Non c'è tempo?
"Non c'è tempo": una frase che in vita mia non ho mai pronunciato, se non quando ho preso atto che non potevo compiere un'azione che avrei voluto compiere. Per esempio da studente universitario mi capitava di dire: "Vorrei sostenere un altro esame in questa sessione ma non c'è il tempo per preparalo".
Ora alcuni sostengono, giustamente, che dovremmo impegnarci a riconquistare la sovranità
a) per i nostri figli o nipoti, o
b) per riconoscenza verso padri, nonni e avi e in genere le generazioni passate o i grandi della nostra storia, o
c) per ricostruire la patria, se si preferisce lo Stato italiano che indubbiamente decade gravemente da 25 anni, o
d) per evitarne la dissoluzione.
Ebbene non capisco come coloro che adducono (anche) le quattro motivazioni indicate, o meglio almeno una di esse, possano poi concludere che "non c'è tempo". Se le motivazioni che spingono ad agire sono quelle, allora c'è tempo per fortuna.
Alcuni vogliono riconquistare la sovranità per uscire dalla crisi ed evitare la moria di imprese, i suicidi, la diffusione di povertà e disoccupazione.
Soltanto chi invoca questa motivazione, anzi soltanto questa motivazione, forse può coerentemente asserire che non c'è tempo.
Nonostante una apparente o superficiale coerenza, non credo abbiano ragione. Certamente il movimento sovranista non potrà essere costituito ed essere pronto a candidarsi alle elezioni nazionali prima che trascorrano tre anni, dunque prima che la disoccupazione ufficiale abbia raggiunto il 16%. Ma che senso ha affermare che non c'è tempo? Dopo altri due o tre anni la disoccupazione potrebbe essere al 20%. Perciò penso che anche chi ha un movente puramente materialista e individualista, chi si disinteressa di figli, genitori, nonni, avi, glorie della nazione, tradizione, storia, Costituzione e Stato italiano, a rigore dovrebbe darsi da fare e smetterla di ripetere ansiosamente "non c'è tempo". Altrimenti non ci sarà tempo tra tre anni, non ci sarà tempo tra sei, l'alternativa sarà costituita dal M5S e Berlusconi, Monti, Letta, Renzi o un loro simile sarà ancora al governo. In sei anni possiamo realizzare la rivoluzione italiana.
Non c'è tempo da perdere per iniziare a militare: questa è l'unica verità.
A parte il "militare" finale, direi che mai come oggi è proprio il tempo che è necessario trovare. Siamo andati talmente a ramengo con tutto che pensare a rimettersi in piedi correndo (come Forrest-Renzi, v. Padellaro su Il Fatto Q.) è come dire a uno in carrozzina che per salvarsi deve iscriversi alla Maratona di New York.
Il tempo è moneta cui sta a noi dare valore. Se ci basta la pagnotta secca di oggi, correre per mettersi in fila alla Caritas va benissimo.
Se invece siamo disposti a rischiarci tutto il tempo che serve pur di ridarci unìintera vita degna, meglio non svalutarlo, il tempo, e riadrgli un valore altissimo prendendocelo tutto.
Ma non per "militare". Meglio per ripensare, ideare, ragionare, scannerizzare ogni aspetto dell'esistenza affinché il rimetterci in piedi sia un atto costitutivo di un'esistenza piena di valore profondamente umano.
Diversamente, tanto vale correre: il baratro è giusto dietro l'angolo.
Cara Rossana,
ti ringrazio per questo tuo intervento che condivido e sottoscrivo (a parte le osservazioni sulla "militanza"). Da molti anni la mia massima è: "non fermarsi mai ma non superare i sessanta all'ora".
Perché militare? Perché in democrazia o negli stati autoritari e ovunque i partiti occupano lo Stato; perché, quindi, se vogliamo che migliori la cura degli interessi e beni pubblici o comuni e in genere l'organizzazione dello stato, dobbiamo volere un nuovo grande partito; perché se non sorgerà un nuovo grande partito non avremo mai una nuova classe dirigente di valore; perché infatti la classe dirigente si forma e non può che formarsi dentro un partito, che poi la seleziona. Può non piacerci, possiamo volerci disinteressare di questo profilo ma le cose stanno così. Tutto peggiorerà e tutto peggiora da tempo a causa della mancanza di grandi partiti. Perciò insisto che se ciò che scrivi vale per la dimensione individuale, per la dimensione collettiva e pubblica abbiamo tanto tempo da dedicare alla militanza.
Temo sia proprio la forma/struttura partito ad aver portato all'attuale occupazione del potere da parte di quella che ormai è una classe di "dirigenti d'azienda" che vedono solo il lucro nella gestione di ogni più piccolo aspetto dell'esistenza umana.
Per rifare da zero la coscienza civile di questo paese è necessario lavorare sul senso dell'avere una coscienza civile, su cosa sia la gestione dei beni comuni e su quali siano gli ambiti dell'esistenza in cui lo stato non deve entrare pena la perdita di quella libera coscienza civile che sola può sviluppare creatività, e quindi nuova conoscenza.
