Né indolenza né rassegnazione
Né indolenza né rassegnazione
di Luciano Del Vecchio
John Locke (1632 – 1704), primo teorico del regime liberale, sosteneva che il popolo ha il diritto di ribellarsi contro il potere che viola i diritti naturali e osservava anche che gli oppressi tendono a sopportare a lungo senza rivoltarsi e che solo dopo una lunga serie di abusi si scuotono e si ribellano. Non quando ma perché il popolo non si ribella è la domanda che i cittadini più consapevoli si rivolgono in questa congiuntura in cui innumerevoli analisi socio-politico-economiche hanno illustrato a sufficienza i fondamentali meccanismi economici e politici che muovono la Commissione di Bruxelles e l’intero apparato dell’Unione europea. Gli effetti di queste politiche sono evidenti, reali e subìte, ma il popolo non sembra volersi scuotere e le spiegazioni di questa passività, che solitamente si propongono, sono poco convincenti.
Di solito si sente dire che il popolo non avrebbe ancora sperimentato un netto peggioramento delle condizioni di vita e che avrebbe trovato, per ora, un modo per sopravvivere alla crisi senza precipitare nella povertà assoluta. Il popolo si ribellerà quando davvero arriverà la fame; solo quando l’ingiustizia e l’impoverimento diventeranno intollerabili. Tuttavia la miseria non sembra la condizione sufficiente e necessaria per la rivolta, giacché il popolo greco che, anno dopo anno, vede le sue condizioni di vita peggiorare di continuo, non ha fatto autentiche rivolte se non qualche effimera dimostrazione anche violenta ma sterile.
Alcuni spiegano l’inerzia popolare con la corruzione diffusa a tutti i livelli e in tutti i ceti: il popolo è corrotto. Ormai la corruzione e l’illegalità avrebbero infettato anche i ceti subalterni che, a maggioranza, accettano di badare illecitamente agli affari propri e di assistere al miserevole spettacolo offerto dai politici senza ribellarsi perché al posto loro farebbero lo stesso. Il ceto dominante, a sua volta, avrebbe trovato il modo di compromettere stabilmente i ceti popolari nella frode, nel clientelismo e nella trasformazione dei diritti in privilegi privati. La spiegazione sembra parziale e insufficiente perché il disprezzo per i politici è diffusissimo e semmai testimonia del contrario, vale a dire che è falso che in Italia tutti rubino e prevaricano.
Non corrotti dal malcostume, ma disincantati, restii al sacrificio condiviso, chiusi nel piccolo interesse personale, tutti sarebbero diventati individualisti. La gran parte dei cittadini avrebbe introiettato e assimilato l’ideologia neoliberista in misura così pervasiva che ormai ognuno, homo oeconomicus, calcola freddamente i propri interessi materiali e resta indifferente ad altri modi di vivere e di pensare. Dinanzi al progetto dei ceti dominanti apolidi vòlto a distruggere i diritti e i redditi dei ceti subalterni, tutti si scoprono cittadini isolati e inermi che non riescono a reagire. Fa il paio con questa spiegazione l’altra che afferma: sono scomparsi i legami comunitari. L’individualismo e la perdita dei legami comunitari, facce della stessa medaglia, sono comportamenti maturatisi con la diffusione dei falsi miti della “libera” impresa, dell’autorealizzazione, del consumismo, della competizione assoluta come fonte di prosperità. Oggi il popolo avrebbe perso I legami comunitari che in passato cementavano le lotte sociali. Ma è anche vero che spesso era l’opposizione sociale a formare i legami, non determinati a priori, ma sulla base di drammi condivisi e di nemici comunemente individuati.
