Il dolce suono della parola "Patria"
di ANDREA FRANCESCHELLI (ARS Abruzzo)
Ci sono parole che, nella penombra dell’epoca in cui viviamo, hanno perso la loro bellezza perché ci siamo dimenticati del loro significato.
Siamo distratti dal bombardamento mediatico di stupidaggini e di opinioni conformate ad un isterismo colletivo, che ha come solo ed unico scopo la retrocessione del Popolo a semplice massa di individui inermi, ma ben istruiti ad usare vocaboli solo “politicamente corretti” o, meglio ancora, “politicamente concessi” al tempo della seconda grande globalizzazione, soprattutto per chi si trova nei suoi più remoti avamposti e cioè nell’Unione Europea.
Dimenticarsi il significato di alcune parole si traduce nel non riuscirne più ad apprezzare il valore, la pregnanza, la necessità, che rendono la vita all’altezza di essere vissuta.
La parola Patria rappresenta forse l’emblema di questo processo degenerativo della nostra società. Un processo che si può invertire solo riprendendo il contatto con la realtà e con quella cosa tangibile, concreta e immortale che è la nostra Storia.
Ovviamente bisogna mettersi al riparo dalle vagonate di ignoranza che arrivano da più fronti e cioè dai neoborbonici, dai nostalgici del fascismo e dai sinistrati spinelliani, spinti dall’odio e dall’avversione verso la parola Patria – così come costituzionalmente sancita – e tutti uniti in un fronte comune di utili idioti del capitale finanziario internazionale che non vuole né popoli né patrie né frontiere per potere allungare a proprio piacimento i suoi tentacoli di egemonia antidemocratica.
Che nella nostra Costituzione sia confluito lo spirito patriottico del Risorgimento e della Resistenza è un dato di fatto oltre che una evidenza sottolineata da Calamandrei in uno splendido discorso del 1955 di cui riporto un passo:
“Ora vedete- io ho poco altro da dirvi-, in questa Costituzione, di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli. E a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane. Quando io leggo nell’art. 2, ”l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, o quando leggo, nell’art. 11, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, la patria italiana in mezzo alle alte patrie, dico: ma questo è Mazzini; o quando io leggo, nell’art. 8, “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”, ma questo è Cavour; quando io leggo, nell’art. 5, “la Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali”, ma questo è Cattaneo; o quando, nell’art. 52, io leggo, a proposito delle forze armate,”l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica” esercito di popolo, ma questo è Garibaldi; e quando leggo, all’art. 27, “non è ammessa la pena di morte”, ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria. Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa costituzione! Dietro a ogni articolo di questa costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione.”
Lo spirito del Risorgimento e quello della Resistenza hanno un nome: Patria!
Non abbiate paura di pronunciarlo questo nome.
Non gridatelo impettiti e con le braccia sui fianchi, ma sussurratelo all’orecchio dei vostri bambini e raccontate loro quello che è già accaduto e che forse riaccadrà.
Ci libereremo!
Volevo spendere due parole sul concetto di Patriottismo.
Lo faccio a margine di questo articolo anche se in effetti è il meno indicato allo specifico pensiero che segue.
A mio parere non è particolarmente corretto ne tantomeno utile per noi riferirci al Patriottismo Risorgimentale, sia da un punto di vista di distanza temporale che di approccio al soggetto stesso di Patria.
I padri come Mazzini, Pisacane, Garibaldi avevano per la Patria un amore ideale, romantico, non avendola mai “posseduta” concretamente. I loro scritti sono i lamenti di innamorati separati dalla loro amata mai abbracciata, mai baciata, che vive ancora a casa del padre. Sono pensieri formativi, basilari per i patrioti intendiamoci, ma poco hanno a che fare con noi.
I pensieri che dovremmo fare nostri sono quelli dei patrioti del ventennio. Calamandrei citato qui, ma anche Rosselli, Croce, Basso, Gramsci. Patrioti che hanno elaborato il messaggio patriottico risorgimentale e lo hanno interpretato secondo l’esigenza del tempo. Patrioti sposi di una patria già presente ancorchè adolescente. Che avevano già giaciuto con essa, l’avevano fisicamente amata anche se acerba. E vedendola venduta a qualcuno che la maltrattava, la violentava acuivano il loro spirito battagliero. Il loro era un Patriottismo Combattente, per la salvezza di un soggetto reale, concreto.
