dunque una teoria avvincente, è stata concepita ed elaborata da un campano (era nato a Castel Baronia-Ariano Irpino e si era laureato a Napoli) al tempo di Ferdinando II.
Il 22 gennaio 1851, Mancini svolse a Torino, dove era esule dal 1849, la prolusione al corso di diritto internazionale, intitolata Della Nazionalità come fondamento del diritto delle genti. Mancini sta parlando degli elementi etnici o materiali della nazionalità.
"…Questi elementi sono come inerte materia capace di vivere, ma in cui non fu spirato ancora il soffio della vita. Or questo spirito vitale, questo divino compimento dell'essere di una Nazione, questo principio della sua visibile esistenza, in che mai consiste? Esso è la Coscienza della Nazionalità, il sentimento che ella acquista di se medesima e che la rende capace di costituirsi al di dentro e manifestarsi al di fuori. Moltiplicate quanto volete i punti di contatto materiale ed esteriore in mezzo ad una aggregazione di uomini: questi non formeranno mai una Nazione senza la unità morale di un pensiero comune, di un'idea predominante che fa una società quel ch'essa è, perché in essa viene realizzata… Nulla è piu' certo dell'esistenza di questo elemento spirituale animatore della Nazionalità; nulla è più occulto e misterioso della sua origine e delle leggi cui obbedisce. Prima che esso si svolga, una Nazionalità non può dirsi esistente: con lui la Nazionalità sembra estinguersi e trasformarsi per rinascere a nuova vita: altra volta col solo oscurarsi ed assopirsi di quel sentimento cade una Nazione nell'avvilimento e nella straniera soggezione, e traversa un periodo di dolori e di vergogne, senza coscienza né desiderio de'suoi diritti: ma più tardi, e talora dopo una lunga notte di secoli, un debole raggio di luce torna a splendere sull'anima di quel popolo, comincia di nuovo a sprigionarsi dal fango della servitu' quel divino senso che aveva sonnecchiato per tante età, e non di rado ripigliando lena si desta più forte, ed impaziente di ostacoli infrange le catene degli oppressori, e fatta risorgere la Nazione dal funebre lenzuolo in cui giacevasi avvolta, la riconduce radiante di vita e di maestà sulla scena del mondo".
Segnalo una voce dedicata a questo grande italiano: http://www.treccani.it/enciclopedia/pasquale-stanislao-mancini_%28Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Diritto%29/
Il problema e': attualmente in Italia esiste questa Coscienza della nazionalita', questo "pensiero comune"? E come si fa a stabilirlo?
E' debolemolto debole da anni.Il pensiero comune, ilprincipio, è la Costituzione. Grazie al cielo la volontà è un voluto.Ma è un voluto che si deve rivitalizzare ri-formando una coscienza. La crisi fornisce un'occasione. Personalmente credo che quando qualcuno chiami alle armi gli italiani, alla fine gli italiani vanno. Quindi penso che manchi più il nuovo principe in grado di fare la chiamata che gli Italiani. Gli Italiani, per come sono, potenzialmente ci sono. Dacci una mano a costruire il nuovo principe!
Sono d'accordo che nella teoria italiana della nazionalità il principio della volontà sia fondamentale, in questo differenziandosi da visioni unicamente etniciste in salsa tedesca. Bisogna però stare attenti a non confondersi. La volontà, o meglio la coscienza di un progetto unitario da' la forma, ma questa, per realizzarsi, ha necessità della materia. In quanto italiani abbiamo una precisa eredità bio-storica e se vi rinunciamo, a quale progetto di rinascita nazionale potremmo ambire? Ritengo perciò necessario contrastare con tutte le mie forze qualunque ipotesi di ius soli, non certo per bieco razzismo, ma al contrario per amore della mia, anzi nostra, identità nazionale. I veri razzisti sono gli altri: quelli che, con la scusa dell'antirazzismo, vogliono creare un mondo apparentemente multiforme, in realtà monocorde ed uguale, dove l'identità culturale è cancellata dal nuovo paradigma del consumatore mondiale.
Alessandro, anziché bio-storico direi storico-culturale e sebbene comprenda le ragioni che stanno a fondo della tua posizione, sto meditando che l'alternativa ius soli-ius sanguinis è una falsa alternativa.
Mazzini e Garibaldi nella Costituzione della Repubblica romana previdero che lo straniero che entrava a Roma diveniva cittadino dopo 10 anni.
Natutalmente allora il fenomeno non era di massa, quindi andrebbe lasciato il principio con alcuni accorgimenti. Si potrebbe pensare a subordinare la cittadinanza: 1) alla richiesta dell'interessato, che deve stare in regola, ovviamente; 2) al superamento di un esame, diviso in due parti, di lingua italiana, esame che dovrebbe essere molto severo; 3) al superamento di un esame di storia italiana, che dovrebbe essere molto severo; 4) al superamento di un esame di diritto costituzionale italiano, che dovrebbe essere molto severo. Si potrebbe anche pensare a limitare il numero (una specie di superamento dell'esame) distribuendo in qualche modo i nuovi cittadini tenendo conto delle varie nazionalità di provenienza.
Il problema vero è quanti immigrati dovranno entrare in futuro. L'ARS ne discuterà. Io sono per criteri molto restrittivi, almeno per un bel po' di tempo. Abbiamo impiegato tanto tempo per dissolvere il partito cattolico in politica (e in fondo il partito cattolico aveva anche un senso; infatti le cose non è che siano migliorate), figuriamoci se possiamo accettare che si formino comunità magrebine che votano per il pd e comunità dui altro tipo che votano per il pdl. Gli stranieri vanno integrati e devono divenire cittadini italiani; altrimenti, fermo che se li ospitiamo dobbiamo trattarli benissimo, restano ospiti e quindi restano fino a quando li vogliamo ospitare. Gli afflussi poi devono essere lenti, perché bisogna promuovere l'integrazione ed evitare la formazione di comunità che esauriscano tutta la vita collettiva dei membri e che siano chiuse esi schierino in blocco, per appartenenza, in campo politico.
Dal punto di vista materialistico, poi, non esiste alcuna ragione per far entrare stranieri, se non quella di valorizzare il capitale o consentire lo svolgimento di attività d'impresa a bassissimo rendimento, che si reggono soltanto sui bassi salari.
Il tema è complesso. Prima o poi l'ARS redigerà un documento, che mi auguro sia originale, razionale, giusto, sensato, lungimirante. Per ora queste sono mie impressioni, che devo ancora sottoporre a riflessione e non possono in alcun modo essere imputate all'ARS.
Caro Stefano, se cominciassimo a ridiscutere il dogma del libero accesso degli stranieri in Italia, sono d'accordo con te che la dicotomia ius sanguinis-ius soli non avrebbe più alcuna rilevanza. Oggi, però, che di fatto chiunque può entrare liberamente nel nostro paese, un'applicazione indiscriminata dello ius soli porterebbe all'eliminazione della nostra identità culturale. A quel punto, parlare di sovranità nazionale non avrebbe più alcun senso. Ci hanno fregati col politicamente corretto: si può essere solo immigrazionisti o razzisti e parlare di "governo dei flussi" ti colloca immediatamente nella seconda categoria.
Nessuno può cedere la sovranità ,l.identità ,la nazionalità sarebbe come offendere una religione..se uno è di un etnia rimane tale per il rispetto delle sue origini