Altra brutale spiegazione è che il popolo è stupido e ignorante perché non sarebbe cosciente della minaccia che un’oligarchia mai eletta ha sferrato contro i suoi diritti e, per giunta, non comprenderebbe argomenti troppo difficili come le dinamiche socio-economiche. Questa spiegazione presuppone che per ribellarsi la gran parte della popolazione debba essere esperta di politica, o di economia o di diritto. In ogni caso, questa presunta “stupidità” più che spiegare girerebbe in tondo tautologicamente in questi termini: il popolo è stupido perché non si ribella, il popolo non si ribella perché è stupido. Non meno crudele di questa interpretazione è quella di natura demografica, sostenuta da chi non crede a una rivoluzione perché la popolazione europea, e in particolare quella italiana, è troppo vecchia per ribellarsi. A far scoppiare le rivolte sarebbero da sempre i giovani in fascia d’età tra i 20 e i 35 anni, oltre la quale l’età media della maggioranza dei cittadini piegherebbe alla rassegnazione. La tesi sembra poter riguardare i paesi extraeuropei che registrano un’alta disoccupazione giovanile, una miseria diffusa e una società violenta. La sua premessa logica è che la ribellione si debba manifestare soltanto con cortei, manifestazioni, marce, adunate, dimostrazioni, scioperi, scontri anche violenti, non consigliabili ai vecchi.
“Manca un ceto dirigente” è l’altra spiegazione della riluttanza popolare a ribellarsi. I ceti subalterni, specialmente dopo il salto degli ex comunisti dall’altra parte della staccionata, sarebbero rimasti privi di un vero gruppo dirigente pronto e capace di guidarli in una lotta dura e intransigente. Del resto, non c’è ancora un partito politico organizzato intorno a un programma di fuoruscita dell’euro e di sovvertimento dell’Unione europea, che dica al popolo con chiarezza e compiuta verità che bande di felloni ci stanno portando via sovranità, democrazia e benessere e che dentro il sistema economico liberista non c’è futuro. Ma non sempre, nei grandi mutamenti storici, c’è un gruppo dirigente già formato; in molti casi esso matura nel progredire della lotta, sempreché l’incendio divampi.
Forse una ragione più convincente sta nel generale effetto sedativo mediatico, totale e incontrastato che, da almeno vent’anni, avvelena la nostra comunità nazionale. Per controllare e modificare le menti i poteri forti sfruttano l’appetito pressoché insaziabile di distrazioni, tramite l’industria mediatica. I mass-media possono, abilmente manovrati, indurre apatia sociale con un bombardamento d’informazioni mischiate all’intrattenimento; sono infatti diventati strumenti di “infosvago”, che diffondono l’informazione per divertire e il divertimento per disinformare e indottrinare. Una società fissata e parossisticamente contratta soltanto su suoni e immagini ossessivamente scanditi perde la dimensione e la concezione del dialogo e si consegna all’impero dell’ipnosi collettiva eterodiretta. La televisione è la moderna catena mentale a cui sono legati gli schiavi tratti al “Mercato”, distratti dalla contingenza sociale e politica, resi deliberatamente apatici e disabituati a pensare. La sua funzione politica consiste nell’ottundere la capacità di giudizio e di reazione, livellare gusti e idee in modo da rendere le persone indifferenti alle notizie vere che, trasmesse per flusso ininterrotto e annegate in un mare di notizie finte, di fatto sono sottratte alla riflessione. Questa forma di raffinata censura è l’ultimo anello della catena manipolativa. Milioni di Italiani, vittime di questo apparato di disinformazione, subiscono un indottrinamento antropologico e culturale che li ha convinti di aver vissuto sopra i propri mezzi, di non potersi permettere lo stato sociale, di aver portato troppo in alto la spesa pubblica e di dover liberalizzare ancora il mercato del lavoro. Soltanto una minoranza esigua di cittadini, in perenne ricerca della corretta informazione, percepisce l’avanzata inarrestabile del progetto di impoverimento nel nostro Paese attuato dai partiti euroallineati e dalle banche. Costoro dispongono di mezzi finanziari e tecnologici praticamente illimitati, controllano strettamente la propaganda dei media che, insistendo con ostinazione sui vizi nazionali (corruzione, evasione fiscale, …), instillano sensi di colpa e complessi di inferiorità e spingono gran parte degli Italiani a odiare e disprezzare il proprio paese. Quanto più ci si abbandona a una spregevole geremiade sui vizi nazionali e ci si crogiola in essa, tanto meno si trova la forza morale di ribellarsi per recuperare la Costituzione, ricostruire la Repubblica e far risorgere la Patria. Insomma l’opinione pubblica, soggiogata dalla propaganda e incapace di distinguere il bene dal male, non coglie quello che sta accadendo. “Finché non diverranno coscienti della loro forza, non si ribelleranno e, finché non si ribelleranno, non diverranno coscienti della loro forza.”(G. Orwell, “1984”). Non solo odio e disprezzo alimentati contro se stessi, ma paure e false speranze sono i sentimenti tra i quali il popolo oscilla frastornato. La paura del salto nel buio, delle conseguenze artatamente drammatizzate di un ritorno alla lira e di un’uscita dall’UE, del domani più drammatico del presente, si alterna con la speranza che arrivi un liberatore, che le cose cambino da sole; che lo straniero cattivo rinsavisca; che “io speriamo che me la cavo”, che la crisi finirà sicuramente entro “quest’anno”, riferito a tutti gli anni dal 2008 a oggi.
