Standard per l'Educazione sessuale in Europa
Prima di mettermi a scrivere ho preso un momento di riflessione…durato un mese. Subito dopo aver letto lo “Standard” sull’educazione sessuale, ho avuto un moto di rabbia e di paura. Autentica paura. E le mie reazioni sono state quindi sconclusionate. Ho abbandonato il documento sul desktop del mio pc e mi sono concessa il tempo necessario per decantare le emozioni e ragionare lucidamente.
Nel frattempo la migliore amica di mia figlia quattordicenne è rimasta incinta del fidanzatino quindicenne.
Allora ho ripreso in mano lo Standard e l’ho riletto tutto, questa volta da madre che sa che ci sono ragazzine che considerano il ‘preservativo’ antiestetico e poco funzionale.
Lo Standard è stato approvato dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, e diffuso ai paesi europei per configurarsi come “quadro di riferimento per responsabili delle politiche, autorità scolastiche, sanitarie e specialisti”.
La prefazione e l’introduzione sono lunghe e dettagliate, ed esprimono concetti condivisibili, come l’approccio olistico e non repressivo alla sessualità, volto non solo ad affrontarne gli aspetti negativi (gravidanze precoci e malattie veneree), ma anche gli aspetti positivi che fanno della sessualità un’esperienza fondamentale della natura umana e spirituale.
In 18 mesi di analisi da parte di specialisti di nazioni diverse e con 4 work-shop, è stato stilato il seguente documento che: “Presenta maggiori elementi per la concreta realizzazione dell’educazione sessuale olistica nella scuola, sebbene il presente standard non vuole essere una guida per l’attuazione dei programmi di educazione sessuale”.
A questo punto ci si può chiedere quali siano in Italia i programmi di educazione sessuale. Si cerca, e si scopre che non esistono.
Nei primi anni del secolo scorso era stata avanzata una proposta di legge sull’educazione sessuale a scuola, prontamente bocciata dall’autorità ecclesiastica e dai genitori stessi.
Una più recente proposta – l’unica – risale al 1992, anche questa rivelatasi un buco nell’acqua. Da allora l’argomento ‘educazione sessuale’ non è più stato ripreso, se non in occasione dell’emergenza AIDS: quindi per meri scopi di profilassi.
Continuando a cercare, si può però anche scoprire che in Olanda, dove l’educazione sessuale è stata introdotta fin dai primissimi anni di vita, si registra un minor numero di gravidanze minorili e che in media l’età del primo rapporto è di 17 anni.
È bene a questo punto fare delle valutazioni. Il buon senso impone di non essere contrari a un protocollo d’intesa che tuteli anche a scuola il processo di evoluzione della personalità in tutte le sue componenti, ivi compresa quella sessuale, ma sempre il buon senso impone prudenza e attenzione al fatto che questo protocollo, questo “Standard”, possa non essere necessariamente preceduto e sostenuto da una formazione specifica del corpo docente, dall’istituzione di organi di controllo, dalla creazione di supporti psicologici a chi sarà investito di tale responsabilità. Non è rassicurante che questa necessarietà non sia ritenuta imprescindibile nello “Standard”. E l’allarme cresce se si pensa all’effetto che possa avere sui nostri figli un tipo di “educazione” lasciata al totale arbitrio di chi la impartisce.
Come si evince dalla citazione precedente, il protocollo è uno ‘Standard’, non una ‘Guida’, eppure il testo, così prosegue: “L’attuazione dell’educazione sessuale deve essere assicurata da diversi organismi, ad esempio dallo stesso istituto scolastico e anche dalle Istituzioni vigilanti. È necessario provvedere a luoghi, tempi e personale formato affinché l’educazione sessuale venga effettivamente realizzata. Tuttavia se mancano, l’educazione sessuale può comunque essere realizzata. Idealmente gli insegnanti di educazione sessuale (ovvero tutti gli insegnanti perché l’educazione sessuale viene definita, nel testo, multidisciplinare e quindi affidata a più insegnanti. N.d.R) dovrebbero aver ricevuto una formazione specifica. La mancanza di educatori con formazione specifica non deve essere usata come pretesto per non realizzare l’educazione sessuale: questa va comunque introdotta mentre si provvede alla formazione degli insegnanti”.
