La Legge di stabilità e l’ingannevole evergetismo renziano.
Al Tg Rai delle 13.00 del 18 ottobre a proposito della legge di stabilità hanno parlato di “manovra espansiva ottenuta attraverso un taglio delle tasse coperto con la riduzione della spesa pubblica”.
Gli fa eco Linda Lanzillota Vice Presidente del Senato intervistata a Skytg24 Pomeriggio: “Legge di stabilità: Manovra espansiva come non si vedeva da vent’anni”.
E ancora da un ANSA del 16 ottobre: “Una manovra da 36 miliardi di euro, espansiva e studiata con l’obiettivo preciso di abbassare le tasse, arrivate ad un livello che, secondo la definizione di Matteo Renzi, è ormai pazzesco”.
Debora Serracchiani, vicepresidente nazionale del Partito democratico, a T-Mag: “Una manovra finalmente espansiva”.
Insomma il mainstream sta cercando di far passare il messaggio che la Legge di Stabilità 2015 sia una manovra espansiva.
Ma è veramente così?
Da un qualunque testo di politica economica apprendiamo che la politica di bilancio può essere espansiva, restrittiva oppure in pareggio.
Una manovra fiscale espansiva per essere correttamente definita tale deve necessariamente implicare un disavanzo di bilancio pubblico così come una manovra restrittiva genera al contrario un avanzo di bilancio. Una politica incentrata sul pareggio di bilancio infine impone l’uguaglianza tra le entrate e le uscite ovvero una politica fiscale in cui le entrate fiscali eguagliano la spesa pubblica.
Sulla base di questa definizione possiamo osservare che nel titolo dal TG di Rai 1 vi è una contraddizione in termini (per non dire uno sfondone economico!) nella misura in cui il tanto sbandierato calo di tasse (tutto da verificare) viene coperto con la riduzione della spesa pubblica anziché con l’aumento del deficit!
Una manovra espansiva è tale quando nel bilancio dello Stato le uscite superano le entrate, creando appunto un deficit di bilancio pubblico. Il presupposto di una manovra espansiva è che lo Stato spenda più di quanto riscuota in tasse, rendendo ai cittadini più di quanto sottrae loro. Praticamente si lasciano più soldi nelle tasche della popolazione causando un aumento di reddito.
Per verificare, quindi, se la Legge di Stabilità 2015 sia effettivamente espansiva dobbiamo appurare che il deficit strutturale fissato dal Governo con tale legge per il 2015 sia aumentato rispetto a quello del 2014.
Ma se andiamo a vedere la nota di aggiornamento del DEF scopriamo che il deficit pubblico in percentuale di PIL scende (non sale!): rispetto al 3% di PIL del 2014 passa al 2,9% di PIL nel 2015.
Quindi il deficit strutturale si riduce di 0,1% rispetto allo scorso anno (l’Europa chiede che tale riduzione sia ulteriormente incrementata portandola a 2,7 o addirittura a 2,6%) altro che manovra espansiva!
In termini assoluti il deficit nel 2015 si riduce di circa un miliardo rispetto al 2014, l’Europa vorrebbe che si riducesse di ulteriori 4,5 miliardi, di certo non aumenta di 11 miliardi come sostiene Renzi nelle sue televendite. Quello che però, dati alla mano, non riuscivo a capire è da dove il Governo avesse preso questi presunti 11 miliardi di deficit finché, cercando su internet, non mi sono imbattuto in un articolo molto autorevole firmato dal Prof. Gustavo Piga, docente di economia all’Università Tor Vergata di Roma, e pubblicato il 19 ottobre su Keynesblog. Il Professore spiega chiaramente che questi 11 miliardi saltano fuori dal valore tendenziale del deficit per il 2015 previsto intorno al 2,2% del PIL (ossia come si ipotizza che sarebbe stato senza alcun intervento da parte del Governo) e il valore fissato per il 2015 dal Governo stesso (come abbiamo visto) al 2,9% di PIL. Tale differenza di 0,7% di Pil sono appunto 11 miliardi. Dettaglio: i valori tendenziali non hanno alcuna rilevanza in economia (come ricorda lo stesso Prof. Piga).
