Individualismo di massa
Un individualista è bene che sia liberale, che abbia, quindi, una concezione dura della vita, che aspiri a fare denaro o ad avere successo, che sia tenace, paziente, che desideri fare gavetta a bottega per 10-15 anni e sappia farla, che sappia tacere, sappia reprimersi, sia cinico. Alla fine, materialisticamente, vivrà bene.
Invece, l’individualismo delle persone comuni è una contraddizione in termini, ha qualcosa di ridicolo e si esprime soltanto nel credito al consumo, nella indisciplina, nella impazienza, nella incapacità di contrarre o rispettare vincoli, nello sciacquare il cervello con la TV, nell’assumere perennemente la posizione di fan senza nemmeno voler un giorno divenire idolo. Le persone comuni devono essere comunitariste e quindi sottoporsi a vincoli stringenti come quelli che accetta il liberale, sebbene ad altri fini.
L’individualismo di massa genera una mentalità da servi, da pavidi – senza che il servilismo e la pavidità siano strumenti per raggiungere un giorno il successo, come sono, invece, per l’individualista liberale – da consumatori, da pigri, da ipocriti, da meschini.
La mentalità dell’individualista di massa è ben espressa dalle quattro “posizioni” politiche che riporto. Esse non sono state sostenute dalla medesima persona, bensì da persone diverse in differenti discussioni sulla mia pagina facebook. Ciò significa che forse ognuno di noi preserva un po’ di dignità e di coerenza. Tuttavia, senza alcun dubbio, se l’ipotetico sostenitore di tutte e quattro le posizioni dovrebbe essere considerato il prototipo dell’individualista di massa, chiunque condivida almeno una delle quattro posizioni, dovrebbe domandarsi se e fino a che punto è stato infettato dall’individualismo di massa.
1) “Di militare in una nuova formazione politica e di concorrere a crearla non mi va ma gli attuali politici andrebbero mandati tutti a casa”.
2) “Che tornino la leva e il servizio civile obbligatori e che mio figlio debba svolgere il servizio militare o civile, sia pure con ferma breve e periodi di richiamo, in modo da rispettare l’insegnamento della “nazione armata” – nessuno è soldato tutti sono soldati – non mi va, anche se so che la Costituzione ne prevede l’obbligatorietà. Per il resto sono per tornare alla Costituzione del 1948″.
3) “Sono a favore di limitazioni notevoli al potere del grande capitale, ma francamente un trattamento fiscale deteriore per i proventi pubblicitari e la impossibilità di dedurre le spese pubblicitarie comporterebbero la riduzione delle trasmissioni delle televisioni generaliste a poche ore al giorno e la decuplicazione dei costi di SKY; e io, da un lato, amo troppo il calcio (o i documentari di storia) per rinunciare alle partite (o ai documentari), dall’altro, la sera mi sento troppo solo, visto che sono separato da mia moglie. Perciò a questa forma di limitazione del grande capitale sono contrario”.
4) “Molte donne sono psicologicamente aggressive con i loro uomini. Ma io nego di avere il dovere di difendere la mia dignità e di annichilire la mia donna (sotto il profilo psicologico, ovviamente, non fisico), se è aggressiva, fino ad estirpare ogni condotta non gentile nei miei confronti: talvolta, quando ero cotto, sono stato succube; talaltra, l’ho mandata a quel paese; la lotta psicologica con la mia donna non la faccio”.
Alcuni amici mi suggeriscono spesso di essere meno severo con i lettori, tenuto conto che sono impegnato con altri in un’azione di aggregazione di sovranisti e che il lettore che si senta punto nell’orgoglio tende a fuggire. Non sono d’accordo. La riconquista della sovranità interiore o psicologica, che implica l’assunzione di doveri di coerenza e di contegni dignitosi, nonché la disponibilità alla lotta e una certa vocazione al sacrificio, è la priorità logica del militante politico sovranista. Un grande partito presuppone un nucleo duro non dico composto da grandi uomini ma almeno da uomini non piccoli, quelli che abbiamo spesso chiamato “i migliori”.
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