Credo di più alle discussioni, anche infinite, anche senza una sintesi finale (purché vengano stabilite regole minime di convivenza civile che ognuno deve rispettare pena l'esclusione e la riprovazione dalla società, mai l'esclusione). Non credo alle formule definite perché tutte tendono a fissare nel tempo delle verità che ne fanno regole finite, cioè morte.
L'esperienza di oggi ci insegna che la struttura partito ha in sé la necessità dell'occupazione del potere. E che l'aspirazione all'occupazione del potere ha in sé il germe dell'aspirazione al dominio e tende di necessità a plasmare la società in funzione delle proprie visioni precostituite, cioè morte. Di qui, come stiamo osservando oggi, l'idea che lo scopo di una società sia quello di riprodurre non solo e sempre se stessa, ma che debba arrivare a essere un mero organo produttivo in sé, con tanto di predominanza dei numeri (dei conti che tornano anche quando non possono tornare) sui bisogni elementari degli individui che di quella società sono le menti, le braccia, i pensieri, i bisogni, le grandezze e le ottusità (servono anche quelle).
Credo che solo rieducando gli esseri alla libertà si possa immaginare una società dove l'essere umano è e rimane al centro di ogni decisione comune. Se il Pil non vi si adatta, andrebbe eliminato il Pil, non il bisogno umano che lo fa schizzare in alto o in basso.
I partiti, tutti, in ogni parte del globo, tendono ad assumere regole fisse per poter funzionare come corpo organico e tendono poi a replicare la stessa struttura fissa nella società, bloccandone con questo ogni possibilità di evoluzione.
Non esiste partito che riconosca (se non a parole) l'importanza del dissenso interno, che non tenda ad espellere da sé la mente che lo mette in discussione e che potenzialmente può farlo deflagrare mentre invece costituisce la sua salvezza dal richiudersi su di sé, morendo.
E' proprio infatti il dissenso, la fiamma viva di ogni organizzazione sociale. Ed è proprio nell'elaborazione (senza limiti di tempo) del dissenso, cioè della contestazione del potere interno o esterno al potere, che consente di mantenere cosa viva, cioè eternamente in progress, ogni possibile idea di società civile. Diversamente prima o poi avviene (come sta avvenendo) l'implosione e la morte.
E' un tema così decisivo, questo del tempo per parlarne e parlarsi (e chiarirsi, e elaborare, e pensare e ripensarsi), senza sentire mai la necessità di arrivare a una precisa conclusione ma lasciando che le conclusioni emergano lungo la strada, pronti a cogliere quelle che si rivelano all'improvviso senza essere state cercate, che nessun partito lo tollera. Le eterne discussioni sono invece l'antidoto sano a ogni idea di potere come pura ambizione personale, a ogni idea di organizzazione fissa il cui unico scopo finisce per essere quello di dover funzionare lasciando per strada, inesorabilmente, il motivo per cui si è data.
Il "militare", ha in sé un'idea di ordine che uccide sul nascere ogni possibile cambiamento. Ogni nuovo partito tenderà sempre a replicare regole e "ordine" mutuati da esperienze precedenti. Per questo muoiono tutti, alla fine, i partiti.
E con loro, le speranze di davvero rinnovarci e ridarci una possibilità che sia altra rispetto a ogni cosa fin qui vista.
Immaginare ciò che ancora non si è visto. Questa la discussione che deve avere tutto il tempo che merita.
(Mi lascio prendere la mano così mi allungo sempre troppo, e me ne scuso…)
"Temo sia proprio la forma/struttura partito ad aver portato all'attuale occupazione del potere da parte di quella che ormai è una classe di "dirigenti d'azienda" che vedono solo il lucro nella gestione di ogni più piccolo aspetto dell'esistenza umana".
Questo è un punto di disaccordo. Nelle sezioni e nelle federazioni negli ultimi 25 anni non c'era più nessuno,salvo funzionari, consiglieri regionali e costruttori. Il partito non era più un partito, non vi erano militanti, non vi erano discussioni. Ovunque il partito diventi un coordinamento di gruppi di potere accade e accadrebbe ciò che è accaduto in Italia.
"Per rifare da zero la coscienza civile di questo paese è necessario lavorare sul senso dell'avere una coscienza civile, su cosa sia la gestione dei beni comuni e su quali siano gli ambiti dell'esistenza in cui lo stato non deve entrare pena la perdita di quella libera coscienza civile che sola può sviluppare creatività, e quindi nuova conoscenza".
La coscienza civile credo che nasca soltanto dentro i partiti. Nel bene e nel male ciò è vero. Sono i partiti che nel parlamento disciplnano la scuola, i beni pubblici, rendono alcuni di essi beni comuni, ne disciplinano la gestione e prevedono sanzioni. La coscienza civile è cresciuta, con alcuni anche enormi limiti, fino a quando c'erano i partiti (diciamo metà degli anni ottanta); poi non è più cresciuta. Certo possono darsi esperienze, anche importanti, ma sporadiche; tuttavia al di fuori dei partiti il 90% è impresa, con ciò che necessariamente consegue.