Immiserito, corrotto, ignorante, stupido, invecchiato, plagiato e manipolato, davvero vulgus decipi vult? Ma c’è ancora un’ipotesi a spiegazione dell’inerzia popolare: la disumanizzazione e l’impersonalità del potere. Il popolo non sa contro di chi reagire, non vede il nemico. In chi s’incarna il potere? Dove è insediato? Dove è la sua Bastiglia? Il suo Palazzo d’inverno? Carl Schmitt (1888 -1985), filosofo del diritto, sosteneva che l’aspetto più inquietante del potere è la sua disumanizzazione (Dialogo sul potere). Il suddito, fino a che vede il despota, mantiene l’esatta percezione del male, può figurarselo e sa che, eliminando quel male, può riavere la libertà. Ma quando il potere è impersonale, anonimo, diffuso, insediato da nessuna parte, il cittadino si smarrisce e vive il potere come automatismo. L’Unione europea è giunta progressivamente a espropriare totalmente il potere ai cittadini a vantaggio di funzioni e centri direzionali lontanissimi dall’agorà, dall’assemblea, dai parlamenti, dal demos.
Infine, può giovare l’accenno anche alla tesi definibile come ideologico-messianica: saremmo ormai incapaci di concepire la società alternativa. Anche i ceti popolari si sarebbero rassegnati a vedere il capitalismo come l’unica realtà possibile, contro la quale non ha senso ribellarsi e all’interno della quale la distruzione dei diritti e dei redditi appare loro come una catastrofe naturale. È una spiegazione che forse riesce a convincere l’ideologo, ma non il cittadino comune che, quando decide di sollevarsi, non ha in mente nessuna società paradisiaca collocata nel futuro. In passato il popolo è insorto infinite volte, in Europa e altrove, senza coltivare alcuna idea di società alternativa, ma anzi chiedendo a volte il ripristino dei vecchi rapporti sociali, la tutela da false innovazioni o dall’arrivo di nuovi padroni. Insomma, la rivolta può nascere anche senza essere ispirata da un’ideale società futura, perché non questa manca al popolo, ma la prospettiva immediata, praticabile, credibile, giusta, che nella situazione attuale, è la fuoruscita dalla Unione europea e dall’euro, imperniata intorno al recupero delle sovranità nazionali. Non sono ancora molti a prospettare questa riconquista, per la quale bisogna studiare, prepararsi, riaggregarsi, riflettere, trovare soluzioni e candidarsi alla guida di se stessi come Popolo, in breve far nascere il nuovo Principe.
approfondimenti
http://il-main-stream.blogspot.it/2014/08/oggetti-e-argomenti-per-una-disperazione.html
http://il-main-stream.blogspot.it/2014/04/alle-spalle-dei-rivoluzionari.html
http://il-main-stream.blogspot.it/2014/02/perche-la-gente-non-si-ribella.html
Sono stato a lungo indeciso se commentare. D’altra parte i commenti ai post sono così scarsi che il danno inflitto parimenti scarso. Ma una cazzata tale resta e, M. Friedman insegna, è lì per danni futuri.