Altro valore da monitorare è il saldo primario (ovvero la differenza tra entrate e spese pubbliche al netto degli interessi) che in Italia è in avanzo a testimonianza delle reiterate manovre restrittive. In caso di manovra espansiva questo dovrebbe diminuire. Sempre nella nota di aggiornamento del DEF leggiamo che l’avanzo primario in percentuale di PIL scende di un inezia passando da 1,7 ad 1,6 (appena 1,5 milioni di euro). Si tratta fondamentalmente di una manovra in pareggio.
A scanso di equivoci è utile ricordare che una manovra a bilancio in pareggio non significa che il deficit sia zero, ma che questo rimane invariato rispetto al bilancio del 2014, ennesimo anno in cui l’economia italiana si è confermata in recessione. In altri termini la variazione della spesa pubblica tra il 2015 e il 2014 uguaglia la variazione delle tasse tra il 2015 e il 2014. Ed è proprio quello che abbiamo testé riscontrato nella Legge di Stabilità 2015 . Si tratta in buona sostanza di una manovra “neutra”, come la definisce lo stesso Prof. Piga, che configura una mera redistribuzione di risorse, di certo non le aumenta, e di conseguenza non aumenta nemmeno il reddito che, come noto, è alla base dell’aumento dei consumi.
Se ne è accorta anche l’Istat come riporta un Ansa del 3 novembre: La legge di Stabilità ha “Effetti nulli nei prossimi 2 anni”, dello stesso avviso sono anche i tecnici di Bankitalia (si legge nella medesima fonte).
Che una simile manovra sia recessiva è presto dimostrato. Lo stesso Stefano Fassina il 19 ottobre 2014 criticando la Legge di stabilità ha “keynesianamente” ricordato che il moltiplicatore della spesa pubblica sul reddito (che misura la variazione del reddito e del PIL al variare della spesa pubblica) è maggiore di quello fiscale (che misura la variazione del reddito e del PIL al variare della pressione fiscale). In altri termini l’incremento di reddito che deriva dal taglio di tasse è meno che proporzionale (di 3 o addirittura 4 volte dice il FMI) alla riduzione del reddito stesso dovuta alla spending review per finanziare tale spesa. Questa regola estremamente intuitiva è stata suffragata, oltre che dall’esperienza empirica e dai premi nobel Krugman e Stiglitz, anche da recenti studi del più conservatore FMI, curati proprio dal capo economista Olivier Blanchard, che dopo aver sperimentato l’inefficacia di ben 6 anni di tassi di interessi a zero in un permanente stato di “trappola della liquidità”, sembra finalmente aver riscoperto il valore dell’economia Keynesiana.
Renzi aveva dunque due possibilità per fare una manovra che presupponesse il bilancio in pareggio (cioè che lasciasse il deficit invariato): o aumentare la spesa pubblica aumentando contestualmente le tasse, oppure, ed è quello che ha scelto di fare, diminuire le tasse diminuendo contestualmente la spesa pubblica, ma in questo caso, come abbiamo visto, l’effetto espansivo del moltiplicatore della riduzione delle imposte viene ampiamente surclassato dall’effetto recessivo della riduzione della spesa pubblica.
Quindi anche nella migliore delle ipotesi (manovra in pareggio con diminuzione delle imposte compensato da una pari riduzione della spesa) si tratterebbe di una manovra recessiva! Ma tale situazione (già grave) è perfino peggiorata dopo il 27 ottobre quando cioè il Minstro Padoan ha risposto alle richieste di chiarimento avanzate dalla Commissione UE circa il Documento programmatico di bilancio 2015. Nella lettera – si legge sul sito del tesoro – il Ministro del MEF indica le misure aggiuntive con le quali l’Italia conta di correggere il deficit strutturale di circa 0,3 punti percentuali del PIL nel corso del 2015. Anche se Renzi fa finta di litigare con Junker i numeri mostrano inequivocabilmente che il Governo si è toto coelo piegato ai dicktat dell’Europa rettificando la nota di aggiornamento del DEF portando la riduzione del deficit strutturale (inizialmente prevista al 2,9% di PIL) al 2,6 di PIL. Per una manovra espansiva bisognava aumentare tale rapporto ad almeno 4,5% di PIL. La Commissione europea gioisce, i cittadini italiani un po’ meno dal momento che anche quest’anno vedranno drenata la loro ricchezza da parte dello Stato (per conto dell’Europa!) di ulteriori 6 miliardi di euro tra tasse e tagli alla spesa. Altro che gli 11 miliardi di deficit promessi da Renzi.