"L'esperienza di oggi ci insegna che la struttura partito ha in sé la necessità dell'occupazione del potere. E che l'aspirazione all'occupazione del potere ha in sé il germe dell'aspirazione al dominio e tende di necessità a plasmare la società in funzione delle proprie visioni precostituite, cioè morte"
I partiti nascono per prendere il potere, non c'è niente di male. Un potere c'è e sempre ci sarà. La questione fondamentale, dunque, è chi ha il potere e cosa vuole fare e fa con il potere. Credo che concordiamo che si debba togliere il potere al grande capitale ma toglierlo per darlo a chi? in base a leggi scritte da chi? perché il potere sia esercitato in vista di quali fini? Concordo che chiunque abbia il potere lo eserciterà secondo le proprie visioni. Tuttavia, gli argini della democrazia liberale e della democrazia pluralista sono sufficienti garanzie. L'ideale in Italia sarebbe un grande partito che prendesse il potere e democraticamente lo tenesse per 40 anni, vincendo tutte le elezioni; ovviamente alla fine subentrerebbe la corruzione, come in tutto ciò che è umano: quello sarebbe, di nuovo, il tempo della rivoluzione. Il popolo ogni tanto è chiamato a fare le rivoluzioni e a riscattare il proprio destino e ad esprimere un nuovo grande partito e una nuova grande classe dirigente. Nella vita si prende e si dà.
Tra le eterne discussioni e l'organizzazione fissa esistono molte vie di mezzo. La politica e il diritto sono DECISIONE. Poi si torna indietro o si rivede la decisione ma ciò avverrà con un'altra decisione. Credo che le decisioni debbano essere prese molto lentamente e sono sempre stato contrario alla ideologia delle riforme. Ammiro la Chiesa Cattolica che per riformare un "Padre nostro" affida l'incarico a una commissione di biblisti e dice: "ci rivediamo tra una decina di anni per i risultati". Ma da qui ad esecrare la decisione ce ne passa.
Il militare può anche generare disordine, come nelle rivoluzioni. Tuttavia le rivoluzioni devono consolidarsi, quando hanno vinto. Tocca poi ad altri partiti e ad altre rivoluzioni. E' vero dunque che tutti i partiti sono destinati a morire ma non credo che ciò sia un male. Solo le grandi religioni non muoiono ma non perché esse siano più adattabili e vocate al disordine o mutamento, bensì perché si collocano su un altro piano, diverso da quello politico-giuridico-organizzativo, sebbene un grande partito abbia sempre una visione antropologica di fondo che cerca di affermare.
Vero. Verificato personalmente e aggiungo che, per quanto riguarda i luoghi del Pd (Pds, Pci, Des…) le sezioni erano ormai solo luoghi destinati all'esclusiva organizzazione di bettoloni e fiere e qualunque manifestazione dove si potesse piazzare una produzione di cibo da vendere senza uno straccio di scontrino, almeno dal '97 (la ragione è l'autofinanziamento della sede, epperò…i compagnucci chissà come han poi comprato ai figli bar e osterie, almeno qui in zona e nei tempi morti fanno funzioni di Caaf per dichiarazioni a pagamento o consulenze di varia natura sempre a pagamento). Insomma, il fatto non solo non smentisce la mia idea che l'organizzazione "partito" sia alla fine funzionale alla stessa idea di società capitalista che all'inizio combatte ma solo per sostituirsi a quella e se mai (come oggi) pretendere per sé una buona fetta di capitale, ma la conferma.
Un po' dura da mandar giù. E' come negare la potente esperienza dei Comitati per l'Acqua Bene Comune e gli esiti referendari che ne sono seguiti (e ai quali i partiti, sempre il Pd ad esempio, si è prima opposto, poi attaccato pretendendo che l'esito (cioè la vittoria) fosse una sua creatura poi boicottandoli da dentro (anche durante il lavoro di raccolta firme, creando gruppi in Parlamento di contrasto al progetto). Vogliamo poi dimenticare la bella esperienza di civiltà dei No Tav per la difesa del territorio? O quella in Riviera del Brenta dei comitati Opzione Zero? Se c'è oggi un po' di coscienza civile in questo paese la si trova proprio nei mille diversi comitati e movimenti che in tutta Italia lottano a difesa del territorio contro le lobbies sostenute dai partiti. Alla faccia della coscienza civile che vi nasce solo dentro…
Appunto. Confermi la mia idea, alla fine, più che smentirla. Chiunque si organizzi allo scopo di prendere il potere per sostituirsi al potere esistente è figlio legittimo di questo potere e riprodurrà inevitabilmente le stesse identiche dinamiche. O si riesce a uscire da questa logica i cui effetti ci sono noti, o tanto vale lasciare le cose come stanno. 40 anni, e già puoi vedere sugli attuali ventenni (per fortuna non tutti) come appunto le leggi prodotte sulla scuola, sul lavoro, sul senso civile della cosa pubblica ha prodotto: zombies funzionali alla logica del capitale, vittime inconsapevoli del consumismo che li rende schiavi consenzienti.
Non "esecro" le decisioni, ci mancherebbe. Il mondo ha bisogno di decidere fosse anche per il garantirsi la mera sopravvivenza. Però, fatte salve le priorità per garantire questa, nel pensare a quale società vogliamo diventare, credo sia più utile (e concordo quindi con te) la calma "vaticana". Tempo, appunto. Così che emergano quelle visioni che vivono depositate nella nostra coscienza e che possono emergere solo una volta sgombrato il campo da incrostazioni (visioni) mentali precedenti rivelatesi dannose…
Per me non solo è un bene, ma sono già defunti, i partiti. Prova ne è l'attuale difficoltà a farne stare in piedi uno per più di una stagione. Poi basta un soffio di vento e mille grandi idee vanno a sbattere contro la realtà in perenne cambiamento. Per questo oggi la vera rivoluzione è fuori dai partiti ma ben viva dentro all'opera dei mille movimenti e comitati che operano sul territorio o su temi specifici.
