La spesa pubblica per interessi (I parte)
Uno sguardo ai dati reali
Con questo breve articolo ho intenzione di intavolare un ragionamento sulla dinamica della spesa pubblica del nostro paese, cercando di argomentare con l’ausilio di dati disponibili da fonti ufficiali.
Spesso e, ahimè, poco volentieri, si sente, in occasione di dibattiti pubblici ed anche dai discorsi della gente comune, l’affermazione che l’attuale situazione debitoria sia un retaggio dei malgoverni e delle spese folli dei nostri padri che sono vissuti al di sopra delle proprie possibilità.
Ora, quel che può esserci di vero in questo ricorrente luogocomune, verrà confrontato con i dati reali, estrapolati da una delle fonti ufficiali disponibili sulla rete, ovvero l’Annual Macroeconomic Database della Commissione Europea.
Il seguente è un grafico va ad analizzare delle componenti della contabilità nazionale, ovvero il saldo primario, che è la differenza tra le entrate totali e la spesa pubblica al netto degli interessi, la spesa per interessi, data dal flusso in uscita dovuto ai rendimenti dei titoli del debito pubblico, ed il rapporto deficit/PIL, dato dalla differenza, tra entrate ed uscite totali, divisa per l’ammontare del prodotto interno lordo.
Prendendo in considerazione il decennio ’80-’90, si può effettivamente constatare che vi sono stati dei deficit considerevoli, anche superiori al 12% del PIL ma, andandone a valutare la componente dovuta agli interessi, se ne può cogliere la sua larga partecipazione. Infatti la spesa a deficit primaria, indicata in blu, solo nel 1981 si è spinta al di sopra dei 5 punti percentuali, mantenendosi, mediamente, a circa il 3% del PIL.
Dalla rappresentazione grafica del decennio successivo, si può cogliere il radicale cambio di tendenza. Il saldo primario pubblico volge in attivo, mantenendo una serie di forti surplus, nel tentativo di controbilanciare una spesa per interessi sempre più elevata, avente raggiunto, quest’ultima, il picco record del 12,6% nel 1993, a causa dei tentativi falliti di mantenere il cambio lira/marco all’interno della banda di oscillazione prevista dallo SME. Dopo l’abbandono di questo vincolo, i tassi poterono via via scendere portando, nel 1999, la spesa per interessi al 6,6% del PIL.
Infine, esaminando il restante arco temporale, 2000 – 2012, si può notare come la pratica della ricerca dell’avanzo primario sia stata mantenuta, sia pur con una certa difficoltà, senza tuttavia riuscire ad arginare l’effetto negativo sulle finanze pubbliche dato dalla spesa per interessi, mantenutasi ad un livello relativamente costante di circa il 5% del PIL.
Riassumendo, con questa tabella, si può fare un veloce confronto delle percentuali medie dei rispettivi saldi:
Periodo | anni | 1980-1989 | 1990-1999 | 2000-2012 |
Saldo primario medio | %PIL | -3,28 | 3,02 | 1,83 |
Deficit medio | %PIL | -10,73 | -7,41 | -3,31 |
Spesa per interessi media | %PIL | 7,45 | 10,44 | 5,14 |
e, con il seguente grafico, evidenziare la quota della componente interessi sul totale della spesa pubblica:
A questo punto, possiamo sviluppare i dati, cumulandone i valori, andando a vedere quanto e per cosa si è effettivamente speso dal 1980 al 2012:
Da quanto risulta, l’attuale indebitamento pubblico, è largamente dovuto alla spesa per il servizio del debito, avendo versato ai creditori, al livello dei prezzi del 2012, 3368 miliardi di euro di interessi. Curiosamente si può notare come il cumulo dei saldi primari porti, alla fine, ad un bilancio positivo di circa 445 miliardi di euro. Per la cronaca, quando lo stato mantiene un saldo primario, non fa altro che drenare dall’economia risorse finanziarie per consegnarle a chi vuole far fruttare i propri risparmi ad un tasso arbitrario, e non investendole in economia reale. Ora, infatti, quanto debba essere il tasso di interesse, che questi risparmi possano percepire, è totalmente determinato dal mercato, contrariamente alla situazione precedente al 1981, anno del famigerato divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro.
In conclusione si può, quindi, affermare che la perdita della capacità governativa di disciplinare il proprio debito, lasciando che i tassi sui titoli di stato venissero determinati dal mercato, assieme ai tentativi di mantenimento di un livello di cambio predeterminato, ha portato la spesa pubblica per interessi a lievitare e finire fuori controllo contribuendo, nel tempo, a generare la situazione attuale.
Nella seconda parte di questo articolo si affronterà la dinamica della spesa pubblica negli anni 70, e si faranno delle considerazioni sulle condizioni di sostenibilità del debito, in relazione all’andamento dell’inflazione e del tasso reale di crescita del PIL.
Per un approfondimento sulla tematica, ovvero a quali strumenti ricorrere per tenere questo genere di spesa sotto controllo, si può far riferimento al seguente articolo: Reprimere la rendita finanziaria ed instaurare un sistema finanziario nazionale.
Antonello Nusca – ARS Abruzzo
La seconda parte è qui.
2 risposte
[…] nei rampanti anni ’80 e il severo giudizio moralistico si basa sulla lettura distorta dell’aumento del debito pubblico di quegli anni e su un prospettiva di osservazione, quella dell’individualismo metodologico, che è propria […]
[…] La prima è qui. […]