La Costituzione come “giusto mezzo” tra totalitarismo e anarchia
In questo post vorrei analizzare la relazione tra due forze contrastanti che agiscono sulla storia umana: l’autorità di uno stato contro la libertà individuale. Per fare questo mi sono servito della lettura del breve saggio di Bertrand Russell, Autorità ed Individuo. Russell l’ha scritto nel 1949 e, nonostante sia ovviamente influenzato dalla cultura etico-politica della fine della seconda guerra mondiale, offre spunti ed analisi molto interessanti e attuali. Inoltre l’autore, proviene da una cultura tecnica anglosassone liberale notevolmente imbevuta della paura del comunismo e degli effetti devastanti delle guerre (non ultimo la bomba atomica). Infatti anche qui si fa ricorso al “mitico” Governo mondiale:
Non si vede limite ai vantaggi delle grandi dimensioni, sia nelle organizzazioni economiche, sia in quelle politiche, se non si tratti dei limiti del pianeta intero.
Poichè la terra è di dimensioni finite, questa tendenza al controllo autoritario completo, se non vi sipone un freno, deve concludersi con la creazione di un solo stato mondiale.
Il patriottismo non avrà nessuna parte da rappresentare nelle faccende del governo mondiale; bisognerà che la forza animatrice venga trovata nell’interesse egoistico e nell’altruismo. Potrà persistere una società simile?
Ma nonostante questa fallacia logica (infatti non è lo Stato in quanto tale che causa le guerre ma piuttosto la vocazione delle sue élite al dominio sovranazionale imperialista), dettata dal tempo in cui ha vissuto, Russell affronta l’argomento con il rigore scientifico che lo caratterizza, individuando i pro e i contro sia diun’autoritarismo soffocante che di un liberismo sfrenato:
La funzione del governo mondiale è quella di impedire la guerra, ed esso dovrebbe avere solo i poteri necessari a questo fine. Non dovrebbe immischiarsi negli affari interni degli stati componenti, In modo analogo, il governo nazionale dovrebbe lasciare il massimo di autorità possibile ai consigli provinciali…
Il mondo è caduto vittima di credo politici dogmatici, dei quali , ai giorni nostri, i più potenti sono il capitalismo e il comunismo. Io non credo che né l’uno né l’altro, in forma dogmatica e non mitigata, offra un mezzo di cura di quei mali che si possono prevenire. Il capitalismo offre possibilità di iniziativa a pochi; il comunismo potrebbe fornire una specie di sicurezza servile a tutti.
Inoltre, in maniera quasi profetica (o forse no?), ci illumina con una visione della società attuale:
Su una gran parte della superficie della Terra, c’è qualcosa che non differisce molto da un ritorno verso l’antico sistema egiziano della regalità divina, controllato da una nuova casta sacerdotale
Le attività economiche su larga scala, in ogni caso, sono determinate da coloro che governano o lo stato o le grandi compagnie. Anche dove nominalmente c’è la democrazia, la parte che un cittadino singolo può sostenere nel controllare la politica che viene seguita è, di solito, infinitesima. In circostanze simili, non è forse meglio dimenticare le faccende pubbliche e, intanto, darsi buon tempo nei limiti che le circostanze lo permettono? (Descrizione di una lettera a lui inviata)
E certo che, nel secolo presente, in parti assai importanti del mondo, abbiamo visto un decadere di valori morali che avevamo ritenuto abbastanza assicurati.
In modo molto graduale, un’economia del denaro ha sostituito un’economia in cui le cose erano prodotte per essere usate dal produttore, e questo cambiamento ha fatto sì che si venisse a considerare beni come cose utili, piuttosto che come gradite o belle. La produzione di massa ha portato questo processo a estremi anche più spinti.
La maggioranza delle persone preferisce adattarsi allo status quo.
Quindi, vedendo come cardine sociale la libertà d’iniziativa (che sia capace di sviluppare a pieno le capacità e le aspirazioni di ogni singolo individuo), capisce però che non può essere illimitata, pena la prevaricazione del forte sul debole e quindi l’utilizzo di un’indebita posizione di vantaggio sociale acquisita a spese della comunità:
C’è una vasta classe intermedia di innovatori delle cui attività non si può sapere in anticipo se i loro effetti saranno buoni o cattivi. Particolarmente in rapporto a questa classe incerta, è necessario insistere sul principio che la libertà di sperimentare è sempre desiderabile.