Ora noi siamo in un tempo più simile al loro anche se la nostra Patria non è ne lontana ne violentata. La nostra Patria è una prostituta. E quindi il nostro approccio deve essere differente.
Gli alti slanci d’amore risorgimentali purtroppo non scalfiscono l’animo di una donna di mondo.
L’energia e la determinazione del Patriottismo Combattente invece possono essere, se adeguatamente contestualizzati, un’arma migliore.
Rispondo al sig. Roberto.
Perché il patriottismo di Mazzini, Pisacane, Garibaldi (ma bisognerebbe allungare la lista) non è stato “combattente” o lo è stato meno?
C’è un punto sul quale credo non concordiamo: la Patria italiana nell’Ottocento non esisteva solo nei pensieri dei giovani romantici. Era già viva e presente da secoli come concetto storico, morale e culturale, anche tra i ceti più umili, checché ne dicano i novelli “briganti”, legittimisti del trono e dell’altare, e i nostalgici di una presunta efficienza austro-ungarica; tutti reazionari, che piaccia o non piaccia.
Direi che il riferimento al Risorgimento, in una nuova guerra di liberazione, è più che calzante, visto il dilagare di cinismo e ignoranza, e visto che sotto la Resistenza, non a caso, fu costante e sentito il riferimento al Risorgimento.
Ogni patriottismo è conflittuale per natura.
Ma ogni patriottismo è figlio del proprio tempo: il Risorgimento ha sviluppato un patriottismo segnatamente romantico, idealista, di cuore.
Ora, che queste caratteristiche debbano essere intrinseche al concetto di Patria sono io il primo a sostenerlo, ma che siano la migliore chiave sociale e politica per arrivare all’anima dei “nuovi italiani” con i quali ci dobbiamo confrontare non mi trova d’accordo.
Pieni come siamo ( sono ) di individualismo, è preferibile un approccio più utilitaristico, concreto e fattibile ai problemi attuali, perché ad una prostituta, per rimanere nella retorica di cui sopra, non puoi offrire amore eterno, aulico e spassionato senza pensare di essere quantomeno deriso.
All’illusorio e detestabile “facciamo presto” che i nostri interlocutori ci sbattono i faccia ogni pie sospinto, non possiamo rispondere con un approccio risorgimentale.
E’ il parallelo della “rivoluzione che verrà” in cui si incartano da decenni tutti i vetero-comunisti e che li costringe ad un immobilismo controproducente.
Tu scrivi “è preferibile un approccio più utilitaristico, concreto e fattibile ai problemi attuali, perché ad una prostituta, per rimanere nella retorica di cui sopra, non puoi offrire amore eterno, aulico e spassionato senza pensare di essere quantomeno deriso.”
Ti rispondo che ogni slancio ideale è più intimamente connesso alla natura umana di ogni formula cinica. Il cinismo è solo indice di impoverimento morale e culturale. Un’emancipazione vera è possibile solo abbandonando il cinismo.
Per “fare prima”, puoi anche piegare il tuo linguaggio e spingere momentaneamente le moltitudini all’azione. Ma una rivoluzione duratura può compiersi solo con i grandi principi, e quindi, mazzinianamente, con l’educazione lenta e paziente.
Perché siamo patrioti?
Siamo patrioti perché il nostro nemico è la globalizzazione.
Perché solo attraverso il ricongiungimento morale e materiale con il nostro territorio, la nostra gente, possiamo combattere le basi finanziarie della deriva capitalistica attuale.
Solo disgregando nazionalmente il liberismo possiamo vincerlo.
Tale ricongiungimento ha quindi un nocciolo pratico ed economico ed una polpa sentimentale ed idealista.
Se alla polpa sentimentale ( di per se evidente e quindi facilmente riproponibile ) non accostiamo in nocciolo concreto, avremo effetti più disgreganti che altro.
Perché sul sentimento tutti si sentono in grado di interloquire e quindi di aver ragioni ( siano esse borboniche, garibaldine.. ).
L’Italia mazziniana veniva difesa dagli Austriaci, noi invece non stiamo subendo nessuna invasione fisica ma prettamente ideologica.
I nostri nemici sono quelli a cui chiediamo di venire con noi.
L’approccio politico risorgimentale è diverso.
E quindi, a parer mio, deleterio.
Non rispondo qui, perché la discussione è già abbondantemente proseguita su Facebook. A breve tornerò sul tema.
