Il mito e la redenzione (sovranista)
In questo momento che scrivo, le campane suonano a distesa, e annunziano l’entrata degl’Italiani a Roma. Il potere temporale crolla. E si grida il viva all’unità d’Italia. Sia gloria al Machiavelli.
Francesco De Sanctis, Roma 20 Settembre 1870
In questo post mi voglio soffermare su alcuni spunti che mi ha dato una recente lettura: La redenzione dell’Italia. Saggio sul “Principe” di Machiavelli di Maurizio Viroli, uno dei maggiori studiosi al mondo delle opere del politologo fiorentino.
Al centro della riflessione di Machiavelli stanno il fondatore di Stati e il redentore, afferma Viroli. Appare chiaro come la sua motivazione principale non sia quella di compiacere i signori di Firenze e ottenere un posto di prestigio. La sua povertà prova in modo irrefutabile che dal 1498 al 1512 ha servito la patria con devozione e onestà. Inoltre i Medici avevano instaurato una politica basata sulle conoscenze e i favori, che Machiavelli deplorava. Infatti, egli ammonisce che i modi privati sono incompatibili con il bene comune e dunque distruggono la vita civile e che tra un principato civile fondato sul popolo e un principato civile fondato sui nobili, il primo è molto più sicuro del secondo.
Accertato che Machiavelli non avesse secondi fini nella stesura del suo capolavoro, il Prof. Viroli, tramite lo studio degli scritti dell’epoca, analizza le passioni e i sentimenti dell’uomo:
Amo la patria mia più che l’anima
L’uomo non ha maggiore obligo nella vita sua che con quella… Et veramente colui il quale con l’animo et con l’opera si fa nimico della sua patria, meritatamente si può chiamare parricida, ancora che da quella fussi suto offeso
.. che un uomo che ha avuto quale passione dominante della vita l’amore per la patria, che ha serbato sempre vivo il pensiero della redenzione dell’Italia, abbia scritto un’opera per disegnare e invocare un principe redentore pare un’ipotesi più che ragionevole. L’idea che l’Italia abbia bisogno di un redentore è anzi, con tutta probabilità, l’ispirazione originaria che lo muove a scrivere Il Principe, continua.
Ovviamente sapeva benissimo che la fondazione di nuovi ordini politici è ardua quanto nessun altra ma, aveva la persuasione che, a volte, appaiono sulla scena della storia uomini rari e meravigliosi, che riescono a realizzare grandi cose, quali emancipare un popolo dal dominio straniero, fare rinascere la libertà politica, unire genti divise. Per la loro grandezza e nobiltà d’animo i fondatori generano nei popoli l’obbedienza, l’amore, la devozione necessarie per la loro grande impresa. La politica dei favori non può produrre niente di simile. Il suo argomento ricorrente è che Dio o la fortuna aiutano i redentori e i popoli che vogliono liberarsi; che gli esseri umani sono per buon tratto arbitri dei loro destini; che i tempi sono propizi per il successo di un grande leader politico e che il redentore otterrà gloria perenne, dice Viroli.
Volendo conoscere la virtù di uno spirito italiano, era necessario che la Italia si riducessi ne’ termini presenti, e che la fussi più stiava che li ebrei, più serva ch’è persi, più dispersa che gli ateniesi: sanza capo, sanza ordine, battuta, spogliata, lacera, corsa, e avessi sopportato d’ogni sorte ruina.
Poi elenca le forze politiche che, per Machiavelli, deve avere il redentore per riuscire nell’impresa:
Tre sono dunque le forze politiche sulle quali il redentore del Principe deve poter contare: potenza militare, eloquenza e religione. Infatti, Machiavelli sapeva che ogni Stato, sia esso repubblica o principato, ha bisogno di buone armi. Il redentore deve poter contare su buoni e leali soldati e capitani e, con l’immagine del redentore nella mente, Machiavelli lancia la sua aspra condanna delle truppe mercenarie. Inoltre, capitani e soldati devono essere uomini che hanno timore di Dio, perché:
Come possono coloro che dispregiano Iddio, riverire gli uomini?
Infine, ritiene che la forza militare non dipenda soltanto dal numero dei soldati, dall’ armamento e dalla capacità strategica, ma anche dalla forza della parola.
Per questo che gli eccellenti capitani conveniva che fussono oratori…
Quindi Viroli definisce il tanto contestato realismo (con la separazione tra etica e politica) del fiorentino:
Essere realista non significa essere cauto o audace, ma avere la saggezza di adottare la politica consona ai tempi e alle circostanze. Ma identificare fra le varie narrazioni storiche disponibili le pagine che possono illuminare il presente e intravedere il futuro, è tuttavia opera ardua. Il vero esperto di politica deve essere dunque in grado di identificare le particolari passioni e l’immaginazione dei singoli protagonisti della vita politica, popoli o principi, o gruppi che siano, se vuole formulare previsioni accettabili. Assumere o credere che i principi si comportino, in generale, nel modo più efficace per rafforzare il loro interesse o quello dello Stato è un assurdità che non ha mai attraversato la mente di Machiavelli. Per giudicare bene gli uomini bisogna dunque guardare a quello che fanno, non fidarsi di quel che dicono o mostrano di essere.
