Riscoprire l'importanza dello Stato.
Da un’analisi spicciola sulla recente evoluzione del quadro politico nazionale balza palesemente agli occhi il proliferare di posizioni anti-euro. Non soltanto in partiti minori come Fratelli d’Italia e in partiti che sono sempre meno minori come la Lega, ma anche in frange sempre più consistenti dei partiti dominanti come PD, PDL e M5S.
La fine dell’euro è un processo naturale quanto ineludibile. Non soltanto perché l’unione monetaria dà luogo a contraddizioni, sia economiche che giuridiche, sempre più evidenti ed insostenibili, ma anche perché la storia ci insegna che nessuna unione monetaria è mai sopravvissuta. Sempre più leader di partito acquisiscono, giorno dopo giorno, questa consapevolezza da cui scaturisce l’esigenza, per mera convenienza politica, di cavalcare l’onda lunga dell’insostenibilità tecnica della moneta unica. A questo proposito concordo con l’arguta intuizione del Prof. Stefano D’Andrea quando dice che verosimilmente saranno proprio Renzi o forse Berlusconi, per fini di consenso elettorale, a portare l’Italia fuori dall’euro.
In questo scenario di profonda crisi sarà sempre più facile essere contro l’euro.
Ma se da un lato abbiamo (ed avremo) sempre più partiti anti-euro, premiati dal crescente consenso degli elettori, dall’altro non se ne scorge alcuno che non sia indelebilmente macchiato dal peccato originale di un ancestrale anti-statalismo più o meno latente. Questo è il problema.
Un abbandono dell’euro, senza aver preventivamente recuperato un’ideologia Stato-centrica, avrebbe conseguenze esiziali per il Paese più di quanto non ne abbia la permanenza nell’unione monetaria stessa.
Uscire dall’euro è indispensabile, ma non basta. Cruciale sarà la scelta tra due modalità alternative di gestione dell’abbandono della moneta unica. Ognuna delle quali avrebbe evidentemente risvolti completamente diversi sui gruppi sociali coinvolti.
La prima, purtroppo la più probabile in quanto l’unica contemplata dai partiti esistenti, reifica la visione liberista ed anti-statalista teorizzata da Von Hayek oggi imperante nel vecchio continente, nonché, più in generale, la misantropia ingenerata dalla competizione e sintetizzata così bene dal noto aforisma di hobbsiana memoria “Homo homini lupus”.
Tale modello, di fronte alla rottura dell’attuale regime monetario, si affiderebbe al libero gioco del mercato dei cambi; prevederebbe cioè il ripristino di un sistema di cambi flessibili affidato al libero gioco del mercato. Sarebbe la bengodi degli speculatori con conseguenti acquisizioni estere di capitale italiano facilitate dal deprezzamento della valuta nazionale.
Tutti i partiti oggi esistenti, compresa la Lega, contemplano solamente questo tipo di euroexit-strategy senza prevedere le necessarie “contromisure”. A chi dubitasse ancora delle radici profondamente liberiste, nonché anti-stataliste della Lega, che l’”effetto Salvini” non ha minimamente scalfito (anzi!), vorrei semplicemente ricordare, a proposito della prima caratteristica, che nemmeno l’ultra liberista Ronald Reagan, durante la sua presidenza, riuscì a far approvare la flat tax riproposta oggi in salsa italica proprio dal leader leghista. Per non parlare poi, a proposito della seconda caratteristica, della netta posizione anti-statalista assunta da Salvini nelle recenti vicende, relative ai vigili urbani e ai macchinisti di Roma e agli spazzini di Napoli “assenti” nel giorno di Capodanno, montate mediaticamente ad arte al solo scopo di assestare l’ennesimo attacco ai precordi dello Stato colpendo duramente chi per esso lavora.