Quindi in parole povere si sta chiedendo ai genitori di accettare che degli insegnanti, loro malgrado impreparati, non ancora sottoposti a nessun esame d’idoneità psicologica, insegnino ai propri figli -fin dall’asilo- a comprendere e vivere la propria sessualità, e nondimeno si pretende la cieca fiducia dei genitori nei riguardi di questi insegnanti, perché tanto, nel frattempo, hanno l’opportunità di formarsi! Come chiedere a un malato di farsi curare da uno studente di medicina al primo anno: e se sbaglia? Pazienza: prima o poi, tra un morto e l’altro, imparerà e non sbaglierà più! Come chiedere di guidare a chi non ha la patente! ma sì, diamogliela lo stesso: tanto sulla strada, tra un incidente e l’altro, prima o poi imparerà!
È chiaro che nessuno di noi si farebbe curare da uno studente di medicina e nessuno di noi darebbe mai la patente a chi non ha rigorosamente studiato teoria e pratica a scuolaguida. Perché dunque si dovrebbe accettare senza riserve che insegnanti senza formazione insegnino alcunché ai nostri figli, a maggior ragione quando la “materia d’insegnamento” è così delicata e può avere conseguenze devastanti sul futuro sviluppo dei nostri figli? E soprattutto: chi dovrebbe formare gli insegnanti se ancora non esistono organi di controllo e di formazione?
Quindi dovrebbe essere proprio la Scuola, come Istituzione garante dell’educazione dei ragazzi, a pretendere dalle autorità competenti i programmi di formazione specifica per i suoi insegnanti, in modo da poter assolvere il delicato compito secondo modelli consoni alla tutela della salute psicofisica dei ragazzi.
Ma trattare temi che, come questo protocollo, abbiano in qualche modo implicazioni culturali e/o religiose, può risultare ostico per le Istituzioni, soprattutto quelle scolastiche, che devono necessariamente fare mediazione tra le istanze della tradizione e quelle dalla laicità: basti pensare all’insoluta questione del crocifisso nelle aule; o alle problematiche ancora aperte del bullismo o del razzismo.
Pregiudizi di varia natura, con il loro corredo di pudori e di timori da un lato, e di ostentazioni e invadenze dall’altro, farciscono il tessuto sociale, e gli insegnanti – che di questo tessuto fanno parte – non ne sono esenti. Come possiamo dunque sperare che senza una formazione specifica, qualunque insegnante possa far comprendere nei modi più consoni e sani l’importanza della masturbazione precoce a un bambino di 4 anni? o che possa essere in grado di far ‘giocare al dottore’, senza inibizioni ma anche senza forzature, bambini dell’asilo non solo di sesso diverso, ma anche dello stesso sesso? che sappia discriminare il limite tra conoscenza e riservatezza, tra esplorazione e violazione, nel “gioco del dottore”?
È chiaro che la formazione degli insegnanti, mai come nella fattispecie di questi temi educativi, deve essere prioritaria. Tuttavia il dubbio sulla sua concretizzazione, permane: in un intero secolo i governi non sono riusciti a creare nessun programma di educazione sessuale e oggi, stilando uno standard in soli 18 mesi, chiunque potrebbe improvvisamente essere abilitato al ruolo di educatore sessuale?
Lo standard recita: “Il ruolo, le concezioni e la formazione degli educatori, come pure il quadro strutturale in cui operano, sono di estrema importanza per un’educazione sessuale di qualità”. E ancora: “Educatori competenti necessitano di una formazione in educazione sessuale, così come di un’apertura mentale per la materia e una forte motivazione: devono credere fermamente nei principi dell’educazione sessuale sopra menzionata”.
Focalizziamo per un attimo le parole usate nello standard: necessitano, devono, estrema importanza. Sono tutti termini significativi, precisi, esigenti, che però cozzano contro l’estrema aleatorietà della frase: “La mancanza di formazione non deve essere una scusa per non fare educazione sessuale”.
