La “sinistra cosmopolita”? E’ fuori dalla realtà
“Mussolini, alle prese con gerarchi che rubavano e soldati che scappavano, aveva giustamente osservato che governare gli italiani è inutile”. A citare in questi termini il duce (in un articolo apparso sul numero di settembre/ottobre di “Alfabeta2”, 32/2013) è, a sorpresa, il filosofo Maurizio Ferraris, già esponente del decostruzionismo e ora teorico del New Realism e della sinistra cosmopolita. Sviluppando dalla premessa mussoliniana un sillogismo piuttosto avventuroso, Ferraris auspica, in evidente polemica con i filo-latini Kojève e Agamben, che i singoli Stati europei cedano gradualmente la propria sovranità per uniformarsi sotto un impero a guida germanica.
Perché, privi per svariate ragioni, non genetiche (per fortuna!) ma storiche, del senso dello Stato, gli Italiani sono tendenzialmente così anarcoidi e individualisti da raggiungere l'eccellenza soltanto come imprenditori del crimine: “la mafia e la 'ndrangheta”, sentenzia ancora il filosofo (forse accanito lettore di Saviano), “sono le uniche multinazionali originate in Italia che funzionino davvero”. Insomma, corrotti come siamo, possiamo coltivare una sola speranza di salvezza: che ci governino gli stranieri. E in tal senso un cancelliere tedesco, Ferraris ne è convinto, farebbe meglio di un politico nostrano.
E' evidente da queste poche battute come la “sinistra cosmopolita” sia nata già morta. Oltre a vellicare pulsioni autodenigratorie tipiche di menti provinciali e culturalmente colonizzate o colonizzabili, essa ha anche la colpa di sottovalutare il determinante peso politico, economico e storico delle singole identità nazionali europee, le cui radici affondano spesso nell'Alto Medioevo. Strano che a un filosofo neo-realista sfugga il carattere ”inemendabile” del progetto unionista, cioè l'impossibilità oggettiva di superare differenze e diffidenze multisecolari sulla base del mero calcolo utilitaristico di perdite e profitti nel contesto, peraltro spiccatamente oligarchico, del mercato mondiale.
Formare il popolo e il super-Stato europei che a tutt'oggi non esistono è un obiettivo surreale, una narrazione ancora chimerica e post-moderna. Di contro, la crisi della sovranità nazionale e il doloroso disagio sociale che le si accompagna sono verità sempre più tangibili.
Marx era uno studioso della questione nazionale, questi sono solamente degli pseudoantagonisti alleati del neoliberismo imperante e livellatore.
Tra l'altro l'Unione Europea non e', ne' sembra stia diventando un Impero germanico nel senso tradizionale del termine, in quanto la Germania non ha nessuna intenzione di addossarsi le responsabilita (difesa, sicurezza ecc.) che erano peculiari degli Imperi veri e propri. Comunque il "filosofo" in questione dovrebbe vergognarsi; sono quelli come lui che hanno sempre rovinato l'Italia.
Silvia,
sono morti viventi, nel senso che le loro idee sono morte; nessuno più le seguirà. Se insistiamo nel contestare, criticare, disprezzare simili filosofie è perché ci interessa il consenso dei molti che da tempo hanno abbandonato il sostegno a questa sinistra. Tutti gli ex qualcosa, a un certo punto, sviluppano un odio per l'entità alla quale sono appartenuti. Noi vogliamo agevolare la nascita e lo sviluppo di questo odio. Vogliamo che quelle centinaia di migliaia di ex (sinistra cosmopolita, buonista, antinazionale, transnazionale) sviluppino un senso di appartenenza al popolo italiano, si sentano parte della nazione, comprendano che se la lotta tra le classi c'è soltanto se quando qualche soggetto collettivo trasforma in lotta quello che è il conflitto oggettivo, al contrario, il conflitto tra Stati è sempre lotta diplomatica, commerciale, geostrategica. Vogliamo anche che essi prendano atto che oltre al tradizionale conflitto capitale/lavoro, che meglio andrebbe chiamato profitto/salario, c'è il conflitto profitto/compenso professionale (che è reddito da lavoro ma non salario), il conflitto profitto/rendita, il conflitto reddito da lavoro/rendita e il conflitto piccolo profitto/grande profitto.
