L'Io Minimo
Tratto dal libro di Christopher Lasch “L’Io minimo”:
“In un’epoca di turbamenti la vita quotidiana diventa un esercizio di sopravvivenza. Gli uomini vivono alla giornata; raramente guardano al passato, perchè temono di essere sopraffatti da una debilitante “nostalgia”, e se volgono l’attenzione al futuro è soltanto per cercare di capire come scampare agli eventi disastrosi che ormai quasi tutti si attendono. In queste condizioni l’identità personale è un lusso, e in un’epoca su cui incombe l’austerità, un lusso disdicevole. L’identità implica una storia personale, amici, una famiglia, il senso d’appartenenza a un luogo. In stato d’assedio l’io si contrae, si riduce a un nucleo difensivo armato contro le avversità. L’equilibrio emotivo richiede un io minimo, non l’io sovrano di ieri.”
Uno dei tanti assurdi di una società compressa sotto il peso di una responsabilità indotta, che spinge l’uomo a un’identità minima, sottile, fragile. Ogni giorno il potere colpevolizza gli individui della fallacia di un sistema disumano, lasciando all’individuo stesso la responsabilità della sua sorte e delle sue sventure: se non hai un lavoro è perchè sei un’incapace!, se non hai una casa e soldi per vivere è perchè non hai voglia di lavorare!, se il paese è indebitato è perchè tu non paghi le tasse!… e così via; non si tratta più di individui in quanto tali, ma di massificazione di una società inetta e incapace. Così nascono i conflitti orizzontali che canalizzano energie verso buchi neri e vi si disperdono, mentre la classe dirigente continua con ogni mezzo, a mantenere il potere.
Credo che per uscire fuori da questo immobilismo psicologico occorra fare un duro lavoro dentro il tessuto sociale riscoprendo l’attivismo volontario che coadiuvi un’azione politica mirata a riscoprire il valore umano della convivialità e del vivere sociale. La ri-appropriazione dell’identità nazionale contro la massificazione della società; la ri-appropriazione della gestione sociale del paese contro l’annientamento dell’individualità sotto il peso di una responsabilità negativa indotta e non reale; la ri-appropriazione della libertà di scelta politica ed economica che permetta una progettazione sul lungo periodo degli obiettivi del paese e del destino dei cittadini.
Ci hanno obbligato in modo cruento a delegare tutto a poteri esterni al paese e le conseguenze sono disastrose. Decidere di riprenderci il paese è un dovere anche verso le nuove generazioni, non è una scelta procrastinabile e aleatoria.
Completamente d’accordo con l’autrice dell’articolo. Di Cristopher Lash consiglio la lettura di “La cultura del narcisismo”: per la mia modesta opinione è un testo fondamentale per comprendere le dinamiche sociali e di costume delle ultime generazioni.