Giudicare alli occhi è proprio del volgo; giudicare alle mani è proprio dei saggi
Dove si dilibera al tutto della salute della patria, non vi debbe cadere alcuna considerazione né di giusto né di ingiusto, né di piatoso né di crudele, né di laudabile né d’ignomignioso; anzi, posposto ogni altro rispetto, seguire al tutto quel partito che le salvi la vita e mantenghile la libertà.
La patria per Machiavelli è quindi una divinità, superiore anche alla moralità e alla legge. Quindi solo per il raggiungimento di essa e della libertà del suo popolo era per lui possibile accantonare l’etica. Qui, però incontrava il forte dissenso di uno dei padri fondatori della Patria: Giuseppe Mazzini, che profetizzava l’insuccesso di qualunque nazione costruita sulla menzogna.
Quindi, Machiavelli, realista sui generis, era uno scrittore politico che immaginò per la sua patria una realtà del tutto diversa da quella che aveva sotto gli occhi e cercò con tutte le sue energie di contribuire alla sua nascita. Senza potere politico, senza un esercito, poteva contare soltanto sulla forza delle sue parole. Machiavelli ha creato dunque un mito politico. I miti ispirano e muovono all’azione. Sono forze politiche. Poiché era un vero realista, Machiavelli li crea. Scrive per formare gli animi, per insegnare, per resuscitare modi di vita dimenticati.
Machiavelli era molto incline a creare miti, vale a dire a trarre dalla realtà narrazioni a forti tinte che avevano valore esemplare, e aveva anche la convinzione che la storia e i suoi esempi fossero la migliore fonte di saggezza politica.
Debba uno uomo prudente entrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quegli che sono stati eccellentissimi imitare: acciò che, se la sua virtù non vi arriva almeno ne renda qualche odore.
L’intento principale di Machiavelli fu di dare vita ad un redentore e ad un movimento di redenzione nazionale. Mentre apparentemente istruiva il principe, Machiavelli stava in realtà educando il popolo che sarebbe venuto.
Interessanti poi, i giudizi sull’opera del Machiavelli da parte dei più grandi uomini rivoluzionari. Si va da Hegel, Rousseau, Fichte, per terminare con Alfieri, Manzoni, Chabod, Gramsci, e non sono che alcuni, a dimostrare l’enorme influenza che “ Il Principe” ebbe sui principali movimenti di liberazione nazionale in tutta Europa.
La necessaria idea che per salvare l’Italia bisognasse unificarla in uno Stato. Contro il clamore insensato di una libertà generica la libertà è possibile solo là dove un popolo si è unito, sotto l’egida delle leggi, in uno Stato, afferma Hegel al suo riguardo.
Machiavelli ha scritto per chiunque e per nessuno, tentò di stimolare una nuova volontà collettiva con i soli mezzi che aveva a disposizione e cioè con eserciti di parole, scrive Gramsci.
Sorretto da un amore per la patria uguale a quello dei grandi uomini dell’antichità, Machiavelli non accettava né la morte dell’Italia, né il senso cristiano della rassegnazione. Voleva far sì che l’ideale della risurrezione italiana diventasse un sentimento, una fede capace di spingere il popolo a lottare, a trovare i propri martiri, a vincere le battaglie, a raggiungere i propri obiettivi naturali ed ineluttabili, che tanto meno si mostravano imminenti quanto più vasta e durevole era la loro portata. Mancava però lo spirito religioso. Per il patriota Piero Gobetti, Machiavelli credeva in una religione non più conforto per i deboli ma sicurezza dei forti, non più culto di un’attività trascendente, ma attività nostra, non più fede ma responsabilità.
Machiavelli si fa profeta perché sa che senza pathos profetico, senza rinnovamento morale, senza coscienza civile, il principato, e a maggior ragione la repubblica, rimane utopia, nulla di più di una delle tante repubbliche immaginate.
Qual è, a questo punto, l’insegnamento che lo scrittore fiorentino ci può dare?
Noi sovranisti dobbiamo essere portatori di quel rinnovamento morale, quella coscienza civile, e perché no, anche di quel pathos profetico che da Machiavelli in poi anima i grandi spiriti italiani che credevano e amavano la loro patria anche quando non si vedeva all’orizzonte.
Come ben diceva Vittorio Alfieri, non c’è ragione di credere che ciò che è stato ottenuto dagli uomini del passato non possa essere ottenuto da quelli del presente, soprattutto se la loro terra è la stessa.
Virtù contro a furore
prenderà l’armi, e fia el combatter corto,
che l’antico valore
nelli italici cor non è ancor morto.
Davide Visigalli
ARS – Liguria
Grazie
Mi brucia con orgoglio il petto, Capitano Davide Visigalli.