E' da queste nuove organizzazioni e dalle loro fruttuose esperienze che oggi si può già intravvedere un'idea nuova di organizzazione sociale che forma coscienza. Civile e spirituale, nel senso più concreto.
Oggi stiamo assistendo alla fine di una parabola che inizia in quel '48 risorgimentale cui si rifà (immagino) la testata del sito. Ma, a differenza di allora, oggi il nemico non è più fisico, è immateriale e però più pervasivo e difficile da identificare. Ecco perché non c'è moto di ribellione: troppo vaghi i contorni fisici del "nemico da combattere" per sentire come allora l'esigenza di "militare", cioè di prepararsi alla battaglia. Contro chi la fai? L'euro? E' una moneta e la portiamo tutti in tasca, per dire che ci serviamo di un nemico che per questo non possiamo vedere come tale. Contro l'Unione Europea? E' chi sarebbe? Fisicamente, intendo…Contro la troika? Sono organismi che operano su scala internazionale, sfuggenti e quindi potentissimi. Non puoi pensare di "militare" per fare un partito che li butti fuori dall'Italia. L'Italia è un lembo di terra legata a ogni altro lembo di terra (e di mare). Il nemico è ovunque. Perfino nelle nostre stesse tasche, come dicevo.
Bisogna pensare ancora e ad altro, per come la vedo io…
E' proprio vero , al buio tutte le vacche sembrano grigie, ma il nostro compito è accendere la luce , non quello di spegnerla definitivamente in una indistinto crepuscolo della ragione.
Hai ragione, il potere spesso ha dato pessima prova di sé , ha oppresso, ha corrotto, ha sterminato, ha mentito, ma ha anche costruito ponti e strade, scuole e ospedali, ha difeso caste, ha consolidato privilegi, ma ha anche assistito anziani e disabili.
Quindi il potere di per sé non è né buono né cattivo , è uno strumento, ma , e in questo sono d'accordo con te, uno strumento da usare con le molle , per non fare la fine dell'apprendista stregone o se preferisci per non creare mostri incontrollabili.
Di fronte alle mostruose ingiustizie e violenze immerse nelle quali siamo costretti a vivere non possiamo ritrarci in considerazioni immobilizzanti , noi non possiamo dire "il potere è dappertutto anche dentro di noi" e da questo dedurre che non ci sia niente da poter fare.
A me la strada sembra chiara , quello che dobbiamo costruire è un altro potere, un potere di tipo nuovo, se vuoi possiamo definirlo un potere in grado di negare sé stesso, un potere-non-potere, un potere da sottoporre a costante verifica, ma sempre potere deve essere perché senza potere c'è solo il ritrarsi nel non essere, cioè nella resa alla schiavitù.
E allora questo potere di tipo nuovo bisogna crearlo e dev'essere un potere forte in grado di contrapporsi al vecchio potere quello che non nega sé stesso, che non si mette in dubbio, quello al servizio dei pochi.
Anchei no-tav che tu citi , non stanno lottando forse per il potere ? Non vogliono che il loro potere di autodecisione dei territori prevalga su quello degli speculatori ?
Dovrà essere un potere gentile, se vuoi , ma non un potere debole, perché dovrà essere in grado si scacciare il vecchio potere , quello al servizio, appunto, dei "potenti".
Come far nascere questo contropotere ?
Non credo che ci sia altro modo di farlo che coordinando l'agire di tante persone, sempre di più, mettendole in grado di comunicare , discutere e agire.
Noi lo chiamiamo per semplicità "partito".
Ciao Adriano. Non mi è chiaro se il tuo commento sia una replica al mio più sopra. Se non è così, prendi quanto vado a dire come un tentativo, fatto partendo da un'altra angolazione, proprio di "accendere la luce". Mai pensato che sia possibile spegnerla del tutto. Non finché anche un solo essere umano sarà in vita.