Vogliamo che gli ex militanti e simpatizzanti di sinistra diventino ex sostenitori dell'economia cosmopolita e che capiscano che tutti questi conflitti vanno governati prendendo posizione. La sintesi di queste prese di posizione si esprime nella politica economica nazionale. Tutto ciò che con un accorta politica commerciale, doganale, di vincoli alla circolazione dei capitali si toglie al capitale straniero e ai gestori delle rendite può essere distribuito all'interno della società nazionale. Dunque esistono principi di interesse comune ai lavoratori italiani autonomi e subordinati, compresi i titolari di piccole e medie imprese. Sconfitto l'avversario comune (il grande capitale industriale e il grande capitale finanziario, compresi i gestori del risparmio altrui), è più facile trovare un giusto equilibrio interno.
Se Ferraris auspica un governo tedesco non ha senso definirlo “cosmopolita” , se mai filotedesco o qualcosa di simile . Ancor più assurdo è contrapporlo a Kojève e Agamben che , questi sì , in realtà hanno sviluppato filosofie e aspirazioni cosmopolite .
Concludo con qualche consiglio di buona lettura ( non richiesto , lo so , ma mi rivolgo all’ incolpevole lettore che è costretto alla violenza di vedere scritte su questo blog indecenti mostruosità reazionarie tipo “l’identità delle nazioni affonda le sue radici nell’Alto Medioevo” ) :
“L’invenzione della tradizione “ di Hobsbawm e Ranger
“Nazione e nazionalismi dal 1780 . Programma , mito , realtà” sempre di Hobsbawm ;
“Comunità Immaginate” di Anderson ;
“Nazioni e Nazionalismo” di Gelner ;
“la nazionalizzazione delle masse” di Mosse
Tania,
intanto dovresti spiegarlo a Ferraris, che ha scritto un articolo intitolato "Per una sinistra cosmopolita": http://www.alfabeta2.it/2013/09/10/sommario-alfabeta2-n32-settembreottobre-2013/
Qui trovi la tesi delle origini antichissime dell'idea di nazione. Se ben ricordo Credo che l'autore, professore emerito, sia allievo di Gelner: http://books.google.it/books/about/Le_origini_culturali_delle_nazioni.html?id=dMDXSAAACAAJ&redir_esc=y
L'idea di nazione magari non nasce nell'alto medioevo (comunque a me hanno insegnato che l'alto medioevo finisce nel 1492; qui ho trovato un riferimento importante: http://www.treccani.it/enciclopedia/ernesto-sestan_%28Enciclopedia-Italiana%29/) ma, se non si vuole accettare la data del 1492 e si crede di dover retrodatare la fine dell'alto medio evo, poco dopo, se è vero che per Francesco De Santis Machiavelli era profeta dell'idea di nazione e fondatore dei tempi moderni.
Di mostruosa c'è soltanto la tua (parziale ma buona) erudizione, sprecata, compressa, umiliata nel tuo schemino livoroso ormai fuori dalla storia.
Stefano ,
Dubito che qualche insegnante ti abbia detto che l'Alto Medioevo finisca nel 1492 ; piuttosto sospetto che tu abbia capito male . L'Alto Medioevo si riferisce ai seicento anni che vanno dal V fino al X e anche all'XI secolo ( all'interno del quale si ritaglia poi un'età tardo antica che va fin dal III al V-VI ) .
Per il resto la mia critica non era riferita all'articolo di Ferraris , che per altro non avevo letto , ma alle argomentazioni dell'articolista del tuo blog .
Poi Macchiavelli non è fondatore dei tempi moderni : Macchiavelli ha l'enorme merito di rompere con l'ordine dell'essere fondato sull'auctoritas cristianae , ed è quindi senz'altro un innovatore , ma il suo sguardo è ancora rivolto al premoderno . Con Hobbes inziano ad entrare nella razionalità del moderno .
L'idea di nazione , in senso moderno , iniza ad essere inventata , e costruita , tra 'Sette-'Ottocento e gli autori che ho citato ( ai quali ovviamente occorrerebbe aggiungere Hanna Arendt , Etienne Balibar eccetera ) hanno sancito la parola definitiva sulle sciocchezze reazionarie dei nazionalisti .
Mi scuso per il "livore" espresso nel commento precedente .
