Politica e tempo
di JACOPO D’ALESSIO (FSI Siena)
Ancora oggi molti attivisti considerano il tempo una sorta di mostro mitologico: una categoria priva di controllo di fronte alla quale rimangono terrorizzati e si arrendono. Oppure vediamo altri che per lo stesso motivo decidono di scendere verso inutili compromessi che rischiano di mettere a repentaglio i loro obiettivi e la fatica di anni.
Perciò, invece di utilizzare il tempo in qualità di soggetti capaci di costruire un progetto grazie alla sua disponibilità, ne diventano gli oggetti subordinati che smettono di prendere scelte a causa dei suoi limiti.
La fazione degli uomini che vede il tempo solo come una scadenza si condanna in questo modo a due atteggiamenti apparentemente opposti ma in verità molto simili: da una parte, alla scelta della rinuncia prima ancora di intraprendere il cammino politico; mentre, dall’altra, alla scelta dettata dalle circostanze, che obbliga ad un percorso non proprio. E dunque in entrambi i casi abbiamo negazioni di scelte che conducono all’impotenza.
Viceversa, la fazione degli uomini che scorgono nel tempo una risorsa, si comporta secondo un’ottica rovesciata: quello della costruzione continua e quotidiana, nutrita con azioni svolte nel presente, attraverso la pazienza, convinzioni, in una parola, la prassi.
Facciamo un esempio. Probabilmente si potrebbe provare a rispondere a tutti coloro che considerano il tempo un fattore stringente (per cui alleanze, elezioni, aggregazione dei militanti, debbano risolversi tutte all’istante) con un’altra domanda:
Durante il Fascismo c’era più tempo?
Sulla base di questa logica, la risposta dovrebbe essere che in quel periodo il tempo era già finito. Ma come sappiamo ciò è evidentemente falso. Infatti, nonostante la fine della democrazia e le sconfitte politiche, organizzazioni di uomini hanno invece continuato a crescere – Gramsci scriveva dal carcere – e dopo 20 anni hanno vinto.
Allo stesso modo, mentre tutti urlavano in questi anni che il tempo correva e non avrebbe lasciato spazio a nessuno per fare alcunché, oggi, al contrario, abbiamo visto per la prima volta sovranisti di partiti diversi concorrere alle politiche amministrative in varie città d’Italia.
Il successo di tali risultati c’è stato perché negli scorsi anni alcuni hanno saputo coltivare il valore del tempo, mentre altri continuavano a svuotarlo di senso. Questi ultimi sostenevano che non c’era più speranza, oppure che dovevamo sbrigarci a compiere azioni prive di criterio. Anche se poi questa fretta avrebbe rischiato magari di farci finire in vicoli ciechi, o semplicemente ha impedito loro di adempiere al loro dovere.
Di conseguenza, dovremmo imparare a prendere le distanze dalle tipiche espressioni di Confindustria del “fate presto”, del “fate le riforme altrimenti è finita”, ovvero da quel linguaggio che, senza accorgercene, ha conferito la forma del consumo economico ai nostri pensieri più reconditi. E’ arrivata invece l’ora di mettersi a fare autentica politica, che è una cosa seria; che non si conclude in un’unica tornata elettorale, ma se mai comincia anche da lì; che non può stravolgere tutto lo status quo in ‘sole 24 ore’, e nemmeno in alcuni anni. Quest’ultima costituisce una materia diversa che esige di essere trattata invero con passione, coraggio, costanza, e una prospettiva di lungo periodo.
Non importa se nei prossimi anni cambieranno dieci volte la riforma elettorale. Non importa se tra poco permetteranno di fare impresa solo alle multinazionali straniere. Non importa se in breve tempo privatizzeranno la maggior parte dei beni e dei servizi pubblici. Non importa se sospenderanno ancora di più la democrazia e avranno distrutto ancora altri diritti dei lavoratori. Non è questo il punto.
Perché, se nel frattempo (in qualsiasi tempo), nonostante le nostre pur nobili idee, verrà a mancare però sempre ed esclusivamente il corpo degli esseri umani consolidati fra loro, che in ultima analisi corrisponde al soggetto politico organizzato, non riusciremo mai a realizzare nulla né al più presto, né fra trent’anni.
A salvarci non sarà di certo il ‘tempo tecnico’ delle riforme economico-scientiste. E tuttavia non vi illudete che sia più utile nemmeno il ‘tempo magico’ dell’immediatezza la quale finisce per rimuovere la responsabilità del proprio coinvolgimento nel lungo e difficile processo della militanza. Questo perché sia l’uno che l’altro fanno parte in realtà dello stesso grande e ingannevole mito dell’irragionevolezza che niente ha a che fare con la poltica.
L’unico tempo che conta davvero è quello che vi vedrà impegnati per una vita intera. Ma sappiate che il meglio deve ancora venire.
Ci libereremo
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