Ridestare le coscienze per ridestare il Paese
Il vaso è colmo. Non possiamo più permetterci di essere indulgenti con chi non capisce o non vuol capire, con chi chiude gli occhi di fronte alle limpide evidenze della Storia. Ogniqualvolta si tenti di affrontare un discorso, previo apposito e consigliabile corso di autocontrollo, con qualcuno afflitto da completa obnubilazione della mente al fine di aprire, in un ultimo e disperato tentativo di rianimazione, una breccia nel muro della manipolazione che lo ha reso inabile ad un qualunque approccio critico sui fatti che tanto a cuore dovrebbero risultare a noi tutti, sempre il solito atteggiamento traboccante scetticismo, autorazzismo e fideistica fiducia nella provvidenziale mano salvifica dell’efficiente uomo nordico, uno stereotipo ormai francamente insopportabile, oltreché fattualmente mendace e insostenibile. È il momento di invertire le gerarchie, di rifiutare una insensata e aprioristica soggezione al “progressista” sognatore europeista di turno (sognano perché dormono) dovendo, quasi col cappello in mano, richiedere tempo ed attenzione per dimostrare ciò che non richiede più alcuna dimostrazione.
Gli euristi/europeisti/pidiotisti non devono più essere posti in condizione di ergersi a moralizzanti paladini di una politica fallimentare e criminale, capace in pochi anni di radere al suolo conquiste che sono state il risultato secolare di battaglie per i diritti, sofferenze, lotte, vite umane irrimediabilmente offese, irrimediabilmente perdute. Ad essi non deve più esser permesso di mostrare disprezzo per ciò che per i padri della Patria fu il principio guida in ossequio al quale vissero e morirono: la ricerca incessante e tenace della libertà di una Nazione, della libertà e della dignità di un Popolo. Ogni loro parola è un’offesa, una ferita inferta da un pugnale macchiato dal sangue versato a causa dei loro indegni inganni. Costoro devono essere definiti una volta per tutte per quello che sono, ossia dei vergognosi traditori, uomini senza mordente e senza coscienza, ignoranti opportunisti, arroganti verso coloro di cui dovrebbero perorare gli interessi e squallidi galoppini di poteri che quella dignità ambiscono a togliercela per sempre. Non è più il momento delle parole misurate sul terreno a loro favorevole del politicamente corretto – questo sì, campo eminentemente scorretto, teso a silenziare ogni traboccante passione civile – o della pacata opera di convincimento (non si tratta di convincere chi, con sprezzante cecità o infame malafede, non accetta di porre in discussione posizioni palesemente indifendibili). Occorre mettere ognuno di fronte alle proprie responsabilità di uomo, di cittadino, di italiano; perché, quando sarà il momento di ricostruire un Paese devastato dall’esterofilia imperante e dalla totale e prona subordinazione delle classi dirigenti degli ultimi trent’anni a interessi altri che del popolo italiano hanno fatto scientemente carne da macello, ai traditori di cui sopra dovrà essere presentato un conto salato.
Intanto, gli asini festanti ragliano la loro soddisfazione, il “salvifico” Quantitative Easing di Draghi è il loro placebo, ignari o consci che siano che si tratta solo di una momentanea trasfusione di sangue iniettato nel corpo sbagliato, quello delle banche (con effetti praticamente nulli sull’economia reale). Nel contempo, il reuccio di Firenze, twittando allegramente, rivendica (penosamente) il QE sopra citato, la svalutazione dell’euro sul dollaro, il cosiddetto Piano Juncker, la presunta nuova flessibilità sbocciata in seno all’Unione (perdonate la lettera grande, è un segno di rispetto solo per le regole della lingua italiana, non certo per l’istituzione in sé) e altre fantasiose amenità da cabaret come il trionfale portato di quello che si vuol far passare come il “dinamico ed autorevole” semestre italiano alla guida di questo rottame chiamato Unione Europea.
Ribellarsi a questa onta senza fine, a questa oscena e perpetua presa in giro, agendo concretamente in nome della costruzione di una radicale alternativa, appare ormai non solo doveroso, ma impellente e necessario. Il semplice e generico rifiuto dell’esistente, infatti, è un atteggiamento improduttivo se non sorretto da una fattiva trasposizione politica, connotandosi come mera fuga senza assunzione di responsabilità. Occorre pertanto fuoriuscire al più presto dall’orizzonte angusto e soffocante dell’attuale vita politica italiana ed europea, una vita che è lo specchio drammatico di un’epoca dove la coscienza nazionale è stantìa, stanca e quasi svanita, soverchiata da una falsa e formale stabilità su cui poggia quella Unione Europea che è un’istituzione neofeudale, una folle costruzione nei confronti della quale sono da troppo tempo ormai estranei i fieri dissensi e le feroci contese che una volta scuotevano l’anima dei popoli.
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