Tania,
mi scuso per aver parlato del basso medioevo in luogo dell'alto medioevo. Ovviamente, come si capisce da ciò che ho scritto, mi riferivo alla fine del medioevo. In ogni caso sarebbe da leggere Sestan per verificare quali fonti allega, visto che egli si riferisce proprio all'alto medioevo.
Sull'idea di nazione ho pubblicato tre post di quello che è stato il maggior storico italiano della prima metà dell'ottocento, il quale sulle origini sostiene la tua tesi, che poi è la più diffusa.
Coloro che sostennero per primi l'idea di nazione non possono per definizione essere reazionari, visto che sostennero un'idea nuova, volta a contrastare il vecchio diritto pubblico europeo, astratto e generalizzante. Quando si passò all'azione, si trattò di romantici: gente benestante pronta a morire per un'idea. Quindi niente di reazionario. Era l'ideologia della borghesia contro clero e nobiltà: che può esserci di reazionario?
Ma da lungo tempo l'idea di nazione si è incarnata nella storia. Non abbiamo altro che stati nazione, plurietnici (Russia, ex unione sovietica, ex Jugoslavia, ex iraq) o senza alcuna etnia (escluse le chiare minoranze), bensì con una cultura, una lingua, una costituzione, spesso una religione, una storia di resistenza ad aggressioni esterne o di liberazione dal potere degli imperi o di aggregazione anche mediante conquista, una scuola pubblica che diffonde e impone quella lingua, quella storia e quella cultura, una tradizione amministrativa.
Gli Stati nazione sono un dato. Sono il risultato di quella idea e delle lotte che l'hanno inverata nella storia.
Si può credere, astrattamente, che siano meglio le città Stato o gli Stati-contea; ma soltanto se si pensa che essi reagirebbero meglio alle tendenze astrattizzanti e generalizzatrici, che non sono "tendenze" culturali, ma forze materiali messe in campo dai potenti. A mio avviso è meglio uno Stato nazionale che persegue il localismo, che non città stato o stati contea.
Si può credere che sia preferibile un mega-stato, somma, non mescolamento, di più Stati nazionali; ma soltanto se si persegue qualche imperialismo. E in ogni caso il mega stato si costruisce soltanto con guerre di conquista o a rischio di lunghe guerre civili.
Non si può credere, quando si è intelligenti, salvo che si sia offuscati (ed è il tuo caso, a mio avviso), che si possa costituire una organizzazione mondiale o che si possano distruggere gli Stati (mega-stati, stati nazionali, città stato o Stati contea) sostituendoli con il nulla o l'anarchia o qualcosa di indefinito denominato comunismo. Chiunque persegue questi obiettivi fa il gioco degli imperi e del grande capitale.
E' l'avversione all'idea di Stato nazione che è assurda (Stato che eventualmente è plurietnico; ma a decidere sul carattere dello Stato è la storia, non il desiderio di Tizio o Caio). E' come essere avversi alle sedie, ai tavolini, alla caffettiera, alle case e alle strade. L'avverrsione all'idea di nazione è invece fuori dalla storia e fuori tempo massimo, visto che l'idea di nazione si è inverata ovunque è stato nacessario per costituire lo Stato. Oggi esistono soltanto la lotta fra Stati nazione e la pace fra Stati nazione; stati nazione molto ingiusti nella dìstribuzione della ricchezza e Stati più giusti; Stati nazione governati male, senza sviluppare fierezza nel popolo, e perciò destinati ad estinguersi; e Stati nazione governati bene; stati nazione con vocazione imperiale; Stati nazione con vocazione all'indipendenza e alla resistenza; e Stati nazione sudditi (Stati satellite).
Mentre sotto altri profili abbiamo semplicemente punti di vista differenti e magari anche valori differenti, la tua negazione o contestazione dello stato nazione mi appare senza senso.