Vero. Per questo oggi è più evidente quanto sia il potere (e non certo quello della società nel suo insieme) a decidere di volta in volta quali sono gli interessi da servire. Finché ha resistito l'idea che l'opinione pubblica, l'elettorato (per capirci) aveva sempre il potere del voto, quindi quello di far pressione in un senso o nell'altro, qualcosa hanno dovuto cedere, dare, fare. Oggi che evitano perfino il voto pur di non mollare il potere acquisito, se la prendono con la scuola, con i pensionati, con i disabili, con gli ammalati. Tagliano a loro anche la crta igienica, riducno pensioni già da fame ma resostono "le grandi opere", cioè quel pozzo di San patrizio dove possono spartirsi quel denaro pubblico che tolgono dalla bocca di disoccupati e anziani. Strade? Parliamone di quanto ci costano e del perché. Mica contesto che alcune le abbiano fatte. Contesto costi e appalti per farle che in questo paese sono, e non per caso, sempre almeno il triplo di quanto costino in qualunque paese confinente. Che oltrettutto le fa meglio. Insomma, ci mancherebbe pure che con tutto quel che si son mangiati i partiti non avessero almeno fatto quattro strade e dato una casa di riposo agli anziani. Ma ci stiamo arrivando a questo, molto velocemente…
Cioè vorresti rifare una democrazia o qualcosa di simile ma in meglio. Anch'io, ma evitando di consegnare in poche mani "il potere". E nel caso, solo a tempo e solo al fine di realizare ciò di cui la società ha bisogno. E ogni volta che ci penso mi convinco sempre di più che per questo basterebbe assumere dei buoni amministratori per concorso. Poi, una sola Camera il cui compito dovrebbe essere solo quello di pensare, ragionare, confrontarsi fra belle teste per capire come trovare soluzioni. Una volta trovate, bastano appunto quelli assunti per concorso per realizzarle. E alla prima che sbagli sei fuori. Come succede in ogni altro paese civile.
Le persone sono già in grado di coordinarsi, comunicare, agire. Non so quanto bene tu conosca l'attività dei vari comitati che agiscono sul territorio su temi specifici (acqua, ambiente, strade, grandi opere, grandi navi, autostrade inutili, salvaguardia di beni artistici e architettonici, etc), ma ogni volta che mi capita di incrociarli a parlare con loro mi stupisco di quanto sono bravi, organizzatissimi, capaci di azioni che arrivano a ostacolare nel loro piccolo i potentati locali che li temono. Insomma, sono loro oggi la vera politica, altro che partiti.
"gnuno deve rispettare pena l'esclusione e la riprovazione dalla società, mai l'esclusione"
Un po' confuso…
Ciò che intendo è che in una società che abbia una vera coscienza civile chi non ha rispetto per le regole comuni di convivenza di fatto si autoesclude grazie alla riprovazione altrui. Il non rispetto delle regole è vissuto come un danno all'intera comunità al punto che non servirebbero galere, se chi tradisce quelle regole viene automaticamente escluso dal riconoscimento sociale.
Accidenti se siete prolissi! Così si finisce per perdere il filo del discorso. Cercherò di dare il buon esempio con una sintesi estrema (perdonate l'autoironia!)
Fin'ora si sono confusi due termini ben diversi fra loro (ma troppo spesso assimilati): Repubblica e Democrazia. Una Repubblica non è necessariamente democratica (la nostra, ad esempio, sarebbe più opportuno definirla "oligarchica", soprattutto da quando si sono introdotte le liste bloccate alle elezioni), d'altro canto un sostema democratico potrebbe sussistere perfino in una Monarchia: l'organizzazione locale rappresentata in un parlamento che rappresenta il contrappeso al potere monarchico (credo che nell'antica Grecia e forse a Roma, in alcuni periodi, la cosa abbia funzionato) (vd. http://it.wikipedia.org/wiki/Demo_(storia_antica) ). Quello che impropriamente definamo oggi democrazia, più correttamente sarebbe stato un tempo riconosciuto come "anarchia". Una Repubblica parlamentare, nella quale i componenti del Parlamento venissero eletti liberamente dai cittadini (organizzati o meno in partiti, movimenti, lobbies e quant'altro si voglia), andrebbe chiamata Repubblica Popolare o anche Democratica (a condizione di estendere l'originario significato del termine greco δῆμος , dèmos, fino a comprendere i singolo cittadini), ma, in sostanza, sarebbe un sistema anarchico, dove, cioé, nessuno ha potere e tutti partecipano alla gestione dello Stato (sia pur delegando qualcuno a rappresentarli nelle assemblee). Fatto un po' d'ordine, salta subito all'occhio il nocciolo del problema: dov'è il popolo che decide? Non c'è, non c'è ancora. Allora, magari, sarebbe utile che un gruppo di persone, quelle sensibili al tema, ideologicamente anarchiche, disposte ad accontentarsi di essere democratiche (ma senza porre limiti al termine) si organizzassero in qualcosa (partito, movimento, o altro) con il primo intento di spiegare a tutti gli altri come funzionano davvero le cose. Ci hanno già provato, con risulati parziali, ma non del tutto scoraggianti. Dovremmo riprovarci.
Gli altri discorsi, dopo. C'è tempo.
Perdonate l'intrusione.
Rossana,non scherziamo: i vari comitati non hanno ottenuto alcun risultato in tema di scuola pubblica e di università; hanno complessivamente ottenuto risultati modesti e in certe zone modestissimi o nessun risultato in materia di cementificazione, speculazione edilizia, speculazione finanziaria, previdenza, assistenza e persino in materia di acqua pubblica hanno potuto ottenere poco. Che siano esperienze importanti sono d'accordo. Ma senza un partito al potere starai sempre e solo sulla difensiva. La bonifica della terra dei fuochi, la ricostruzione di L'Aquila, la bonifica di tutti i nostri i fiumi e tutti i nostri laghi non le fai con i comitati. Se poi hai rinunciato e vuoi un rifugio di resistenza e lotta accomodati; ma sei troppo intelligente per non dare per scontato che si tratta di pensiero debole, di soppressione dell'utopia, di concretezza capitalistica, di individualismo che al più ci consente di sentirci in comune con i locali.
