Il capitalismo assoluto aveva già vinto
Sto leggendo 1997, Dove va l’economia italiana?, a cura di J. Jacobelli, Bari, 1997, con interventi di tutti i piu’ importanti economisti del tempo, da Siro Lombardini a Paolo Sylos Labini e ad Augusto Graziani, da Paolo Savona a Salvatore Vinci.
I migliori mettevano in dubbio o negavano i vantaggi dell’Unione monetaria e riconoscevano che nella volontà di entrare subito nella moneta unica vi fosse un movente “sentimentale”.
Tuttavia, nessuno negava che, se non subito comunque dopo, si dovesse entrare nella moneta unica. Nessuno negava che le economie nazionali dovessero essere più aperte di quanto fossero anzi, sarei incline a pensare, tutti accettavano che dovessero diventare sempre più aperte. Nessuno si preoccupava dei tassi di interesse reali del debito pubblico ma tutti esclusivamente dei tassi nominali (reputati troppo alti). Nessuno si soffermava sulla libera circolazione dei capitali. Nessuno contestava le allora recenti riforme del diritto bancario. Mentre i parametri di Maastricht erano contestati da molti ma soltanto perché assurdi e scientificamente infondati. Nessuno era studioso e sostenitore dell’economia politica nazionale ma tutti erano studiosi e sostenitori dell’economia politica cosmopolita.
In questo quadro, mi risulta davvero difficile rimproverare i politici per la scelta che fecero. In fondo Padova Schioppa era soltanto più lungimirante, perché conosceva l’obiettivo finale, e voleva profondamente ciò che gli altri comunque o desideravano o comunque accettavano, con minori capacità di previsione circa gli esiti del processo che si andava ad avviare.
che la crisi sia anche e soprattutto culturale e antropologica penso sia fuor di dubbio.
ma da qui a scagionare l’ignavia e l’adesione al pensiero unico….
La crisi è soprattutto culturale e antropologica. Ma il trionfo del neoliberismo è frutto diretto della vittoria riportata dal conquistatore anglosassone nella guerra fredda. In assenza di contropoteri in grado di bilanciarne la prepotenza, i satelliti dell’impero hanno dimesso ogni velleità di autonomia e si sono (spesso volenterosamente) trasformati in molecole dell’impero mondiale statunitense e del suo capitalismo di rapina. I concetti di “cosmopolitismo” e “apertura economica” negli anni 90 esprimevano semplicemente l’ansia di saltare sul carro del vincitore di turno (il pensiero è unico perché unico è il vincitore), integrandosi nella sua disgraziata forma di civiltà.