Documento di analisi e proposte dell'ARS: Recedere dai Trattati europei: i provvedimenti d’urgenza e le linee strategiche della politica economica italiana
Occorre dunque recuperare la piena sovranità economica. E per far ciò è necessario esercitare un atto di recesso, previsto, al ricorrere di determinate condizioni, dal diritto internazionale consuetudinario; e previsto esplicitamente dai Trattati europei, senza che esso sia subordinato ad una o altra condizione.
Peraltro, si deve essere consapevoli che – salvo l’ipotesi che si verifichino le circostanze previste dal diritto internazionale consuetudinario (rilevante mutamento delle circostanze; o addirittura sopravvenuta impossibilità di adempiere); ma allora vorrà dire che si sarà verificato un crollo dell’economia e non semplicemente una grave crisi – la procedura di sganciamento degli Stati prevista dal Trattato di Lisbona, la quale inizia con un atto di recesso, può durare due anni e prevede una negoziazione a conclusione della quale, pur in mancanza di un accordo, lo Stato recedente esce dall’Unione. Orbene, due anni sono ovviamente troppi se nel frattempo lo Stato recedente fosse costretto a rispettare i vincoli posti dall’Unione Europea, non potesse esercitare la sovranità in materia economica e restasse esposto al “giudizio dei mercati”.
Pertanto, deve essere chiaro che lo sganciamento, pur volendo formalmente utilizzare la procedura prevista dal Trattato di Lisbona, avverrà con provvedimenti di rottura dell’ordine giuridico dell’Unione Europea, che anticiperanno il recesso e che dovranno essere adottati un venerdì, dopo la chiusura della Borsa italiana, dal Governo (non dal Parlamento) e che dovranno contenere necessarie misure d’urgenza.
In particolare, il recesso dovrà essere accompagnato dall’immediato ritorno alla valuta nazionale e da un provvedimento volto ad impedire la fuga di capitali dall’Italia, che vieti tutti i trasferimenti di valuta e di titoli, nonché limiti e sottoponga a controllo i pagamenti.
Adottati i provvedimenti d’urgenza, si dovrà promuovere una politica volta a contenere le divisioni sociali e territoriali. Si imporranno: una autonoma politica economica espansiva; trasferimenti di risorse ordinari e straordinari nelle zone e alle categorie particolarmente colpite dalla crisi; il ripristino del controllo dei capitali e dei saggi di interesse interni; una ricollocazione all’interno della maggior parte del debito pubblico italiano, anche attraverso provvedimenti che impongano ai cittadini italiani, in proporzione alle attività finanziarie possedute, la vendita di titoli dei grandi intermediari finanziari e bancari, per l’acquisto a basso tasso di interesse, di titoli del debito pubblico italiano; una maggiore progressività della imposizione fiscale; la tutela ad ogni costo dell’agricoltura italiana, nei confronti delle imprese agricole straniere che possano pregiudicarla e nei confronti della grande distribuzione e dell’industria agroalimentare. Investimenti strategici pubblici e convenzioni con multinazionali per la produzione in Italia di computer, telefonini, televisori e altri oggetti di consumo comune, assicurando alle imprese produttrici rilevanti quote di mercato; reintroduzione della stabilità del rapporto di lavoro vigente prima del cosiddetto Pacchetto Treu. Nazionalizzazione delle grandi banche e di alcune grandi assicurazioni ai sensi dell’art. 43 della Costituzione.
Sarebbe preferibile che l’uscita avvenisse nel medesimo contesto temporale dell’uscita di altre nazioni del sud Europa ed eventualmente dell’Europa dell’Est (ed è probabile che ciò accadrà), per rendere più agevoli le negoziazioni con l’Unione Europea. L’importante è che sia chiaro che non si tratterà di un passaggio indolore e che lo scontro e il contrasto politico con la Germania ed altri paesi dell’Unione Europea sarà molto probabile: si verificherà se le parti non troveranno un accordo. La libertà ha, ed è bene che abbia, un costo.
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