Stefano
Certo , l’idea di nazione moderna in sé non è reazionaria : come sappiamo rompe definitivamente la società divisa in ceti e quindi , a suo tempo , se mai ha avuto una funzione rivoluzionaria . Reazionario è reificare identità collettive e parlare poi di improbabili “radici” per fissare meglio il racconto mitologico ; è parlare di radici dell’identità nazionale ; è reificare identità collettive e narrarle come se fossero dati di natura ( invece di quel che sono realmente : artifici culturali inventati , imposti , e finalizzati al controllo )
Per quanto mi riguarda , quando penso ai diritti fondamentali quali la salute , l’istruzione , la conoscenza , l’accesso ai beni della vita come l’acqua o l’aria o l’energia pulita eccetera eccetera , non penso che questi diritti debbano appartenere a ciascuno in quanto cittadino di uno Stato ( il concetto di “nazione” non lo prendo nemmeno in considerazione ) . Penso invece che questi diritti gli debbano appartenere in quanto persona , rompendo così la logica dell’istituto della cittadinanza ( logica chiusa ed inevitabilmente escludente , indipendentemente dall’apertura o chiusura di chi applica quell’istituto ) e mettendo in rilievo che quei diritti accampagnano la persona quale che sia il luogo del mondo in cui si trova . Questo vuol dire sottrarre la vita delle persone contemporaneamente alle logiche mercificatrici e alle logiche dei rapporti di forza . In questo caso gli Stati ( senza alcuna identità collettiva inventata , fissata , e sventolata ) ( grandi o piccoli che siano ) avrebbero una mera funzione amministrativa . Ecco direi che questa in estrema sintesi ( ci sarebbe tanto altro , ma non voglio dilungarmi ) è la mia personale prospettiva politica cosmopolita . Non vedo altra prassi anticapitalista all'altezza e non è per nulla “utopica” : ci sono già delle Norme , latenti , che andrebbero in questa direzione .
Sinceramente non credo che io e te siamo avversari/lontani/in disaccordo su tutto ; credo che abbiamo delle idee in comune : senz’altro partiamo dallo stesso presupposto che il neoliberismo sia stato una ormai trentennale grandinata sul mondo ; oppure , aggiungo , mi ricordo di aver letto un tuo articolo sul risparmio che mi è piaciuto molto , eccetera . Quello che ci divide evidentemente è la tua enfasi sulla valore di nazione e probabilmente altro .
Tania,
intanto grazie per la risposta ed il tono. Era un po' di tempo che discutevamo anziché dialogare. Ora devo uscire. Ma riprenderò il discorso.
Tania, un concetto a volta. Reificare:"Reazionario è reificare identità collettive e parlare poi di improbabili “radici” per fissare meglio il racconto mitologico ; è parlare di radici dell’identità nazionale ; è reificare identità collettive e narrarle come se fossero dati di natura ( invece di quel che sono realmente : artifici culturali inventati , imposti , e finalizzati al controllo )".
Reificare entità collettive, come reificare diritti e doveri (li hai mai visti, incontrati o toccati?) è sempre un falso; è un errore logico. Ma qui nessuno reifica identità collettive. Il popolo italiano è una realtà, perché esiste un ordinamento giuridico statale ed esistono milioni di persone che appartengono a quell'ordinamento, lo vogliano o no. Tu sei figlia ti tua madre e tuo padre, questo è vero per la biologia e per il diritto. In certi casi taluno si può dispiacere di essere figlio del padre e della madre ma se è figlio è figlio. Però reificare, se è un errore, non è reazionario. Perché, forse reificare una classe sociale è reazionario?
Fino ad adesso gli Italiani hanno dimostrato in più occasioni di sapersi sacrificare come membri del popolo, mentre ancora non ci sono stati centinaia di migliaia di italiani disposti a sacrificarsi per la classe socio-economica alla quale appartengono. La nazione e la classe sono due concetti: due idee. Che cosa ha a che fare l'operaio che non spende un euro in piaceri minuti, superflui o meno, e rinuncia per anni a fare vacanze pur di far studiare il figlio al quale fa tenere dialoghi con profossori e professionisti, perché lo consiglino e lo stimolino, con l'operaio che si disinteressa degli studi del figlio e magari lo stimola ad andare a lavorare a sedici anni? L'uno ha interesse all'emanazione di alcune norme, probabilmente ha maggior interesse a una certa disciplina della scuola e dell'università anziché all'aumento salariale; l'altro ha tutt'altri interessi politici. L'uno è ceto medio, l'altro è sottoproletario.