Se possono venire scelti solo coloro che sono considerati ortodossi nelle controversie di un determinato momento, ben presto il progresso scientifico è destinato a cessare, per dare luogo a un regno scolastico dell’autorità, simile a quello che soffocò la scienza durante tutto il medioevo.
Il solo metodo che rimane disponibile è che lo stato indica esso stesso la gara, e stabilisca un sistema di regole del giuoco, in base al quale dovrà svolgersi la libera concorrenza fra gli ingegni.
In una società altamente organizzata c’è sempre la tendenza ad ostacolare indebitamente le attività di tali individui eccezionali, ma d’altro lato, se la comunità non esercita nessun controllo, la stessa specie di iniziativa individuale che può produrre un innovatore può anche produrre un criminale. È un problema di equilibrio.
Troppa poca libertà porta al ristagno e troppa libertà porta al caos
Se non si vuole che la concorrenza divenga spietata e dannosa, bisogna che la penalità che dovrà pagare il perdente non sia il disastro, come in guerra, o la fame, come nella concorrenza economica non regolata, ma soltanto una perdita di gloria.
La concorrenza deve essere culturale e intellettuale, non economica.
Arrivando a formulare la reale necessità di uno stato che disciplini e controlli l’iniziativa privata, soprattutto quella economica:
È essenziale una misura molto ampia di controllo statale sull’industria e sulla finanza.
La libertà d’impresa, nel senso del laissez faire non è più cosa da augurarsi, ma è estremamente importante che sussista la libertà di iniziativa, e che gli uomini capaci trovino sbocchi per i loro meriti.
Il mondo non può essere stabile né sicuro da grandi guerre finchè persistono disuguaglianze clamorose. Ma il tentativo di porre in essere l’eguaglianza fra le nazioni occidentali e l’Asia sud-orientale con qualunque mezzo che non sia graduale, esaurirebbe la ricchezza delle nazioni più prospere, portandole giù fino al livello delle meno prospere, senza nessun vantaggio apprezzabile per queste ultime.
Infine dà un giudizio che dovrebbe spingere appunto al giusto equilibrio tra autorità ed individuo, negando però i loro effetti esacerbati:
Occorre qualcosa di più elastico e meno rigido, se non si vuole che gli ingegni migliori vengano paralizzati. La maggior somma possibile di potere dovrebbe andare a coloro che veramente s’interessano al lavoro che deve esser fatto.
Non faremo un mondo migliore cercando di rendere docili e timidi gli uomini, ma incitandoli, invece, a essere coraggiosi, avventurosi e impavidi, tranne che nell’infliggere sofferenze al prossimo.
Ora nel leggere questo breve saggio, vedo molte analogie con l’intento dei nostri padri costituenti, in particolare nell’art. 41 della Costituzione Italiana:
“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”
Inoltre nella nostra Costituzione, vedo anche il giusto utilizzo dell’economia e della politica soltanto mezzo per un fine più grande: il progresso sociale, che dovrebbe promuovere la sicurezza, la libertà e la dignità umana.
Quindi la Costituzione ha un fine: nell’evitare il ritorno ai totalitarismi autoritari tramite la forma repubblicana dello Stato e l’equilibrio tra i suoi poteri, garantisce e disciplina la libera iniziativa privata, soprattutto economica, per ottenere quel progresso sociale che ci rende tutti liberi di esprimerci e in grado di vivere una vita degna di essere vissuta.
Mentre Russell faceva queste riflessioni, la nostra Costituzione veniva già alla luce garantendo i principi fondamentali immodificabili da qualsiasi altro ente, anche sovranazionale, che non sia dotato di potere costituente, ossia quel potere che emana direttamente dalla volontà del popolo.
L’uguaglianza è bella in ogni cosa: tali non mi sembrano, invece, né l’eccesso né il difetto (Democrito)
Davide Visigalli
ARS Liguria
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