Non si scappa dunque: si tratta dell’ennesima manovra recessiva che va incontro alle solite politiche di austerity richieste dall’Unione Europea!
Esattamente come tutte le manovre varate dai governi in questi ultimi venti anni. Ma c’è una differenza rispetto al passato: negli ultimi 20 anni sono state varate finanziarie “lacrime e sangue”, ma gli organi di stampa informavano correttamente i cittadini (rectius: i sudditi) che si trattava di manovre di rigore il cui scopo era quello di tenere i conti in ordine; oggi, in periodi di crisi, si continuano a fare di fatto manovre recessive con l’aggravante che vengono spacciate per manovre espansive!
E in queste condizioni non potrebbe andare diversamente: un Paese che ha perduto la sovranità monetaria e quindi l’indipendenza economica si trova contestualmente sprovvisto anche dell’indipendenza politica.
Il Governo è giocoforza costretto dal vincolo esterno a porre in essere le politiche economiche che piacciono ai padroni (i mercati) e a prendere in giro i sottomessi (gli italiani).
Ci si dimentica sempre più spesso che la spesa pubblica (anche quella c.d. improduttiva e perfino i tanto invisi sprechi!) costituisce pur sempre un reddito per qualcun altro e quindi non è il grande Satana che ci viene propinato, da vent’anni a questa parte, dall’informazione neoliberista.
Diceva Keynes: “Ma non è forse vero che ora ci si sta rendendo conto abbastanza generalmente che la spesa di un uomo è il reddito di un altro uomo? Comunque, questa mi sembra essere la verità fondamentale, che non deve mai essere dimenticata. Ogni volta che qualcuno taglia la sua spesa, sia come individuo, sia come Consiglio Comunale o come Ministero, il mattino successivo sicuramente qualcuno troverà il suo reddito decurtato; e questa non è la fine della storia. Chi si sveglia scoprendo che il suo reddito è stato decurtato o di essere stato licenziato in conseguenza di quel particolare risparmio, è costretto a sua volta a tagliare la sua spesa, che lo voglia o meno”.
In questo senso si giustifica il consiglio, solo apparentemente paradossale, dato dallo stesso Keynes durante la grande depressione secondo il quale sia meglio scavare buche per farle riempire di nuovo piuttosto che lasciare lavoratori disoccupati.
Il governo italiano (residuando in capo ad esso soltanto la leva fiscale) non può nemmeno più garantire che una politica espansiva venga posta in essere attraverso operazioni di tipo monetario o valutario dal momento che tutte le competenze in questo ambito sono state trasferite ad un organismo privato sovranazionale non eletto democraticamente (la BCE). Può anche darsi che Draghi sia tentato di immettere liquidità nel sistema (magari attraverso un piano di Quantitative Easing “puro” che includa l’acquisto di titoli di Stato) nell’impresa disperata di arrestare lo scivolamento deflattivo; ma la Bundesbank tedesca glielo lascerà fare? E a quale prezzo?
A.R.
“Sarebbe interessante che gli imprenditori italiani capissero che uno Stato che svolge propriamente il proprio ruolo garantisce anche la necessaria liquidità, specialmente nei periodi come l’attuale in cui il sistema creditizio privato non può erogare credito come nelle fasi di espansione economica.
Se il settore pubblico viene gestito in pareggio, e cioè la spesa pubblica è coperta con le imposte, il settore pubblico non aggiunge e non toglie una lira di liquidità, si limita a prendere da una parte e a spendere dall’altra; le imprese ottengono liquidità aggiuntiva soltanto dal settore bancario con il conseguente indebitamento. Quando invece c’è un disavanzo nel settore pubblico, finalmente è lo Stato che s’indebita verso la Banca Centrale, con un allargamento della base monetaria, o si indebita verso i risparmiatori, aumentando la velocità di circolazione della moneta.” Prof. Augusto Graziani .
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