Le prime testimonianze scritte delle principali lingue (e dunque nazioni) europee risalgono all'alto medioevo:
Beowulf, poema epico in antico inglese: databile tra il 700 e il 1000
Carme di Ildebrando (Hildebrandslied), poema in antico alto tedesco: circa 830
Giuramento di Strasburgo (Sacramenta Argentariae), in proto-francese e antico-alto tedesco: 842
Sequenza di Sant'Eulalia, inno sacro in proto-francese: circa 882
Placiti cassinesi, in volgare italiano: 960-963
Su Kojève e Agamben “filo-latini”: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/03/15/se-un-impero-latino-prendesse-forma-nel.html
Da leggere (fondamentale per il documento ARS sulla nazione italiana): F. Bruni, Italia, Il Mulino, 2010
Stefano
“Reazionario” vuol dire avere come obbiettivo la lotta all’egualitarismo umanista . Per questo obbiettivo in pratica si eleva ad argomento l’ignoranza : si restaura la mitologia per cancellare la ragione umanista ( durante il congresso di Vienna il sangue blu o l’origne divina della potestas ; durante il fascismo l’Impero Romano ; con il inazionalsocialismo il popolo ariano eccetera ). Oggi ( quindi : una volta quindi accettati i valori laici , una volta accettata l’ignominia delle teorie razziste.. ) il nazionalismo è l’ultima teoria rimasta alla quale può appellarsi l’ideologia reazionaria per questo suo obbiettivo . Salvini e Borghezio , se riusciranno a legittimare un qualche monopolio della violenza fisica e simbolica sulla Padania , daranno il via alla costruzione del popolo padano con tanto di ostentazione delle sue “radici”. Gli esempi analoghi sono infiniti .
L’abbattimento delle classi , l’umanità senza classi , ha palesemente l’obbiettivo opposto .
Tania,
il mio intervento riguardava la reificazione e osservavo: 1) che da parte nostra non c'è alcuna reificazione; 2) che i processi di reificazione sono potenzialmente neutri, ossia invocabili per creare miti "progressisti o "reazionari.
La creazione di un mito può essere utile a uno scopo ma questa è una legge generale. Per esempio, "la storia come perenne lotta di classe" è chiaramente un mito, un mito che per un lungo periodo storico ha generato lotta di classe. I conflitti di classe ci sono sempre stati (trattandosi di conflitti di interesse oggettivi che il pensiero individua agevolmente) ma che le classi siano state perennemente in lotta è falso: i conflitti sono la potenza; la lotta è l'atto. La società schiavistica è durata millenni senza alcuna lotta di classe o quasi. Venendo ad epoche più recenti, nel trentennio neoliberista abbiamo avuto un continuo abbassamento e poi una stagnazione dei salari rispetto alla crescita della produttività e nonostante questo elemento strutturale, la lotta di classe si è dapprima attenuata e poi assopita. E' bastato fare credito, stimolare la gente a consumare anziché risparmiare, promuovere la famiglia con un figlio o senza figli, famiglia che pone meno esigenze di risparmio e di investimenti, perché il proletariato mutasse strada e, anziché recarsi verso il sol dell'avvenire, affollasse i centri commerciali con la carta revolving in tasca. Insomma, il proletariato, se lo fanno consumare di più (ossia impoverire), anche a debito, non fa alcuna lotta: si trastulla nel godimento maggiore rispetto alla passata generazione, senza accorgersi che si sta impoverendo. La droga è droga. Questo è il dato che abbiamo davanti e che sfata il mito.
L'egualitarismo umanista, al di fuori del mito della lotta di classe come dato strutturale contraddetto dalla realtà – realtà che vede il popolo trasformato in pubblico, desideroso di avere i giusti consumi e non la giusta ricchezza, ossia il giusto reddito e il giusto risparmio (con complessivamente meno consumi rispetto al passato) – è semplice "idealismo", che nulla ha a che fare né con il materialismo storico, né con il nostro più concreto e (credo) realistico progetto politico di limitare il potere del capitale, individuando i molteplici conflitti di classe (non c'è soltanto un confitto di classe) e muovendo dal presupposto costituzionale che l'iniziativa economica privata è libera, sia pure con i limiti costituzionalmente stabiliti.
