L'art.18: la vera posta in gioco

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5 risposte

  1. rossana ha detto:

    Solo su una cosa non concordo, dove scrivi che la frase ““il lavoro non è un diritto ma un dovere” pronunciata da Renzi ti auguri gli sia scappata.
    Perhé dovrebbe essergli “scappata”? Forse ancora dubiti che non sia che l’esatta verità?
    Succede spesso che di fronte ad affermazioni pubbliche del politico di turno la nostra incredulità respinga la verità di quelle affermazioni quasi a volersi proteggere.
    Eppure, non gli “scappa” niente, dicono esattamente ciò che fanno e ciò che hanno intenzione di fare.
    Scambiare la pochezza di chi pronuncia tali frasi per frasi dal sen fuggite, è pericoloso, per noi.
    Tanto prima riusciremo a comprendere che quelle frasi “scappate” indicano un punto di programma preciso, tanto meglio vedremo il quadro che si andrà sviluppando.
    Non sono che esecutori (Monti, Letta, Renzi, etc), ma sono appunto esecutori decisi a esserlo fino in fondo.
    Il “lavoro come dovere”, implica l’idea sottostante di una massa di schiavi privilegiati (lavori, mangi) contro una massa di esclusi finanche dall’accesso a una scodella di minestra se non si piegano al “dovere” del lavoro schiavo.

  2. Giovanni ha detto:

    L’incredulità di D’Andrea è ironica, almeno presumo. La frase in esame è solo un altra versione della famigerata frase della Fornero: “il lavoro non è un diritto va guadagnato”. Sono coerenti loro.

    • rossana ha detto:

      Concordo sulla coerenza “loro”. Proprio per questa vivida coerenza, forse sarebbe il caso di prenderli molto sul serio…
      Farci dell’ironia è pur sempre un modo di disconoscere la realtà, la fondatezza, di un’affermazione.
      Ed è questo non riconoscerla per la reale minaccia che è, a farci ancora lavorare (e pensare), per ipotesi, quando tutto il panorama davanti ai nostri occhi ormai è chiarissimo.
      E’ perfino troppo tardi per darsi un’idea di come contrastarla, questa realtà, abbiamo passato più tempo a discuterne filosofeggiando che a costruire intorno a noi una efficace barriera di difesa.
      Intanto, la barriera l’hanno eretta loro, e per come la vedo io, siamo ostaggi ancora (per la maggior parte)inconsapevoli di esserlo.

  3. stefano.dandrea ha detto:

    Chiedo scusa a tutti. L’articolo l’ho inserito io ma è di Antonio Stragapede dell’ARS di Bari. Per errore l’ho inserito come se ne fossi io l’autore. Ora ho corretto.Ovviamente mi scuso soprattutto con Antonio.

    La costituzione è chiara: il lavoro è un diritto (sociale) che obbliga lo stato a creare le condizioni per la piena occupazione (art. 4, 1° co.) ma è anche un dovere (Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività p una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società (art. 4, 2° co.). Salvo un simpatico socialista ottantenne (Lombardi) che proponeva di internare gli oziosi (fu incaricato anche di scrivere una relazione), ossia, socialisticamente voleva fare del dovere di lavorare un dovere giuridico (chi non lavora non mangerà era in epigrafe della Costituzione sovietica), gli altri concordavano che si trattasse soltanto di un dovere morale. In realtà, la concezione abbastanza diffusa nell’assemblea costituente era che se il lavoro c’è perché lo stato lo ha promosso e quindi ha adempiuto il proprio dovere di creare le condizioni della piena occupazione, chi decide di non lavorare non meriti nessun aiuto.

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