Le analogie fra questi primi decenni del XXI secolo e il periodo risorgimentale sono suggestive. Anche nell’Ottocento i principali avversari dei patrioti erano, da una parte, una potenza sovranazionale come l’UE di oggi (l’Impero asburgico), dall’altra i particolarismi (gli staterelli italiani)…
L’idea di una continuità fra il Risorgimento e la resistenza è quantomeno dubbia, se non ridicola, in particolare per la bestia nera di ogni prete, ogni comunista, ogni individualista: Mazzini.
«Se ci richiedono dei simboli: Cattaneo invece di Gioberti, Marx invece di Mazzini» (Piero Gobetti). «Noi non siamo seguaci del Mazzini, noi non accettiamo il suo sistema» (Carlo Rosselli). «[Mazzini] non riuscì a formulare e dedurre teoricamente il concetto di libertà, e anzi teoricamente lo compromise, e quasi lo negò» (Benedetto Croce). «Mazzini, se fosse vivo, plaudirebbe alle dottrine corporative, né ripudierebbe i discorsi di Mussolini» (Palmiro Togliatti). «[Mazzini offre] affermazioni nebulose… vuote chiacchiere» (Antonio Gramsci).
Mi fa molto piacere che finalmente esista un movimento patriottico di sinistra che (con molto ritardo) riscopre il patriottismo risorgimentale, critica la globalizzazione ed ha persino il coraggio di proporre delle (blande e abbastanza velleitarie, ma non è questo il punto) misure contro l’invasione allogena, come mi fa piacere che nel direttivo del medesimo ci sia posto anche per una persona degnissima come Luca Cancelliere che ha decisamente una storia diversa.
Però, per carità di Patria: non esageriamo con la retorica.
Gentile Matteo,
convengo che la continuità possa da taluni essere definita “dubbia”, non però ridicola.
Infatti la continuità della quale si discute è tra Risorgimento e “resistenza”, non tra risorgimento e “antifascismo”. Ciò rende le citazioni di Gobetti Rosselli Croce e Gramsci irrilevanti al fine di analizzare il tema. Esse non solo non rendono la tesi della continuità ridicola ma nemmeno dubbia,proprio perché non centrano il tema.
Mentre quella di Togliatti, come quella di Gramsci, riguarda le proposte di organizzazione economica della società italiana, proposte che erano ovviamente differenti, anche perché concepite 80 anni prima. Anche l’indubbiamente mazziniano Duccio Galimberti aveva elaborato un progetto di Costituzione piuttosto socialista che non sarebbe piaciuto a Mazzini (al suo tempo; ottanta anni dopo non lo sappiamo).
I discorsi della Resistenza Italiana sono patriottici, in larghissima parte. Lo sono anche tanti canti e tanti simboli. E Togliatti e Nenni rivendicarono in assemblea costituente il nome di secondo risorgimento. Sono tuttavia d’accordo che l’affermazione di Nenni e Togliatti fosse esagerata e che la grandezza maggiore stia nel risorgimento, per la durata enormemente maggiore, per il carattere volontario e non forzato del sacrificio dei volontari, per il numero maggiore dei morti (credo 30.000 anziché 7000 circa) e dei martiri, nonostante le guerre fossero combattute con armi molto meno potenti. Direi che i resistenti si ispirarono agli ideali risorgimentali, li riscoprirono (e il PCI negli anni cinquanta e sessanta fece ogni sforzo per essere un partito patriottico). Per questa ragione non sono d’accordo con Roberto Mora e sono invece d’accordo con Calamandrei, Andrea e Gianluigi: le grandi glorie stanno nel risorgimento che dei resistenti e dei costituenti fu la fonte di ispirazione.
Molti riterrebbero la sua distinzione fra antifascismo e resistenza speciosa, caro D’andrea, ma non io.
Io anzi la trovo interessantissima, perché è segno che una parte (ultraminoritaria, ovvio, ma le rivoluzioni le fanno sempre le elite) della sinistra politica sta iniziando a guardare con occhio critico un determinato periodo storico.
Eccellente: io sono della stessa “famiglia” del già citato Cancelliere che lei bene sa quale è, e guardo con orrore alle leggi razziali (infami e politicamente suicide).
Magari un giorno si guarderà con un minimo di distacco anche alla mitologia resistenziale, ed anche alle singole figure, tipo Calamandrei, mandante morale (e non solo forse) dell’omicidio di Gentile.
per quel che può valere, avete la mia simpatia.