In ogni caso – e qui passo alla "prassi anticapitalista", venendo al punto che ci divide – i conflitti di classe possono essere regolati dal soggetto collettivo, che è lo Stato, o "lasciati al mercato", che poi è un modo specifico per regolarli. La lotta politica, in materia economica, è lotta per una politica del diritto; si tratti delle leggi che in Italia hanno costruito e sviluppato lo stato sociale (e molte altre leggi connesse) oppure dei decreti rivoluzionari firmati da Lenin (la rivoluzione, come lotta armata o presa del palazzo serve a fare i decreti statali!). La lotta politica è statale (e statali sono anche le rivoluzioni: russa, cinese, francese, cubana, ecc. ecc.). Questo è il dato che tu neghi e che ci rende difficile proseguire il diaogo, che invece potrebbe rivelare molti punti di vista in comune. Può trattarsi dello stato nazione, del mega-stato, delle città stato o degli stati contea. Ovviamente la lotta politica in materia economica, in ogni singolo Stato, deve tener conto dei vincoli imposti dalle potenze dominanti, vincoli dai quali i popoli devono liberarsi (volersi liberare), per poter attuare liberamente politiche ispirate al sentimento di giustizia in essi prevalente (e che può anche non coincidere con l'egualitarismo umanista, senza che per questa ragione quel sentimento di giustizia debba essere considerato disumano o anche soltanto reazionario).
Che cosa è accaduto? Che non soltanto il capitale è trans-nazionale ma siccome i capitalisti sono furbi, ottenendo la liberazione della circolazione dei capitali, perseguono la distruzione degli Stati (non di tutti ma di quelli che si fanno distruggere, ciò che accade quando un popolo non si sente più tale e comincia a pensare ad altre aggregazioni territoriali: annessioni, secessioni, fusioni; o anche soltanto accettazione di voncoli esterni come necessità dovuta alla propria pretesa pochezza). Per reagire a questo fenomeno – che non soltanto è causa di ingiustizie e di crisi ma anche di antiumanesimo e di nichilismo, perché i popoli perdono anche l'astratta possibilità di progettare la civiltà che amano e che saprebbero costruire – non si può che risvegliare nei ceti bassi e medi, ossia nella maggioranza del popolo italiano, un senso di fierezza, perché le grandi sfide richiedono fierezza. Questo senso di fierezza è l'opposto di ciò che il sistema mediatico capitalista diffonde (siamo corrotti, incapaci, pieni di parassiti, improduttivi, il risorgimento è un mito ed è stato merito degli stranieri; l'italietta liberale un nulla; il fascismo non ha alcun merito, nemmeno quello di aver totalmente soppresso la rendita finanziare e vietato la speculazione; la resistenza è stata militarmente inutile, composta in gran parte da antidemocratici; la Costituzione non è stata mai attuata ed è vecchia). Invece ci sono nel passato del popolo italiano, oltre a episodi che denotano limiti e difetti, elementi di grande valore, che vanno ripresi, non dico per creare un mito, ma appunto per rigenerare fierezza, senza la quale si è schiavi: il volontarismo risorgimentale; la capacità di sacrificio e di martirio di decine di migliaia di rivoluzionari borghesi e in parte del popolo; la Repubblica Romana, con la sua innovativa costituzione, anticipatrice della Costituzione italiana; l'unità e la capacità di sacrificio mostrata da centinaia di migliaia di italiani nella prima guerra mondiale; la legislazione fascista sulla finanza e sulla circolazione dei capitali che stroncò la rendita finanziaria e andrebbe ripresa interamente o quasi; la straordinaria tecnica normativa dei codici, per niente o poco fascisti nei contenuti (almeno quello civile e quello di procedura civile); la resistenza; l'esperienza della costituente e la Costituzione; alcune leggi di attuazione della costituzione; l'esperienza della RAI fino all'avvento della televisione commerciale, che osteggiammo più di ogni altro popolo occidentale; magari anche l'istituto delle partecipazioni statali, che deve almeno essere studiato e conosciuto; e perché no, il semi-professionismo nello sport.
Se il popolo italiano, che vuol dire dapprima una avanguardia e poi, conquistata l'egemonia (ma potrebbe volerci un decennio o forse più) la maggioranza dei ceti medi e bassi, si crederà erede e continuatore di quella storia, allora potremo costruire qualcosa di buono o di giusto, e sarà la storia – e l'egemonia all'interno degli egemoni – a stabilire che cosa. Altrimenti, non c'è altro destino che la soggezione al potere del capitale, la precarietà di lavoro e di vita, l'impoverimento dei ceti medi, la deindustrializzazione, l'emigrazione, al più una nuova bolla del credito al consumo in qualche periodo di "ripresa" economica e la mercificazione totale.