È imbarazzante trovare la parola “scusa” allineata a quella di “mancanza di formazione”. La mancanza di formazione dovrebbe invece essere la “motivazione” per stilare programmi precisi di formazione, non per buttare allo sbaraglio chiunque.
Oppure si deve pensare che gli errori che verrebbero sicuramente commessi a discapito dei bambini siano un giusto scotto da pagare per formare i docenti sul campo, risparmiando soldi e tempo?
Lo Standard poi prosegue schematizzando le pratiche di educazione sessuale in base all’età dello studente, ma tacendo ancora sulle modalità e gli approcci.
Per esempio da zero a 4 anni di età, lo schema prevede di affrontare molti argomenti tra i quali masturbazione infantile precoce, scoperta della sessualità sia etero- sia omo-sessuale, igiene del corpo (come lavarsi le diverse parti del corpo), gravidanza e nascita, diversi modi per essere figlio all’interno della famiglia e molti altri argomenti delicatissimi e di estrema importanza, la cui gestione verrebbe sottratta alla sfera familiare.
Decidere aprioristicamente ed arbitrariamente che la famiglia non sia all’altezza di impartire queste norme educative ai propri figli, non solo non è corretto ma è anche controproducente per l’Istituzione stessa della famiglia, che si vedrebbe screditata in buona parte delle sue funzioni, non solo in quelle strettamente inerenti l’igiene sessuale.
Purtroppo in nessun punto dello Standard è previsto un intervento della famiglia o un sostegno alla stessa – lì dove necessario – per costituire il tanto decantato patto educativo tra le due maggiori istituzioni deputate al sano sviluppo del bambino: scuola e famiglia. Di più: lo Standard, ignorando di fatto la corresponsabilità partecipativa della famiglia, non prende in considerazione neppure l’inevitabile conflitto che si innescherebbe tra le due istituzioni, a tutto svantaggio del bambino.
Un conflitto che deriverebbe delle lacune procedurali e di metodo inerenti allo Standard: se non vi sono adeguate indicazioni e spiegazioni inerenti al metodo di insegnamento, la confusione, non solo tra insegnante e insegnante, ma anche tra famiglia e insegnanti, rischia di creare ulteriori osteggiamenti al fronte educativo sessuale, andando a rinforzare, anziché estinguere, pregiudizi, pudori e timori che ogni retroterra culturale porta con sé.
Ma rimane il fatto che potrebbe crearsi un ulteriore, e forse inestricabile nodo programmatico: se è vero com’è vero che lo Standard non è una guida, andare a enucleare metodi e indicazioni, rischia di farlo diventare tale. E in questo caso quale sarebbe il limite tra coercizione educativa e libertà interiore dello sviluppo di ognuno? Insomma, questo protocollo in quanto Standard può comportare il rischio di confusione e fallacia di metodo, e in quanto Guida, può comportare il rischio di intrusiva e dannosa invadenza dell’intimità. Oltre ai conflitti tra istituzioni di cui si accennava prima, e che a loro volta comporterebbero il rischio di denuclearizzare la società, deprivando la famiglia di buona parte del suo ruolo sociale.
Forse, a conti fatti, 18 mesi per stilare un programma di educazione sessuale, sono un po’ pochini…
Lo Standard, con le opportune puntualizzazioni, potrebbe fornire un ottimo spunto per creare all’interno della famiglia un incontro culturale tra figli e genitori, e potrebbe altresì offrire un’ottima opportunità anche per gli adulti – genitori e insegnanti – per interrogarsi in modo più consapevole sul tema della sessualità. Solo nella piena sinergia tra scuola e famiglia, l’educazione trova il suo completo e armonioso compimento.
Tutto questo prevede un forte investimento dello Stato prima verso le famiglie e poi verso la scuola, richiede la forte motivazione ad affrontare l’educazione sessuale verso una direzione che non sia solo l’evitamento delle gravidanze minorili o della trasmissione delle malattie veneree, ma anche di arricchimento della personalità e della vita stessa di ognuno, così come lo stesso Standard si prefigge.