Che un post in questo luogo si basi su uno degli strumenti dell’armamentario vittoriano classico utilizzato per la conquista del mondo va considerato un sintomo?
Ripetete con me :
Il diritto naturale non è mai esistito,
Il salario naturale non è mai esistito,
Nessuno sa come fossero gli uomini preistorici
ps (e intanto leggetevi “Totem e tabù” che male non vi fa)
Non mi sembra che Luciano Del Vecchio abbia affermato che esiste il diritto naturale. Né che l’ARS abbia mai affermato che esiste.
Né abbiamo mai affermato che esiste il salario naturale. Il tema dell’articolo è tutt’altro.
Se non sbaglio LDV è nel comitato direttivo di ARS. C’è qualche impedimento che lo obbliga ad segretario per rispondere ai commenti o, più semplicemente , “vai avanti tu che mi viene da ridere”?
Ti risponderà sicuramente, quando leggerà il tuo commento. Non c’è però un impedimento alla mia risposta.
Come giustamente ha osservato Stefano, il diritto naturale non è il tema del post. Ne accenna Locke nella sua opinione (citata a introduzione dell’articolo), ma non come concetto fondante la dottrina del giusnaturalismo, ma al plurale “diritti naturali” dei popoli, espressione comunemente usata nell’ambiente culturale di quel secolo. Il “diritto naturale”, forse, è stato usato come “armamentario vittoriano classico per la conquista del mondo”, ma come concetto risale al pensiero greco classico (stoicismo) e al cristianesimo antico e medievale; fu elaborato poi nel Sei-Settecento dalla corrente di pensiero filosofico-giuridica detta appunto giusnaturalismo per contrapporlo al diritto positivo. Se ne discute ancora oggi a livello filosofico, così come si discute della difficoltà di definire i concetti di “natura o di “natura umana”. Ma sono temi ignorati a livello politico o mediatico, come del resto estranei all’ARS e al presente post.
Il salario “naturale” non so cosa sia.
Il “ripetete con me” credo che sia una tecnica americana di psicologia applicata per convincere gruppi di persone, riuniti in una sala, delle bontà del prodotto che devono vendere o per condizionarle a diventare provetti venditori di qualsiasi merce.
“Totem e tabù” è un saggio di Freud che parla dell’orrore dell’incesto, dell’ambivalenza emotiva, dell’animismo, del totemismo e della magia. Lettura certo interessante che “male non fa” ma, come diceva un tale: che ci azzecca?
Infine, Milton Friedman. È stato un economista americano, fondatore del pensiero monetarista, favorevole al libero mercato e durissimo oppositore dell’intervento dello Stato in economia. Dubito che il suo pensiero possa influenzare un iscritto all’ARS.
Ma caro LDV (e SDA) , chi ha mai detto che il diritto naturale sia il tema del post: certo non io. Ho commentato, invece, che si basa sulla affermazione di Locke. Riporto di seguito l’incipit: “John Locke (1632 – 1704), primo teorico del regime liberale, sosteneva che il popolo ha il diritto di ribellarsi contro il potere che viola i diritti naturali…”
E, a questo proposito, perché usare proprio Locke. Avendo a disposizione il “Manifesto” di M-E o Mt 10,34? Sembrerebbero incipit maggiormente appropriati ad un post in un blog sovranista.
Il ripetete con me e gli americani non si “azzeccano” per nulla. È la semplice confutazione dell’armamentario mercantilista vittoriano: Locke, Ricardo, Hume. Certo loro non avevano bisogno di dare dimostrazione, se del caso ci avrebbe pensato una azione di intelligence appoggiata su quisling locali o una convincente azione di cannoneggiamento. Ma voi (LDV e SDA), con premesse del genere (Locke), quali argomenti pensate di usare per smascherare le fondamenta dell’austerrita espansiva? Sono sinceramente curioso.
E veniamo a Totem e tabù.
Il testo non concerne esclusivamente un ipotetico esame di Storia della nevrosi. Fornisce ipotesi sulla invenzione del diritto e della religione togliendo così la terra da sotto ai piedi di Locke e di tutti quelli che (senza doverlo dimostrare perché tanto, se del caso ci penserà qualcun altro) invocano la natura per giustificare le proprie nevrosi (o, meglio, le proprie patologie). Non per nulla vonHayeck vedeva Freud come il fumo negli occhi.
