di Giuliana Nerla dell’ARS Marche
Matteo Renzi, fedele alla sua linea politica iperliberista, ha di recente affermato che “il TTP ha l’appoggio totale e incondizionato del governo Italiano” e che “non è un semplice accordo commerciale come altri, ma è una scelta strategica e culturale per l’UE”. Ne è convinto e non ammette critiche, poco importa se arrivano anche da premi Nobel come Joseph Stiglitz che, in una lectio magistralis di fronte ai gruppi parlamentari della Camera, ha sostenuto che il TTIP “accresce le disuguaglianze sociali, dando profitti a poche compagnie multinazionali a spese dei cittadini … i costi per la salute, l’ambiente, la sicurezza dei cittadini sono enormi … e neppure valutabili, perché è in atto un tentativo di sottrarre il TTIP dal processo democratico”. A conferma di ciò basti osservare come esso sia assente dal dibattito pubblico.
Lo scopo dichiarato del TTIP, accordo UE-USA su commercio e investimenti(Transatlantic Trade and Investment Partnership), è comunque noto a tutti: abbattere le barriere per costruire la più grande area di libero scambio al mondo.
Le barriere da abbattere sono per il 20% tariffarie (dazi e dogane) e per l’80% non tariffarie, ossia consistenti nel nostro sistema di sicurezza alimentare e ambientale.
Gli standard UE si fondano sul principio di precauzione, che impone cautela in caso di decisioni politiche ed economiche su questioni scientificamente controverse; in base a tale principio, di fronte a minacce di danno serio o irreversibile, si adottano misure di prevenzione anche in assenza di certezze scientifiche. Se questo principio venisse superato sfumerebbe gran parte del sistema normativo europeo sulla sostenibilità ambientale. In questo modo, ad esempio, approderebbe anche in Europa il fracking, fratturazione idraulica che sfrutta la pressione di un fluido immesso in uno strato roccioso per liberare il gas naturale intrappolato; tecnica devastante per i suoli sottostanti, le aree vicine e le falde acquifere.
Il sistema UE di sicurezza alimentare si basa sull’etichettatura dei cibi, comprendente tutto il flusso di informazioni raccolte lungo la filiera; secondo il principio “dall’azienda agricola alla forchetta” (farm to fork) ogni passaggio della produzione è monitorato e tracciabile.
Gli USA, invece, garantiscono la sicurezza alimentare a valle, testando il prodotto finale, che può essere vietato solo quando matura un consenso scientifico unanime sulla sua pericolosità e tossicità. In assenza della prova della sua tossicità (naturalmente a carico della vittima) l’alimento resta in commercio. E’ chiaro però che si può dimostrare che un prodotto è nocivo solo dopo un numero elevato di intossicazioni anche mortali, confermate dall’esito di procedimenti giudiziari nei quali le multinazionali sono certamente avvantaggiate, o da ricerche troppo spesso finanziate da chi ha interesse a condizionarle. Ecco che, per fare un esempio, un pollo allevato senza controlli viene reso commestibile lavandolo con dei composti clorinati; questa pratica, al momento vietata in Europa perché tossica, è molto utilizzata negli USA in ragione dei suoi costi molto ridotti.
USA e EU divergono fortemente anche nell’elaborazione e nell’applicazione delle misure SPS (sanitarie e fitosanitarie); riguardo agli OGM, inoltre, la differenza è abissale: in Italia il mangime animale a base di OGM deve essere etichettato con evidenza, oltreoceano non vi è tale obbligo perché comprometterebbe i profitti delle imprese.
Le società multinazionali ritengono le attuali valutazioni di rischio dell’UE gravate da eccessiva burocrazia, e i “camerieri” dei mercati che ci governano (Renzi in primis) usano la solita retorica secondo la quale dovremmo liberarci dal rigore delle nostre procedure per attrarre gli investimenti di queste società! La nostra classe dirigente è brava a giocare con gli equivoci, ma per burocrazia da abbattere, in questo come in altri casi, intende quel sistema di regole che tutelano la nostra sicurezza. I grandi investitori devono muoversi liberamente e senza incomodi, perciò stanno spingendo affinché il TTIP costringa dentro meccanismi deregolati e ademocratici il mercato europeo. Ecco che i mezzi di comunicazione, espressione del pensiero unico neoliberista, parlano di “..costi e ritardi non necessari e dannosi per le imprese..” (parole sentite e risentite, testualmente citate anche da Max Baucus, attuale presidente della Commissione Finanze del Senato Americano); chi ascolta, purtroppo, non sempre capisce che si stanno facendo passare, ingannevolmente, per inutili fardelli, norme irrinunciabili in un mondo equo e sostenibile; senza contare che rinunciarci esporrebbe le nostre imprese agricole dalla concorrenza statunitense.
Il sistema USA, infatti, è sicuramente più economico e semplice per gli investitori, peccato che ad armonizzarsi ad esso ha poco da guadagnarci l’Europa e tantomeno l’Italia (eccetto poche multinazionali, ma si tenga conto che l’economia italiana si regge su piccole e medie imprese). Vedremo crescere le disuguaglianze sociali e ci impoveriremo, come Joseph Stiglitz ha ufficialmente spiegato ai parlamentari italiani, mentre poche compagnie aumenteranno i loro profitti? Purtroppo si, perché deve essere questa, secondo Renzi, la svolta strategica e culturale dell’UE.
