Precarietà e disoccupazione
In questo articolo si metteranno a confronto le statistiche ufficiali relative alla disoccupazione di alcuni paesi appartenenti alla zona euro con delle ricostruzioni effettuate utilizzando un indicatore che va a misurare gli occupati in termini di unità equivalenti a tempo pieno, valutando in termini qualitativi e quantitativi alcuni aspetti delle riforme strutturali riguardanti il mercato del lavoro.
La parola più inflazionata di questi ultimi anni deve essere necessariamente: “riforme”.
A tale generico sostantivo si fa spesso riferimento quando si parla della riforma del mercato del lavoro, che sarebbe ritenuta necessaria, data la presunta positiva esperienza avutasi nei paesi che l’avrebbero attuata in modo scrupoloso.
É ormai noto che, nella sostanza, si tratta di un radicale indebolimento di ogni forma di protezione residua relativa alle varie tipologie di impiego, avendo come modello il mercato del lavoro tedesco.
Vedremo più avanti come tale mercato è strutturato anche se è noto l’uso massiccio, di lavoro precario e sottopagato, reso possibile con le famigerate “riforme Hartz”.
Per fare il punto della situazione, passiamo ad esaminare gli indici di protezione dell’impiego, temporaneo e regolare, elaborati dall’OCSE. [1]
[I valori appartengono ad una scala che va da 0 a 6, in ordine di livello di tutela fornito dalla legislazione in materia di lavoro di ogni singolo paese.]
Grafico 1: Indice di protezione dell’impiego temporaneo – 2013
Si vede facilmente come l’Italia va a posizionarsi rispetto a paesi come la Germania, L’Irlanda, i Paesi bassi ed anche l’Austria, in tema di protezione dell’impiego temporaneo, che risulta tra le più alte in Europa, ma fortemente distaccata da paesi come il Lussemburgo, la Francia e la Norvegia.
Grafico 2: Indice di protezione dell’impiego regolare – 2013
In questa seconda classifica possiamo verificare come, per quanto riguarda l’impiego regolare, i lavoratori tedeschi, olandesi e perfino lettoni siano più tutelati rispetto agli italiani, ovvero in tutti posti dove si dice che siano state fatte “le riforme”.
Solo l’Irlanda ed il Regno Unito sembrano mantenere le posizioni di bassa regolamentazione evidenziate dal grafico precedente.
Alla luce di questi dati, appare paradossale come si insista con i continui attacchi all’art.18 dello Statuto dei Lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300, riguardante le “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”), nonostante sia evidente che già si è in una condizione di minore tutela occupazionale.
Per valutare la qualità dell’occupazione ottenuta a seguito di queste riforme, possiamo servirci di un indicatore che la Commissione Europea utilizza per individuare il numero degli occupati equivalenti a tempo pieno, confrontandoli con i dati normalmente utilizzati nelle statistiche ufficiali.Grafico 3: Tassi di occupazione a confronto, occupati totali ed equivalenti a tempo pieno su popolazione dai 15 ai 64 anni. [2]
Sfortunatamente, questa statistica non è disponibile per tutti i paesi europei ma, tramite i dati disponibili, illustrati nel grafico 3, ci si può fare comunque un’idea su come i valori occupazionali sarebbero differenti se non si fosse fatto uso di lavoro temporaneo e precario ma solo di contratti a tempo pieno.
Dove la differenza è più marcata, ovvero Paesi Bassi ed Austria, la qualità dell’impiego è più bassa ovvero c’è una relativamente maggiore fetta di popolazione che non beneficia di un posto di lavoro a tempo pieno.
Nel grafico 4 possiamo esaminare gli stessi dati dal punto di vista della disoccupazione.
Grafico 4: Tasso di disoccupazione ufficiale e con equivalenti a tempo pieno, anno 2013.
È macroscopico come, in tutti i paesi esaminati, la reale disoccupazione sia ben più alta di quella ufficiale. Clamorosi sono i casi di Francia, Austria e Paesi Bassi, che riportano tutti dati equivalenti peggiori di quello italiano. La Spagna, alla luce di questa analisi, va a sfondare abbondantemente il tetto del 30%.
A questo punto è lecito chiedersi come andrebbe a posizionarsi la Germania in questa poco felice classifica.
Per cercare di stabilire un ordine di grandezza, si possono confrontare alcune caratteristiche del mercato del lavoro tedesco con quelle degli stati di cui è stata resa disponibile la statistica dell’impiego equivalente a tempo pieno.
Grafico 5: Incidenza del lavoro temporaneo, part-time e a basso salario, sul totale degli occupati, 1° trim 2014.
Qui vediamo come la la Germania possa vantare il poco edificante primato della quota dei lavoratori a basso salario sul totale degli impiegati, fatto verosimilmente dovuto all’impiego massiccio di mini jobs. Per quanto riguarda l’impiego part-time, è seconda a pari merito con l’Austria ma fortemente distaccata rispetto ai Paesi Bassi, che vantano il 50% di lavoratori a tempo parziale.
E’ curioso vedere come in Spagna, Grecia e Portogallo, i lavoratori temporanei siano in numero maggiore di quelli part-time, segno di un mercato del lavoro strutturato in maniera diversa.
Complessivamente, i paesi con caratteristiche più simili alla Germania, dal punto di vista della composizione delle tipologie di impiego, sembrano essere Irlanda ed Austria dei quali, solo nel secondo caso, è disponibile la statistica dei lavoratori equivalenti a tempo pieno.
Dall’insieme dei fatti elencati, risulta plausibile che il tasso di disoccupazione equivalente tedesco si avvicini molto più al 20% che al 5% ufficialmente riportato e che sia, comunque, ben più alto del 15% calcolato per l’economia italiana.
Ora, ricordando la massiccia compressione della quota dei salari sul PIL sperimentata in Germania, siamo davvero sicuri che il “modello tedesco” sia realmente a vantaggio dei lavoratori?
Antonello Nusca – ARS Abruzzo
Note:
[1] Sono stati considerati i licenziamenti individuali.
[2] In questo caso, per rendere i dati confrontabili, data l’ indisponibilità del dato degli e.t.p. dai 15 ai 65 anni, il tasso occupazionale è stato calcolato confrontando il numero degli occupati totali e quello degli equivalenti a tempo pieno con il numero di persone comprese in una fascia di età determinata.
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