Dunque fierezza si; nessun timore di creare un mito se ci dà forza per la liberazione; nessuna concezione reificata della nazione; e niente di reazionario, se non nel senso letterale del termine: siccome siamo tornati in pieno ottocento, è necessario guardare a ciò che avevamo costruito, prenderne atto, andarne fieri e reagire. In questo senso letterale mi sento effettivamente reazionario.
Stefano
Ci sono dei passaggi che condivido , altri decisamente no . Mi dispiace se sembrerò apparentemente netta , perentoria , ma sono costretta ad essere breve perché non ho molto tempo ( avremo altre occasioni per approfondire ) .
Solamente circa le tue conclusioni .. In generale la “fierezza” in sé non è un sentimento che apprezzo : a maggior ragione se riguarda una casualità come il dominio borghese , legale e simbolico , del luogo in cui sono nata . In ogni caso devo dire che mi sento molto più vicina a qualsiasi Michel , Carmelita , Muhammad , Saida , Annah , Luis , Elizabeth , Asako , Kwame eccetera , dalle cui vite viene sottratto il plus valore che ci permette di vivere , che non ad un qualsiasi piccolo o medio borghesuccio italiano .
Rispondo alla sig.ra Tania, la quale sembra confermare l’ipotesi contenuta nel titolo dell’articolo.
“quando penso ai diritti fondamentali quali la salute , l’istruzione , la conoscenza , l’accesso ai beni della vita come l’acqua o l’aria o l’energia pulita eccetera eccetera , non penso che questi diritti debbano appartenere a ciascuno in quanto cittadino di uno Stato (il concetto di “nazione” non lo prendo nemmeno in considerazione). Penso invece che questi diritti gli debbano appartenere in quanto persona, rompendo così la logica dell’istituto della cittadinanza (logica chiusa ed inevitabilmente escludente, indipendentemente dall’apertura o chiusura di chi applica quell’istituto) e mettendo in rilievo che quei diritti accampagnano la persona quale che sia il luogo del mondo in cui si trova. Questo vuol dire sottrarre la vita delle persone contemporaneamente alle logiche mercificatrici e alle logiche dei rapporti di forza. In questo caso gli Stati (senza alcuna identità collettiva inventata, fissata, e sventolata) (grandi o piccoli che siano) avrebbero una mera funzione amministrativa.”
I diritti fondamentali cui lei accenna (sanità, istruzione, ma c’è anche diritto al lavoro e previdenza sociale) sono i diritti cosiddetti “sociali”, cioè riconosciuti ad comunità di socii (o alleati) – e non ad una sommatoria di individui – grazie a leggi imposte dagli stessi socii. Questi diritti rappresentano un’evoluzione dei semplici diritti individuali (diritto di impresa, di parola, di stampa ecc.) riconosciuti già con l’istituzione dello stato nazionale cosiddetto “borghese”, in effetti nato per volontà e impulso della classe emergente borghese ottocentesca.
Tuttavia, come è noto, da allora abbiamo avuto un’evoluzione nella coscienza di popolo e, conseguentemente, nello stato di diritto, per cui in seno al vecchio stato nazionale liberale è potuto nascere il moderno stato democratico repubblicano.
Se fossimo rimasti “individui” senza nessuna coscienza di popolo, non saremmo mai pervenuti al patto sociale costituzionale che ha consentito l’incremento e l’evoluzione del ceto medio italiano. Sostenere la necessità di diritti individuali e basta, negando addirittura il concetto stesso di cittadinanza, significa sposare un’ottica filo-globalista e quindi filo-capitalista, promuovendo un ritorno allo stato liberale “borghese” e cancelando il senso stesso della democrazia. Dire che gli stati dovrebbero avere “una mera funzione amministrativa”, di fatto, significa assumere una posizione anti-democratica; significa sottrarre ad una massa – a questo punto – di semplici comparse ogni possibile forma di autodeterminazione.
"Per nazione noi intendiamo l'universalità de' cittadini parlanti la stessa favella, associati, con eguaglianza di diritti politici, all'intento comune di sviluppare e perfezionare progressivamente le forze sociali e l'attività di quelle forze." (Giuseppe Mazzini)
Devo ammettere però una cosa che mi costa molto , sarei sciocca a negarla .