Sul M. Friedman sorvolo, mi sono stancato di digitare.
Anche l’austerità espansiva non c’entra nulla o quasi. A me è sembrato un buon articolo nel quale sono approfonditi molti argomenti normalmente addotti per giustificare l’inerzia moderna non solo dei ceti subalterni ma anche dei ceti medi in crisi. Se l’elenco dei motivi e l’analisi dei medesimi sono esaustivi o soddisfacenti o con spunti interessanti, allora è un buon articolo, altrimenti non lo è. Per me lo è.
Ma benedetto SDA se l’austerità espansiva non c’entra nulla o quasi a che pro l’articolessa di LDV?
De hoc satis.
La citazione a quanto affermava Locke va riportata per intero “…gli oppressi tendono a sopportare a lungo senza rivoltarsi e che solo dopo una lunga serie di abusi si scuotono e si ribellano”. È questa seconda parte che introduce il tema dell’ “articolessa” (articolo noioso e prolisso [Treccani]).
La confutazione dell’armamentario mercantilista vittoriano è un tema interessantissimo, che non merita di essere infilato arbitrariamente e forzatamente in post che trattano di tutt’altro, ma richiede di essere ben illustrato in un saggio, o almeno presentato in un’ “articolessa”, interamente dedicata al tema, da chi ritiene di poterlo sviluppare in modo esaustivo e completo. Gli apprezzamenti non mancheranno.
Smascherare le fondamenta dell’austerità espansiva è compito da affidare agli economisti; così come nevrosi e patologie che riguardino popoli e culture sono da lasciar analizzare a psicosociologi o ad antropologi. Né l’uno né l’altro sono stati argomenti dell’ “articolessa”.
C’e’ del vero nell’articolo, soprattutto quando parla del potere di manipolazione delle menti da parte dei media. Pero’ io aggiungerei un paragone. Con gli Ucraini: perché loro si sono ribellati (parlo di quelli del Maidan)? Erano stufi della corruzione (e qui non c’e’?)I loro salari erano bassi (ma credo anche il costo della vita)? La verita’ e’ che gli organizzatori democratici di rivoluzioni, nonché fornitori di armi eccetera, volevano provocare tutto cio’ per trascinare l’Ucraina nella UE e nella NATO in funzione antirussa. Invece l’Italia, la Grecia eccetera sono gia’ nella NATO, quindi i suddetti organizzatori democratici (che conosciamo) non auspicano nessuna rivoluzione in questi Paesi, anzi probabilmente vigilano molto bene affinche’ non accada.
manca “perché il cervello é scemo”
(beppe grillo)
sulla stessa lunghezza d’onda, pur non avendone la fulminante sintesi,
la TEORIA GENETICA DEL SERVO:
nei secoli, forse involontariamente (specie quando non si conosceva ancora Darwin)
le classi dominanti hanno selezionato una stirpe di servi
continuativamente reprimendo e assassinando gli spiriti liberi e ribelli
(gli unici oggettivamente in grado di impensierire il potere e/o di “innescare” una qualche sorta di bip su un encefalogramma collettivo sconsolatamente piatto)
solo i servi hanno avuto il privilegio di riprodursi
in Italia, in particolare, siamo particolarmente servi
(servi dei servi, giustamente dicono gli anarchici rimasti)
almeno dalla fine dell’impero romano, in Italia è sempre stato: “Franza o Spagna, basta che se magna!”
guardate i vostri amici, familiari, colleghi un attimo, con questa chiave di lettura;
sarà – purtroppo – una illuminazione fulminante,
se sarete dolorosamente aperti e onesti
no,
non sarà il popolo, né tantomeno le “elites rivoluzionarie” (i “quadri” del partito di lottacomunista) a fare il botto.
saranno,
banalmente,
l’aritmetica (specificamente la curva esponenziale dell’interesse composto)
la biofisica, (la finitezza del pianeta Terra)