Vivere sopra le proprie possibilità: la verità
di GIANLUCA BALDINI (FSI Pescara)
Spesso qualche euroentusiasta si riferisce a un passato non molto remoto nel corso del quale gli italiani avrebbero vissuto sopra le loro possibilità, generando lo sfacelo finanziario che viviamo oggi.
Questo passato di vizi e sperperi è identificato nei rampanti anni ’80 e il severo giudizio moralistico si basa sulla lettura distorta dell’aumento del debito pubblico di quegli anni e su un prospettiva di osservazione, quella dell’individualismo metodologico, che è propria dell’ottica microeconomica.
In sintesi secondo questa visione gli italiani, ebbri di conquiste sociali e con le tasche piene dopo anni di crescita economica, avrebbero portato nell’arco di pochi anni il paese alla rovina permettendosi lussi insostenibili. Prova ne sarebbe il fatto che negli anni ’80 nessuno rinunciava alla vacanza estiva o alla settimana bianca, tutti smaniavano per acquistare l’auto nuova, in tanti si concedevano addirittura il lusso della seconda casa al mare o in montagna.
E tutto ciò limitandoci all’osservazione dei costumi della classe media impiegatizia, per non parlare quindi delle ostentazioni di ricchezza dei cuménda che avevano fatto i soldi con l’impresa di famiglia e non potevano rinunciare alla barchetta, all’orologetto e a pelliccia e collier per la sciùra.
La prospettiva microeconomica, tuttavia, è viziata dalla deformazione che si produce osservando certi fenomeni da una distanza eccessivamente ridotta, esaminando con una lente di ingrandimento il comportamento del singolo e ignorando l’analisi dei dati aggregati. Una differente visuale richiede un allargamento della prospettiva, cioè un allontanamento dall’oggetto di analisi per cogliere il risultato dell’azione dei singoli individui a livello macroeconomico.
Cosa vuol dire “vivere sopra le proprie possibilità”?
In estrema sintesi direi che spendere mese dopo mese più di quanto guadagno, affrontando impegni economici per lussi che non posso permettermi, cioè fare debito per il superfluo, vuol dire vivere sopra le proprie possibilità.
E cosa ci dicono i dati macroeconomici riguardo il risparmio delle famiglie nel periodo in esame?
Ci dicono che le famiglie italiane, negli anni ’80, risparmiavano ancora in media 1/4 del loro reddito. Cioè ogni milione di lire di stipendio riportati a casa, circa 250.000 lire finivano in risparmio. I dati aggregati ci restituiscono allora una fotografia a colori invertiti rispetto a quella proposta dagli “Oscar Giannino” di turno.
Dunque delle due l’una: o questi osservatori sono daltonici e non distinguono il rosso delle uscite dal verde delle entrate, oppure ancora una volta i dati vengono falsificati per fini propagandistici e per impiantare una narrazione fantastica del passato, funzionale ad assumere oggi scelte di politica economica insensate facendo leva sui sensi di colpa della collettività.
Se proseguiamo nell’analisi della dinamica del dato sul tasso di risparmio lordo delle famiglie, vediamo emergere un dato ancor più “sorprendente”.
Il risparmio si è rarefatto progressivamente nel corso degli anni ’90 ed è crollato qualche anno dopo l’adesione alla moneta unica, mentre lievitava in concomitanza il debito privato.
Cioè nel pieno dell’accelerazione del processo di integrazione e con l’adesione all’unione monetaria gli italiani hanno iniziato a fare debiti. L’esatto opposto di quello che la narrazione retorica dei Giannino di cui sopra vorrebbe far credere!
Infatti, se nella storia modificata ad usum degli euroentusiasti l’adesione all’UE prima e all’euro poi ci avrebbero salvato dalla catastrofe e ci avrebbe donato il senno e il senso di responsabilità di cui eravamo evidentemente sprovvisti, nella realtà i passi in avanti nel processo di integrazione hanno comportato un progressivo avvicinamento verso l’orlo di quel precipizio che è stata la crisi del 2009 (risposta europea della crisi USA del 2007 dei mutui subprime).
Gli italiani hanno iniziato a spendere riducendo la quota di risparmio quando la disciplina del credito si è modificata (anni ’90) e hanno accelerato con l’introduzione dell’euro. La disponibilità di moneta a basso costo (con i tassi schiacciati verso lo zero), la disciplina del credito più libera e la promozione del ricorso all’indebitamento scriteriato per l’acquisto di beni di consumo (il “credito al consumo”) ha generato sì un aumento della domanda aggregata che ha sostenuto la crescita dei primi anni ’90 e 2000, ma drogato dal debito privato in aumento.
Ecco perché, per assurdo, chi sostiene che gli italiani abbiano vissuto sopra le proprie possibilità dovrebbe guardare meglio gli aggregati, con una prospettiva macroeconomica, per avere più chiaro il quadro della situazione. A quel punto, però, dovrebbe ammettere che, se lo hanno fatto, se lo abbiamo fatto, cioè se abbiamo cominciato a sfrusciare e a vivere sopra le nostre possibilità, spendendo più di quello che guadagnamo, questo fenomeno è inequivocabilmente imputabile a comportamenti adottati negli ultimi vent’anni, cioè da Maastricht in poi, e in particolare dall’euro in poi.
È l’Unione Europea ad averci indotto a vivere facendo debiti, promuovendo attraverso le liberalizzazioni il ricorso al credito al consumo senza vincoli, e con l’euro questa tendenza si è sorprendentemente accentuata con un effetto illusorio di incremento di ricchezza (in realtà Eurispes certificava il crollo del potere d’acquista già a un anno dall’introduzione della moneta unica) dovuto anche alle “bolle” che si sono generate nei primi anni su mercato mobiliare e immobiliare.
Sono gli europei che hanno vissuto sopra le proprie possibilità, indotti da un sistema che incentiva l’indebitamento, non solo gli italiani, e la crisi dei debiti sovrani (dei cosiddetti PIIGS) è figlia di queste dinamiche. Questa è l’innegabile verità.
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