La vischiosa dittatura del Bene
di GIAMPIERO MARANO (RI Varese)
Contro l’impegno di Walter Siti (Rizzoli, 2021) è un brillante pamphlet orientato in un senso dichiaratamente ostile alla (riporto le parole stesse dell’autore) “triade di autoritarismo/sovranismo/maschilismo in cui si riflette quel che è stato chiamato il ‘fascismo eterno’”.
Le radicate convinzioni liberal-progressiste di Siti non gli impediscono, tuttavia, di denunciare la pericolosa deriva a cui si espongono giocoforza la letteratura, e la cultura in generale, nel momento stesso in cui scelgono di abbracciare istanze di natura moralistica e pedagogica, nella fattispecie quelle ispirate ai dogmi del politicamente corretto. L’autore ricorda, a titolo di esempio, la clamorosa decisione del regista Leo Muscato che, nell’edizione del 2018 del Maggio fiorentino, cambia il finale della Carmen perché contiene un incitamento al femminicidio. Siti scrive (giustamente, e in fondo costringendosi a dire un’ovvietà) che “riconoscere le ingiustizie della Storia non può voler dire perdere la capacità di distinguere il bello dal brutto, né rovesciare sul testo i peccati dell’autore”.
Ma l’aspetto più inaccettabile agli occhi di Siti si rivela la marcata vocazione immunitaria manifestata da quella letteratura del neo-impegno che, a suo avviso, ha dominato incontrastata la scena nei primi due decenni del XXI secolo: “l’idea sottostante è che il mondo sia malato (più malato del solito perché in emergenza) e che alla letteratura tocchi, come a una brava infermiera, di risanarlo”.
Abbandonata l’aspirazione a cambiare il mondo che aveva sempre contraddistinto la letteratura engagé da Dante al Novecento, “il compito che il nuovo impegno si pone è invece più semplice e concreto: aiutarci a vivere, favorire il nostro adattamento alle mutazioni”. Sembra, in sostanza, che la letteratura italiana contemporanea (o quella che viene così definita) sia disposta ad accogliere unicamente stili e scritture della resilienza (per ricorrere a un termine oggi di moda) di fatto subalterni, nella loro transitività piatta e facile, al modello economico e sociale trionfante.
Non più “ascolto e avventura della parola” a causa del fatto che “il neo-impegno diffida della sintassi troppo elaborata e di un’eccessiva cura formale”, la letteratura si riduce allora a giornalismo, testimonianza iconografica della realtà, o meglio, di ciò che si vuole spacciare per realtà. I temi prediletti dagli scrittori di inizio Duemila (migranti, minoranze, olocausto, criminalità organizzata, ecc.) vengono trattati senza il necessario approfondimento analitico e critico, con la preoccupazione di costruire effetti speciali dal forte impatto emotivo che finiscono per relegare il testo letterario a un ruolo ancillare nei confronti del cinema, del fumetto, della serie televisiva: “l’intero, la struttura, la durata, la coerenza interna”, osserva Siti con amarezza, “sembrano ormai vecchiumi da mettere in soffitto”.
In tal senso, il caso paradigmatico più noto è quello di Saviano (autore al quale Siti dedica molte pagine del libro), la cui poetica “ripudia la profondità polisenso della scrittura a favore dell’efficacia immediata” poiché si fonda su “un postulato tanto diffuso quanto indimostrabile: che l’immagine sia più efficace delle parole”.
Senza nulla togliere alle riserve avanzate da recensori acuti come Portesine o Luperini, i quali rimproverano a Siti rispettivamente di identificare la “vera” letteratura con la letteratura del Male e di essere condizionato nelle sue valutazioni da una pregiudiziale modernista, penso che Contro l’impegno colga appieno una tendenza fondamentale del nostro tempo, e cioè l’aggressività di quell’ideologia dell’immunitas che può preludere a nuove e insidiose forme di totalitarismo.
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