Magari è vero che su alcune materie hanno ottenuto poco e su altre niente. Però sono al momento l'unica cosa che si muove concretamente e pur se con risultati modesti e certamente limitati a aree limitate e a temi locali, la loro esistenza e il loro impegno a me dicono che se coinvolti su temi sentiti, i cittadini italiani sono capaci di autoorganizzazione.
Si tratta di tempo, anche qui. Il mondo (o un paese) non lo cambi che in due modi: con una rottura (possibilmente violenta) dell'esistente. Oppure lasciando che sia il tempo e l'azione progressiva, costante ma coinvolgente, a far cambiare l'approccio delle persone al mondo in cui vive.
Se non passi per questo modello di condivisione dei piccoli obiettivi sei destinato a lasciare ad altri il compito (e quindi il potere) di decidere su tutto.
Ecco dove trovo che le esperienze dei comitati e dei movimenti siano al momento l'aspetto più vivo del fare politica.
Sono consapevole che si tratta di qualcosa di nuovo che non risolve (per ora) nulla. Ma allo stato delle cose non vedo vie d'uscita che non passino dalla rottura violenta. UE, Nato, Fmi, (e molto altro ancora) non sono aggirabili con la nascita di un nuovo partito, per quanto grande e innovativo. Sempre con questi organismi europei e internazionali dovrai prima o poi fare i conti. E per come stanno le cose al momento dubito si abbia la benché minima possibilità di decidere da sé per la propria sovranità. Non ce la puoi fare.
I piccoli gruppi sono invece come talpe che scavano lentamente da sotto. Per ora il loro lavoro si vede poco e incide poco. Ma se cresce la partecipazione a livello locale, lentamente, prima o poi, potrebbero trasformare la coscienza delle persone aumentando la loro consapevolezza. Sarà quella che sola alla fine potrà molto.
(Dimmi che sogno, che non mi offendo…Però, se non si hanno sogni, come si potrà mai pensare di costruire nuove realtà?)
No non credo che sogni,perché questi comitati sono spesso guidati da persone inteligenti, anche posate, razionali. Però non vedo perché tra due strade che incidono poco (in fondo sul tema dell'euro e della UE complessivamente abbiamo diffuso qualcosa) tu voglia escluderne una, in ragione di pretesi fallimenti, che enunci senza tener conto di molte realizzazioni,magari alcune soltanto in paesi diversi dal nostro.
Le due strade non si escludono. Vedo un rapporto di grande collaborazione tra il partito che sogno io e i comitati che ami tu. Il partito è anche un partito di persone, è pedagogia, è formazione. Anche il rapporto con il potere può essere diverso da partito a partito; e sul risultato influisce la pedagogia dell'uno e dell'altro.
A meno che non stai sognando un mondo dove il potere e l'apparato scompaiono e tutto il potere passa ai comitati (nuovi soviet). Ma questo sarebbe un sogno, appunto.
Perché non credo alla "pedagogia", "alla formazione", etc.
Non credo alle "strutture", credo all'autostrutturazione. Sono convinta insomma che abbia ragione Krishnamurti e che la libertà dell'individuo da ogni potere (soprattutto interiore) possa costruire una società di persone più armoniose, più felici e socialmente più creative.
Mi dirai che anche Krishnamurti ideò scuole e quindi strutture, in qualche modo, ma è proprio l'esperienza di quelle scuole a rafforzare in me l'idea che un'altra strada verso un'altra società sia possibile.
Una società meno gerarchica, dove ognuno può essere di volta in volta insegnante o alunno, in cui ogni particolarità può trovare spazio per manifestarsi e insieme darsi quei confini rispettosi dell'identità altrui.
I "soviet", non erano completamente sbagliati nella loro idea originale. Sbagliato fu il potere dato ad alcuni contro gli altri in base alla dimostrata fedeltà al partito, cioè al potere centrale e alle sue leggi fisse, punitive, prive di quell'elasticità ideale capace di far proprie le differenze, di capirne la potenzialità e l'importanza per l'evoluzione sociale e personale.
Perché questo io credo: che non sia possibile evolversi come umani senza passare attraverso la costruzione di una società che stimoli e lasci vivere la creatività personale, la quale nasce e si sviluppa solo se sono ben chiari dentro ogni essere umano quei valori e quei principi che lo governano e lo definiscono.
Insomma, i comitati hanno, rispetto alla forma partito, qualcosa di meno schematico e le esperienze fin qui fatte dicono tutte che all'interno di un comitato tutti possono partecipare e tutti possono portare idee e tutti possono far crescere in sé un senso di appartenenza non costrittivo ma costruttivo, innanzi tutto del proprio personale senso come persona unica e perciç preziosa proprio per le sue micro differenze.
Il partito è per sua natura verticistico, strutturato per apparati di potere descrescente dove conta di più chi sta in cima e zero o quasi chi sta alla base.
C'è nella struttura partito la stessa idea che ha finito per portarci all'attuale società, dove a decidere è che dimostra di poter aspirare al vertice a patto di tradire chi sta alla base senza fare un plissé (lacrime di Fornero a parte, ultimo residuo di un'umanità che si suicida da sola per il potere).