La seconda modalità di uscita dall’euro (alternativa alla prima) ha come presupposto la preventiva riscoperta del ruolo chiave dello Stato in un’ottica dirigista. Lo Stato inteso, cioè, come l’unica entità che “superiorem non recognoscens” e in quanto tale il solo che può assurgere al delicatissimo ruolo equilibratore anche, e soprattutto, in materia economica. Innanzi tutto attraverso il riadattamento del ruolo della Banca d’Italia (dall’attuale “ancilla oeconomiae” a “longa manus del Ministero del Tesoro”) al fine di emancipare definitivamente il funzionamento dell’apparato politico-amministrativo dal ricatto dei mercati. In secondo luogo attraverso un controllo da parte dello Stato dei movimenti di capitali a breve e, se necessario, a lungo termine. Solo così si potrà scongiurare il rischio di shopping a buon mercato del capitale nazionale a seguito del ritorno alla valuta statale. Bloccare i movimenti indiscriminati di capitale a caccia di vantaggi fiscali, bassi salari e alti profitti dovrebbe essere tra le priorità dello Stato tornato sovrano. Insieme all’introduzione di misure protezionistiche, non soltanto allo scopo di favorire gli interessi strategici nazionali, ma, soprattutto, al fine di condizionare i movimenti di capitali e di merci al rispetto di determinati standard sociali e del lavoro. In altri termini si introdurrebbero forme di limitazioni agli scambi nei confronti di quei Paesi che riducendo gli standard sociali e salariali interni alimentano la deflazione e la competizione internazionale al ribasso. Per questo un abbandono dell’euro senza il contestuale abbandono dell’unione doganale europea sarebbe del tutto inefficace.
Attenzione: il protezionismo non è una misura anacronistica come molti potrebbero erroneamente pensare.. La Commissione Europea ha registrato che dal 2008 al 2013 sono state rilevate settecento misure protezionistiche in più sui mercati dei capitali e delle merci, adottate non soltanto da Paesi come l’India, la Cina, la Russia…, ma perfino da quello che nell’immaginario collettivo è percepito come il più grande Paese liberista del Mondo (almeno in teoria): gli Stati Uniti d’America! (An passant: gli U.S.A. impongono de facto il libero scambio ai propri Stati satelliti, che potremmo tranquillamente definire –senza ipocrisie- “colonie”, ma risultano tra i Paesi più protezionistici della Terra).
Tale ritorno al protezionismo mette in luce una crisi profonda della globalizzazione dei mercati e a fortiori dell’unione europea.
In un simile contesto lo Stato italiano dovrebbe abbandonare il ruolo di mero esattore delle imposte a cui l’Unione europea lo ha relegato (rendendolo inviso ai cittadini) e tornare a svolgere con pieni poteri le funzioni di garante dei diritti e del benessere sociale degli italiani che la Costituzione del 1948 gli ha attribuito. Lo Stato trova la sua stessa ragion d’essere nella Costituzione primigenia in cui è stato inderogabilmente cristallizzato il sinallagma sociale tra governanti e governati.
A.R.
“Tutti corsero incontro alle catene convinti di assicurarsi la libertà” da il “contratto sociale” di Jean Jacques Rousseau
D’accordo su quasi tutto. Due osservazioni soltanto:
1) Il M5S in questo momento è impegnato nella raccolta di firme per una legge costituzionale di iniziativa popolare che istituirebbe un referendum consultivo sull’uscita dall’euro, sono organizzati banchetti per la raccolta di firme in tutta Italia. L’iniziativa è pubblicizzata con l’ashtag #fuoridall’euro.
Non si tratta quindi di “frange” più o meno consistenti, ma di un impegno globale di tutto il movimento.
2) La seconda strada per uscire dall’euro, quella che Bagnai chiama di “sinistra”, mi sembra non soltanto l’unica possibile ma anche la sola coerente con le posizioni antiglobaliste e protezionistiche assunte regolarmente dal M5S.
…e a proposito degli scambi USA/UE, il TTIP avrebbe l’effetto di un meteorite, sulle PMI e sui prodotti agroalimentari del Belpaese.