Faccio velocemente una premessa . La nozione di popolo non è certo una realtà sociale originaria e stabile , ma un prodotto malleabile dell'economia-mondo capitalista . Il concetto di classe è una costruzione diversa da quella di popolo , come ben sapevano sia Marx che Weber . Le classi sono cateogorie "oggettive" , cioè categorie analitiche , affermazioni sulle contraddizioni in un sistema storico , e non descrizioni di comunità sociali . Il problema è capire se , e in quali circostanze , possa crearsi una comunità di classe . E' la famosa distinzione dell' "in sé" e "per sé" . Le classi "per sé" sono sempre state entità piuttosto inafferrabili .
Forse la ragione , ed è quello che sarei sciocca a non ammettere , è che fino ad ora ( fino ad ora , quindi non è una legge , stò descrivendo come sono andate le cose per adesso ) è che i "popoli" costituiti hanno corrisposto , benchè in modo palesemente imperfetto , a "classi oggettive" . La conseguenza è stata che un'altissima percentuale di attività politica fondata sulla classe ha assunto nel mondo moderno forma di attività politica fondata sul popolo . Devo ammettere che da più di cento anni la sinistra mondiale è sempre stata travagliata da questo doloroso dilemma : troppo spesso i lavoratori del mondo si sono organizzati in forma di "popolo" . Il fatto è che , fino ad ora , non è esistita attività di classe "per sè" che abbia potuto divergere completamente dall'attività politica a base popolare .
Detto questo , chi sventola "radici" nazionali ,chi sollecita sentimenti nazionalisti eccetera eccetera sarà sempre un mio nemico .
Non avevo letto il commento di Gianluigi Leone , che non condivido e che per altro mi ha fraintesa ( oppure io mi sono spiegata male ) . Ma domani mi devo alzare presto . Alla prossima .
Tania ma è proprio questo l'unico limite che ti imputo, a parte un certo idealismo che nulla ha a che vedere con il materialismo storico al quale credo ti richiami: credere e sostenere che anche noi siamo tuoi nemici. Così ti rifugi in un angolo che nemmeno esiste nella realtà, un angolo mentale. Per il resto non pretendo certo che tu la pensi come noi. Le differenze possono essere tante.
Per esempio, tu magari consideri borghesuccio il titolare di una concessionaria con 11 operai, che guadagna 1000 euro al mese, anche se magari altri 1500 li prende dall'azienda (ma 50.000 ce li ha messi un paio di anni fa e probabilmente non li recupererà mai), quando i dipendenti guadagnano da 1000 euro a 1900. Ma lui lavora 60 ore a settimana almeno. Ed ha vincoli molto maggiori, imposti dalla casa madre, rispetto a quelli che egli impone agli operai (aprire due domeniche al mese, rispettare l'identità visuale – 2000 euro l'anno di bandiere sistematicamente distrutte dal vento: ma le deve issare -, guagni certi se vende un certo numero di autovetture e sfrutta i dipendenti). Oppure soltanto perché un autista è rumeno o marocchino escludi che sia un crumiro. Il tuo è idealismo. Non è nemmeno materialismo sciocco. Un materialista vorrebbe prendere a mazzate alla schiena il camionista rumeno o marocchino che lavora per dodici ore in cambio di una paga da fame, perché si tratta di un crumiro. Per te invece per principio uno straniero non è un crumiro. Il tuo è un pensiero molto catto-idealista-buonista o confindustriale (si trasferisce la ditta in romania e il gioco è fatto). I comunisti, quando erano seri, erano cattivi.
Credo che la migliore prospettiva sovranista sia quella che combatte tanto l'ideologia globalista, che nega radici e identità (cioè in ultima analisi la storia), quanto il particolarismo, che delle radici e dell'identità non vede il carattere plurale, ibrido e in continuo divenire, rimanendo così incatenato al mito di una (inesistente) "purezza delle origini".
Ottimo articolo.
Mi ricorda quando il mio amico Yoss Alcatraz criticava la sinistra di essere passata dal comunismo al cuminismo.
PS:
per chi non lo sapesse il cumino è una spezia originaria del Medio-Oriente. Come dire: mai paragone fu mai eccellente
Beh, fra le molte radici della "specificità" italiana c'è anche quella arabo-islamica: non dimentichiamolo.