Sono convinta che se replichi ciò che conosci e di cui conosci soprattutto i fallimenti, otterrai solo una diversa versione dello stesso fallimento, prima o poi.
Perché ogni struttura, ogni intento pedagogico che da questa discende, è di per sé violenta e manipolatrice, tende cioè a replicare fuori di sé solo e sempre la propria versione dell'universo. Ma gli esseri umani sono l'universo solo se ognuno esprime la propria microscopica infinitesima diversità.
Quella diversità (di pensiero, di opinione, di espressione) che tutti i poteri detestano in quanto potenzialmente capace di metterli in discussione e dimostrare quanto il detenere il potere sia sempre questione di detenerlo con qualche forma di violenza dall'alto in basso. Fisica o mentale, non c'è modo di costruire piramidi (sociali o materiali) senza passare per la violenza inflitta alla base affinché sorregga il vertice.
Mi sembra che i pensieri che ti guidano siano compatibili solamente con una società, anzi direi una non-società, basata su piccole comunità autosufficenti.
Qualsiasi attività industriale moderna invece presuppone un altissimo livello di organizzazione e di specializzazione, e quindi di norme.
Quello a cui dobbiamo tendere secondo me non è un agricolo paradiso in terra, una specie di post-esistenza nirvanica, ma semplicemente una vita dignitosa e tranquilla per noi e i nostri figli, non cercando un'idealistica assenza di costrizioni ma una libertà come insieme di vincoli democraticamente autoimposti.
E tra l'assenza di norme e la dittatura c'è una terza via che è quella suggerita da Camus ne " L'uomo in rivolta " : un pensiero meridiano, mai superbo , guidato dal dubbio e dalla tolleranza.
Ops! Attività industriale moderna? Non vorrei traumatizzare nessuno ma temo quella fosse la situazione a inizio '900. Ora siamo in quello della post-industrializzazione e del terziario avanzato, pure quello comunque in crisi grazie alla logica della globalizzazione per cui a sopravvivere è l'outsorcing dei servizi nei paesi a minor costo uomo/servizio.
Comunque sì, hai ragione. Sogno davvero un mondo di micro autosufficienze agricole. Non mi pare un brutto sogno quello di comunità dedite alla coltivazione di broccoli e insalate, di riso e mele con laboratori artigiani specializzati a provvedere a casseruole e scarpe, coperte e mattoni con cui fare case e piccole aziende che non siano di vetro e lamiera.
Di queste ne abbiamo a sufficienza e sono oggi perlopiù vuote e abbandonate tanto che dovendo ricostruire le micro comunità agricole autosufficienti il lavoro preliminare e piuttosto seccante sarà quello di tirar giù tutti i capannoni e bonificare la terra che gli sta sotto, di difficile coltivazione dopo che vi ha sostato sopra il cemento.
Le società industriali vanno bene alle organizzazioni partitiche e sindacali come fin qui le abbiamo conosciute perché lì è più facile domare le bestie da soma e trarle in inganno. Non credo sia un caso che siano proprio partiti e sindacati a soffrire di più quanto a credibilità oggi: le società del terziario avanzato prosperano nella concorrenza spietata, nella dispersione degli interessi e nella micronizzazione delle varie realtà, e sono quindi di difficile gestione e manipolazione. Quindi abbandonate a se stesse e anzi, proprio svendute. Non più tardi di un paio di giorni fa, il prode Angeletti (ma potrei citare la Camusso di mille altre occasioni) in difesa del nuovo progetto lavoro ha detto che "il probema non sussiste perché in Italia non ci sono lavoratori che non abbiano un contratto nazionale. Per dire, negata perfino l'esistenza di ormai circa 3 milioni di co.co.pro, co.co.co, a termine, in somministrazione etc).
Non so quale sia al momento la tua attività e se tu sia o meno un lavoratore di qualche genere, ma sull'industrializzazione dovresti sentire gli altri milioni di operai in cassa integrazione o proprio a spasso. Così, per farti un'idea della realtà anni duemila.
Quindi dovrò rinunciare al mio caffé ?
Te lo chiedo perché già solo per costruire una moka c'è bisogno di :
– industria siderurgica per i metalli
– chimica per la plastica
– e poi di trasporti dal Brasile per il caffé, quindi navi e treni…
E i pianoforti ?
Chi li costruirà i miei amati pianoforti ?
O pensi che la musica strumentale debba essere abbandonata a favore della sola musica vocale ?
Un ritorno al gregoriano ?
Oppure ai tamburi costruiti con pelli essiccate ?
Ora , a parte gli scherzi, non voglio fare il mitologo del progresso, lungi da me, sono un ammiratore di Latouche e credo anche nella bellezza di una società conviviale alla Illich, pero con un grano di sale.
Quello che dobbiamo fare piuttosto che abbandonare millenni di sforzi tecnologici sarà di produrre sempre di meno cose inutili e sempre più cose che ci aiutino a vivere meglio e costruite per durare il più possibile , non con la segreta intenzione dell'obsolescenza programmata.
Già, vivere meglio, ma chi decide cosa vuol dire "vivere meglio" ?
Già qui c'è un problema : un livello decisionale in cui scegliere tra i diversi orientamenti produttivi possibili presuppone una partecipazione generale alle decisioni, dibattiti, rappresentanti,leggi…
Insomma la società è destinata a rimanere complessa, e noi con lei.