Nel quadro non confortante delle esportazioni italiane verso il resto dell’Europa, che nel 2013 hanno registrato un andamento di segno negativo, il settore agro-alimentare rappresenta un’eccezione positiva: + 2,6% i prodotti dell’agricoltura, della silvicoltura e della pesca, e +5,6% prodotti alimentari e bevande.
Vogliamo erodere questa positività? O crediamo di sacrificare un po’ di sicurezza per esportare di più? Ciò non accadrà mai, perché nel TTIP si prevede il principio del “mutuo riconoscimento” tra prodotti dalle indicazioni geografiche autentiche “IG” e i marchi registrati “IG sounding”! Alla luce di ciò chi, in Europa, rifiuterà sdegnato un prosciutto italian style, a prezzo più basso, prodotto in America, per acquistare un prosciutto effettivamente prodotto in Italia?
Mentre in economie emergenti come il Brasile, l’India e la Cina, si moltiplicano le azioni che favoriscono le imprese agricole locali, i nostri “camerieri” accettano i diktat delle multinazionali fregandosene di quanto ci penalizzano, e anziché preoccuparsi di rafforzare le nostre produzioni, ci lasciano invadere da cibi spazzatura a tutto vantaggio di poche multinazionali.
Il TTIP inoltre, in linea con la deriva neoliberista che ci sta distruggendo, spoglia rovinosamente gli stati della loro sovranità. Prevede infatti la creazione di un istituto arbitrale, cioè un tribunale “privato” gestito da avvocati commerciali internazionali, al quale le multinazionali potranno ricorrere ogni volta che leggi o provvedimenti democraticamente assunti dagli stati danneggino i loro interessi, in modo tale da cancellarli. Gli stati non potranno più neanche legiferare a favore della sicurezza dei cittadini, perché rischierebbero di essere pesantemente sanzionati. Altro organismo che garantisce le multinazionali, e lede gravemente la sovranità degli stati, è il Consiglio per la cooperazione sui regolamenti, composto da non meglio definiti tecnici di livello transatlantico, al quale ricorrere, dopo l’approvazione del TTIP, per “armonizzare” le regole e ridisegnarle qualora gravassero troppo su interessi corporativi. In questo modo potrebbero svanire, ad esempio, le prescrizioni che limitano le tossine in grani e granaglie, o quelle contenute nella direttiva Reach (Regulation on Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals) per la chimica sicura che oggi ci proteggono dall’invasione di prodotti farmaceutici potenzialmente nocivi.
Sempre nell’esclusivo interesse dei tanto desiderati investitori, nonostante i molti diritti ai quali abbiamo già rinunciato, sarà necessario aggiustare il nostro mercato del lavoro, ancora troppo poco mobile e liberalizzato in confronto a quello americano! Non vogliamo? Come lamenta Renzi, ci opponiamo al “cambiamento”? Insieme al TTIP avrà anche l’arma di ricatto per farci accettare quest’ulteriore “cambiamento”, perché ci dirà che, altrimenti, le produzioni dei nostri brand saranno delocalizzate negli USA! Molte politiche europee sono state costruite allo scopo di incentivare le cosiddette “riforme strutturali” per demolire i nostri diritti e il nostro welfare! Non sono state dovutamente recepite? Ci penserà il TTIP!
In un certo senso Renzi ha perfettamente ragione: il TTIP “non è un semplice accordo commerciale come altri, ma è una scelta strategica e culturale per l’UE”: è l’abolizione della sovranità dello stato, quindi l’accettazione dello status di colonia, per far posto al libero scambio. L’Unione Europea è l’inizio di questa abolizione, il TTIP è l’esito finale. Non si tratta di una novità assoluta: dal 187o al 1913, nell’età che Ha-Joon Chang chiama della prima globalizzazione, le grandi potenze occidentali hanno obbligato le loro colonie e i paesi comunque dipendenti ad aprirsi alle loro merci, condannandoli quindi al sottosviluppo: in questi quarant’anni il reddito dei paesi dipendenti crebbe dello 0,5 % annuo, quello dei paesi sviluppati tre volte di più. Cosa significhi l’abolizione delle barriere non-tariffarie è ben esemplificato dalla guerra dell’oppio. Per frenare il deflusso dell’argento (allora era la moneta degli scambi internazionali) dall’Inghilterra alla Cina, dovuto al fatto che questa non importava nulla ma esportava tè, i mercanti inglesi presero a esportarvi l’oppio. La lotta dello stato cinese al contrabbando dell’oppio per impedirne gli effetti devastanti sulla società, dal punto di vista del libero scambio, non è che una barriera non-tariffaria. Per sventare il subdolo attacco al sacro principio, gli Inglesi non esitarono a dichiarare guerra alla Cina e a costringerla, col trattato di Nanchino del 1842 a rinunciare a ogni barriera alle importazioni. Peraltro la Cina era dominata dalla dinastia straniera dei Manciù; questa fu più rispettosa della dignità dei Cinesi di quanto lo sia Renzi di quella degli Italiani.