È vero infatti che oggi di sessualità si parla poco e spesso male, con il risultato che i ragazzi tendono a coprire queste lacune di conoscenza con sistemi di informazione affidati al web, a riviste, al “sentito dire”. Quindi uno Standard informativo che faccia finalmente chiarezza su questi temi, sarà di supporto sia ai ragazzi, sia alle famiglie, sia alla scuola.
Ma occorre che lo Standard trovi reciproca condivisione tra scuola e famiglie e una formazione adeguata degli insegnanti.
Altrimenti chi potrà rassicurare l’ansia dei genitori quando di ritorno dall’asilo, il proprio figlio parlerà di masturbazione o del “gioco del dottore” fatto con l’amichetto?
Quindi lo Standard non deve essere un’imposizione generica, di un astratto Ufficio Europeo, lontano dalla conoscenza e dalla comprensione della realtà locale di ogni Stato, in cui lo Standard sarebbe giusto convivesse, piuttosto che travalicare famiglia e cultura.
Un’imposizione, peraltro, secondo cui la formazione è un optional, e dove al contrario, la velocità è lo strumento, e l’omologazione sociale spersonalizzante, l’obiettivo.
Ivana Viazzi e Lucia Biasco
Si tratta di un caso tipico di potere leggero, culturale, di indirizzo.
Un potere che vuole essere esercitato con fretta: inserite l’educazione sessuale e non mettete la scusa che non avete ancora docenti preparati.
“Per esempio da zero a 4 anni di età, lo schema prevede di affrontare molti argomenti tra i quali masturbazione infantile precoce, scoperta della sessualità sia etero- sia omo-sessuale, igiene del corpo (come lavarsi le diverse parti del corpo), gravidanza e nascita, diversi modi per essere figlio all’interno della famiglia e molti altri argomenti delicatissimi e di estrema importanza, la cui gestione verrebbe sottratta alla sfera familiare”.
Personalmente non ho parlato di queste cose con i miei figli che hanno già 5 anni, non gliene parlerò e sorrido, nel migliore dei casi, di chi ne abbia parlato ai figli. Se venisse introdotta l’educazione sessuale nella scuola pubblica, farei ulteriori sacrifici, lavorerei di più, magari abbandonerei il progetto dell’ARS per la necessità di lavorare di più, vivrei in una casa più piccola, insomma guadagnerei e risparmierei, sacrificando tutto ma proprio tutto, per poter pagare una scuola privata dove mandare i miei figli e dove non si impartisca l’educazione sessuale. Anzi cercherei docenti e imprenditori per creare una scuola privata di valore dove (tra l’altro) non si insegni l’educazione sessuale: è meglio che a salvarsi siano in pochi,piuttosto che non si salvi nessuno. Poi, almeno, si ricomincia e comunque, nel frattempo, resta la speranza.
Non voglio scoraggiarla, ma purtroppo e’ facile che prima o poi anche le scuole private siano costrette ad applicare le direttive europee e quindi a introdurre questi insegnamenti.
Si appunto…anche l’articolo, nonostante le perplessità che espone, sembra dare per scontato che sia giusto e “naturale” insegnare indiscriminatamente tutto ciò che fa parte della sfera sessuale, opzioni comprese, come fosse un semplice menù fra cui trovare la pietanza giusta. E’ un’aberrazione peggiore, se possibile, della cultura bigotta e repressiva. Ne è l’esatto opposto, il risultato dell’influenza psicologico/psichiatrico/materialista nella cultura umana. Ecco allora che nel nome della “conoscenza” a tutti i costi si uccide l’emozione, la meraviglia, la scoperta, rendendo istituzionale la separazione fra sesso e amore caratteristica della modernità che tanti danni sta facendo. Se questo è il modo politicamente corretto per crescere uomini e donne stiamo freschi, prepariamoci ad un futuro senza amore e legami stabili, un futuro di “scelte” indiscriminate che equivale a nessuna scelta, nessuna vera personalità. Un futuro di uomini consumatori, meccanici, robot.
Faccio presente che sul sito del MIUR , senza non poche difficoltà per arrivarci perchè nascoste , si scopre che le associazioni presso cui gli insegnanti dovrebbero ricevere formazione sono tutte lgbt. sarà un caso ?