Ma meglio così , ti dico io !
Che palle passare le giornate a contare le pecore al pascolo…
Che poi se guardi globalmente l'attività industriale non è per niente scomparsa dal mondo , si è solo spostata , e neanche tanto, perché senza andare in cina già andando in Romania vedresti che è in piena fioritura, crisi permettendo.
Quello che sta scomparendo sono i diritti dei lavoratori, che è tutta un'altra faccenda.
Ma qui si ritorna alla questione del partito…
Immagino che amando il caffè tu una moka ce l'abbia già. E se rispecchi le abitudini italiane forse ne hai più di una (da 2, da 4, da 6 tazze, etc).
Quindi direi che se non la fondi dimenicandola sul gas per 8 ore di fila per una ventina d'anni doresti essere a posto.
Stessa cosa per il pianoforte: ce ne sono abbastanza sul mercato da soddisfare la domanda di buona parte degli aspiranti pianisti in circolazione. E, caso mai scoppiasse una nuova passione di massa per lo strumento (che non disdegnerei), credo esistano ancora buoni artigiani che con del buon legno e un po' di materiale reperibile sul mercato se ne possano costruire ancora. E se non ne esistono più, mettiamo in piedi scuole per maestri liutai e costruttori di pianoforti così che nascano tanti laboratori artigiani in tante diverse città.
Ciò che intendo è che preferendo immaginare un'organizzazione sociale divisa in piccole comunità per quanto possibile autosufficienti nei bisogni di base (cibo, acqua, calore, etc), non mi pare di aver mai parlato di azzerare con questi i commerci né di aver suggerito l'abolizione della tecnologia o delle fabbriche (si può anzi vivere meglio in piccole comunità proprio grazie alle nuove tecnologie e sai che meraviglia riconvertire alcuni colossi di produzione farmaceutici in fabbriche dislocate in mezzo a campi di malva e rosmarino a produrre compresse d'erbe e cosmetici e saponi aprendo laboratori di ricerca sulle proprietà medicinali delle piante?).
Capiamoci: vivo qui e ora come chiunque altro, e sono quindi consapevole che i passaggi per realizzare una società per quanto possibile autosufficiente è un processo, non una cosa che basta dirla perché sia fatta. E questo proprio perché mille sono gli aspetti da valutare e su cui ragionare di volta in volta. Come te non saprei rinunciare alla musica né al caffè (ma nemmeno al té o alla cannella, tutti necessariamente d'importazione). Devo per questo parlare di industria? Un amico che è stato recentemente a visitare Ceylon mi raccontava estasiato della "fabbriche" dove si lavora il té, piccoli meravigliosi esempi di come si possa stare sul mercato internazionale senza dover per forza strafare e globalizzando la produzione magari spostandola in Romania (è solo per fare un esempio, sia chiaro, che so bene che la lavorazione di té in loco aiuta l'economia locale e garantisce una manodopera qualificata perché da sempre sa come e cosa fare con le foglioline di té). E' il come intendi farlo, che fa la differenza. Forse non c'erano già 150 anni fa cannella o té (e deliziose pignattine dove scaldare l'acqua per farlo, il té, e altrettanto deliziosi colini per filtrare il caffè)? E' nell'assurdo di dover importare mele o limoni dall'Argentina mentre in Sicilia e in Trentino costringiamo i produttori a esportarli in America o in Spagna, che qualcosa non funziona più. Esportavamo Olivetti in America, prima che si decidesse che bisognava toglierla dal mercato perché funzionava troppo bene e bisognava garantire invece l'importazione di macchine dalla Germania che qualcosa non ha più senso (tranne che per il "mercato globale").
Ragionare sulla scomparsa dei diritti dei lavoratori poi non è cosa diversa dal ragionare sulla qualità della vita di tutti o sull'idea che abbiamo in testa di come dovrebbe essere la società migliore in cui vivere: sono tutto la stessa cosa perché tutto riguarda la nostra stessa esistenza, alla fine.
Quindi, parliamo prima di questo, di come vorremmo fosse la società migliore in cui vivere.
Poi, se dovesse emergere che i partiti sono una cosa di cui davvero non si può fare a meno, sono disposta ad ammettere che senza non possiamo fare.
Fin lì, però, mi rimangono più autentiche, concrete e vive le esperienze di comitati, movimenti, perfino dei circoli del calcetto del giovedì sera (si fa per dire), che i "partiti".
Quelli al massimo sono interessati al Bettolone per far su denaro senza dover battere un solo scontrino (ma ben carogne nel criminalizzare il baretto sotto casa che neanche se riuscisse a fare 2000 caffè al giorno ormai ce la farebbe). Ma i partiti del Bettolone hanno la coscienza ispida delle loro ciniche esenzioni .org, .ong, . pindopallo, come si sa…
Manco un euro ai bettoloni, sempre senza scontrino al bar che non saranno gli 0,005cents di evasione sua a mandare in malora quelli che si son mangiati l'MPS e ora ci mettono in conto il salvarli perché, oddio, sennò povere banche e povero paese e povera Italia. Lo si mandi al Bettolone, il conto fallimento Mps. Poi riparliamo di partiti.